Secondo Post di Alessandro Querci. A differenza delle ipotesi sulla cosidetta “arte contemporanea” sostenute da questo Blog, Alessandro asserisce che non succede “niente di nuovo sotto il cielo” a proposito dei mecenati e centri di Potere della Storia e di oggi…e del loro rapporto con gli artisti di ieri e quelli “contemporanei“: un Post intenso e fatto per ragionare….e quindi grazie all’autore per questa nuova collaborazione.
La fine dell’arte 2: Arte e Potere
di Alessandro Querci
Mi capita di leggere, sopratutto su vari blog, molti commenti che denunciano un Sistema dell’arte contemporanea impegnato in un’impresa di mistificazione, impegnato in speculazioni volte ad accrescere il valore commerciale di alcuni artisti, alla circolazione internazionale di una ristretta cerchia di ‘raccomandati’.
Insomma di una sorta di potere centrale, contraddistinto dalle figure di un ristretto gruppo di galleristi, critici, collezionisti e direttori di museo compiacenti.
Si postula di conseguenza l’esistenza di una gran parte di artisti ‘puri’, integerrimi eredi della ‘vera arte’, artisti ‘invisibili’ che vengono volontariamente tenuti in disparte da questo Sistema. Sistema responsabile di un complotto oscurantista che fa della corruzione dei suoi adepti e della buona fede – o stupidità e ignoranza – di molto del suo pubblico il motore principale del suo smisurato potere.
Io la penso diversamente.
Certo, è lecito riconoscere che esistano alcuni ‘centri nevralgici’ assai più influenti di altri – e che in qualche modo condizionano il mondo della produzione estetica attuale.
Andando a ritroso nel corso della storia, Arte e Potere sono sempre andati a braccetto, non vi è grandezza dell’una senza l’avvallo dell’altro.
Possiamo azzardarci ad affermare che la ‘storia dell’arte’ è anche la storia dei valori veicolati dal ‘potere’.
I grandi artisti del rinascimento frequentavano le corti (Gli Sforza, i Gonzaga, i Medici, i Montefeltro) come le anticamere del Vaticano o le grandi sedi del potere religioso.
Giotto da Firenze si reca a Padova ed Assisi, centri di potere dei Francescani dove realizza cicli d’affreschi rivoluzionari.
Michelangelo si fa ben volere da Papa Giulio II, che gli commissiona il ciclo d’affreschi della Cappella Sistina.
Goya, pur rappresentando uno dei primi pittori a promuovere una sorta di ‘coscienza critica’, fa mille tentativi per ingraziarsi i ricchi committenti della nobiltà madrilena, producendo – con alterno successo – opere ossequiose e accademiche.
Quando nel 1600, a 23 anni, l’olandese Rubens parte per l’Italia la prima cosa che fa è entrare in contatto con i Gonzaga, i signori di Mantova, ove divenne ‘pittore di corte’. Quando si reca a Roma, l’anno successivo, entra nella cerchia del cardinale Scipione Borghese.
Al ritorno in patria ebbe il sostegno di potenti protettori della casta reale.
Da questo si deduce che arte e ricchezza siano strettamente imparentati, perlomeno fino alla fine del 1700.
Infatti, è con la nascita della borghesia che inizia un processo che libererà l’artista dal retaggio della committenza e del mecenatismo, acquisendo la possibilità di esprimersi indipendentemente come meglio crede.
Attraverso il periodo culturale del Romanticismo cominciano a delinearsi storicamente quei tratti ed atteggiamenti che contraddistingueranno – da allora in poi – la figura dell’artista: il folle, il disperato, l’idealista, il rivoluzionario, l’eccentrico, il solitario, il poeta della natura, l’incompreso.
Questi aspetti perdurano ancora nelle nostro modo di concepire ‘il vero artista’, e qualora ci si trovi davanti a persone che non corrispondono a questa casistica – quindi a personaggi ‘razionali’, eleganti, attenti a costruirsi una buona carriera, a frequentare i ‘salotti giusti’ ci viene subito da sospettare di trovarsi di fronte a ‘mistificazioni’.
L’idea ‘romantica’, la figura dell’artista incompreso dai suoi contemporanei, e che verrà rivalutato dai posteri, è quella che prevale sulle altre.
Al contrario, il fatto di avere successo rappresenta un fattore disprezzabile – sicuro indice di svalutazione, di malaffare, di connivenza col ‘regime’.
Ci dimentichiamo che gran parte degli artisti del passato che oggi veneriamo godessero dello stesso successo e degli stessi privilegi.
Paradossalmente, noi percepiamo una continuità – che di fatto è assai relativa – fra gli artisti dell’800 e primo ‘900 con quelli a loro precedenti.
Questo è dovuto principalmente a una somma di aspetti puramente formali, cioè l’apparenza delle raffigurazioni – e al fatto che gli artisti fruissero di una stessa forma di apprendistato: quando l’accademia, quando la bottega o lo studio dell’artista più famoso.
Certo, possiamo dire che i centri di potere di ieri rappresentassero di fatto anche i centri di produzione culturale, laddove oggi molti dei grandi collezionisti acquistano opere dal costo stratosferico per il solo sfoggio di uno ‘status symbol’.
Ma forse non poteva essere lo stesso per una nobildonna del ‘600, che poteva permettersi il lusso di farsi ritrarre dall’artista più in voga, quello che lavorava per i Reali, per il papato?
Oggi possiamo sottolineare una certa ‘sudditanza’ dei grandi centri espositivi riguardo a scelte estetiche che si producono altrove (cioè nelle più prestigiose gallerie internazionali), sudditanza di un certo ‘automatismo’ dovuto anche alla pigrizia istituzionale.
Ma da lì al dire che la funzione dell’arte contemporanea sia esclusivamente costruita per il ‘luxury marketing’ ce ne corre.
Siamo autorizzati a ritenere ogni odierno ‘operatore culturale’ alla stregua di uno stupido decerebrato, o come un personaggio facilmente corruttibile?
Stiamo parlando di centinaia, migliaia di persone sparse in tutto il mondo. Io, nel mio piccolo, sono stato una di quelle.
Disconoscerne la competenza – se non di tutti perlomeno di alcuni – mi sembra un atto di grande arroganza.
Divagando, un’ultima osservazione in coda:
ci scandalizziamo quando scopriamo che molti artisti di successo fanno realizzare le proprie opere da tecnici specializzati – o, ancora peggio, quando producono opere ‘in serie’.
Mi rendo conto come questo aspetto sia particolarmente complesso e spinoso e necessiti di una più ampia trattazione, voglio solo segnalare questa piccola nota tratta da Wikipedia, riguardante Rubens:
“In questo periodo di intensa attività organizza una bottega, applicando al lavoro artistico quelli che erano i metodi dell’industria e impiegando i suoi collaboratori con criteri razionali, scegliendoli in base alle singole specializzazioni. Il Rubens, per far fronte alle numerose e imponenti commissioni, preparava un cartone e lasciava alla bottega la trasposizione dell’idea figurativa nella sua forma ultima, in definitiva divide nettamente l’idea prima dall’esecuzione, riallacciandosi alla coeva teoria artistica classicheggiante italiana.“
Ancora una volta, niente di nuovo sotto il cielo.
Caro Alessandro, ottimo articolo. Non solo quel che tu dici e’ vero dal principio alla fine ma vorrei, per coloro che non ne fossero convinti, aggiungere qualche ulteriore considerazione. Quando si argomenta di “storia dell’arte”, spessissimo s’incorre in un errore che chiamerei “prospettico” . Quando si guarda un corteo di persone rappresentato in un buon quadro del periodo classico vicino a noi stanno numerose figure imponenti e dietro, via, via figure meno alte ed evidenti per dare, appunto, il senso della prospettiva ma, se guardiamo meglio, ci accorgiamo anche che le figure in primo piano sono più numerose di quelle che si succedono nelle file successive sino a ridursi a pochi elementi nei piani più lontani. Pure la “sensazione” che ci fornisce l’immagine e’ quella, appunto, di un corteo che si snoda, che so, per un borgo, in cui le varie “file” successive son composte più o meno dallo stesso numero di persone. Ecco, facciamo paragoni tra gli artisti “antichi”, “classici”. “moderni” e “contemporanei” come se fossero dei gruppi numericamente più o meno omogenei e non ci rendiamo conto che, al contrario, quando parliamo dei primi due gruppi parliamo del manipolo estremamente esiguo di coloro la cui fama e’ giunta fino a noi, dei terzi, conosciamo a malapena un decimo di coloro che effettivamente operarono in campo artistico in quel torno di tempo, mentre l’ultimo gruppo, un numero esorbitante, e’ quello che ci circonda.
La selezione (buona o cattiva che sia) che ha fatto “la storia” nei primi due gruppi c’impedisce di vedere tutti i mediocri, tutti gli inadeguati, tutti i trascurabili, tutti i meschini (e forse purtroppo anche qualche genio e qualche grande) che essa ha cancellati.
A questo va’ anche aggiunto che, tutta una serie di fattori, alcuni dei quali, tu hai già evidenziati ha fatto si’ che il numero degli artisti sia stato in constante crescita dall’800 e che tale crescita abbia raggiunto valori esponenziali negli ultimi 60/70 anni. Altra considerazione : quando noi occidentali parliamo di arte antica, classica o moderna parliamo dei soli artisti “occidentali” o meglio Europei, appunto, ma con l’avvento della globalizzazione spinta, quando parliamo di artisti contemporanei il nostro “universo campione” si estende istantaneamente a trecentosessanta gradi ad Europei, Asiatici, Australi, Nord e Sud Americani.
Infine, non e’ praticamente mai accaduto che l’arte, che fu sempre “contemporanea”, trovasse, al suo primo apparire, pieno ed indiscusso accoglimento tra i propri “contemporanei” perché l’arte, se e’ “buona”, e’ sempre qualche passo avanti (a volte anche troppi) al suo tempo ed ha bisogno di tempo per essere accettata ed apprezzata.
Credo che chi invoca i “bei tempi andati” sarebbe bene meditasse un po’ su quanto hai scritto ed anche su queste, ulteriori, banali considerazioni. Ciao e grazie ancora per il bell’articolo
Grazie Luciano.
Riguardo a ciò che scrivi non ho niente da aggiungere, sono pienamente d’accordo.
Riguardo alla ‘cattiva’ arte classica/antica non c’è bisogno di una macchina del tempo, basta farsi un giro per i mercati dell’antiquariato per avere una piccola idea di quante ‘croste’ siano state prodotte nei secoli.
avallo
Caro Alessandro, sul rapporto storico un po’ automatico “artisti-ricchezza-potere” come tu lo descrivi, ho dei dubbi (parecchi) e ci sarebbe da verificare ciascuno degli esempi che citi per scoprire che le cose magari non sono andate poi in modo così piatto e liscio.
Mentre che non condivido assolutamente la tale “LIBERAZIONE” dell’artista “dal retaggio della committenza e del mecenatismo” . Anzi, penso esattamente al contrario, cioè che il lavoro (o il mestiere) dell’Arte ha bisogno di committenze e di mecenatismi pubblici e privati come qualsiasi altra attività umana. Quella presunta “liberazione” è stata la prima, poi è venuta la “liberazione” dai temi o soggetti, poi la “liberazione” dai materiali e strumenti, e alla fine il tale “artista” (“contemporaneo”) è rimasto solo con i suoi “concetti”….anche più banali di quelli che possiede qualunque normale cittadino.
Mi sono divertito a cercare SOLO in questo mio BLOG alcuni artisti del, passato con i tratti e gli atteggiamenti che tu citi come inesistenti prima del Romanticismo: “il folle, il disperato, l’idealista, il rivoluzionario, l’eccentrico, il solitario, il poeta della natura, l’incompreso”.
il folle, RICCARDO PERUCOLO ( 1515-1568) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=2513
il disperato, GIOVANNI SERODINE (1594- 1630) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=4016
l’idealista, IL MAESTRO DI CAMPODONICO (1300) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=191
il rivoluzionario, ANTONIO CARNEO (1637-1692) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=8057#more-8057
l’eccentrico, IL MORAZZONE (1573- 1626) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=333#more-333
il solitario, ALEIJADINHO (1738-1814) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=4997
il poeta della natura, IL VERONESE (1528 – 1588) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=8858
l’incompreso. LORENZO LOTTO (1480c.-1556/57) https://blogosfera.varesenews.it/la-bottega-del-pittore/?p=313
Finisco con una considerazione sulla tua prima frase (lo faccio qua alla fine perchè forse puo’ risultare indigesta per “quelli che”….vedi il grande Enzo Jannacci): In questo BLOG abbiamo scritto che l’Arte Contemporanea è una fazione delle arti che si producono oggi, cioè che non rappresenta TUTTO quello che si produce oggi. Mentre che il “SISTEMA Arte Contemporanea” è nefasto NON tanto per accrescere il valore di alcuni artisti “raccomandati” (cosa che sta nella logica di qualsiasi Potere, come giustamente tu affermi), quanto perchè ipotizziamo sia funzionale non a un “complotto”, ma a un vero e proprio Progetto articolato,sovranazionale e imperiale….(ripeto che è solamente una supposizione, che pero’ spiegherebbe diverse cosette su cio’ che è successo negli ultimi 70 anni).
Carissimo Sergio,
grazie per il tuo commento e la tua solita ‘puntualità’ nel presentare varie fonti.
Ora non ho il tempo di andare a leggere fra i contenuti dei vari link, ma tenterò lo stesso una breve replica.
Trovo, in generale, che tu ‘mi metta in bocca’ cose che in verità io non dico:
– ho scritto che durante il Romanticismo si delineano storicamente i tratti dell’artista ‘incompreso, folle etc.
Era nè più nè meno ciò che intendo, ovvero che questi ‘tratti’ divengono ‘strutturali’, cioè ‘incorporati’ alla più generica e diffusa idea dell’artista. Questo non vuol dire che in precedenza non apparissero tratti simili, specie la ‘follia’, lo spirito ‘saturnino’ (vedi Dürer o Pontormo), ma si tratta di peculiarità appartenenti al ‘privato’, alla biografia personale, non rappresentano ancora ‘un sistema di valori’.
– Liberazione dal mecenatismo.
Non intendevo usare il termine libertà in quell’accezione ideologica-positivista che invece gli dai tu. Non si tratta di un ‘progresso’, ma di un semplice cambiamento nella logica e prassi esecutiva operata dagli artisti. Se la pittura, dalla seconda metà del ‘700, cambia iconografia e soggetto, questo è dovuto a una diversa, nuova, posizione dell’artista rispetto alle epoche precedenti.
Ancora una volta: non è che prima del ‘700 gli artisti non pitturassero ciò che più gli piaceva, ma si trattava – ancora una volta – di una eccezione ad una regola assai diversa.
Voglio dire, per esempio, il fatto che si pitturassero a profusione santi, madonne e storie della Bibbia, non dipendeva da una maggior religiosità e devozione degli artisti. Era semplicemente il loro mestiere, venivano pagati per questo. Appena si smette di pagarli fanno quello che più gli pare e piace.
Io non faccio valutazioni di qualità, come invece ho la sensazione che faccia tu, mi limito a sottolineare alcune circostanze che reputo assai importanti e che troppo spesso sfuggono alle più comuni disquisizioni.
Altro esempio: se la pittura successivamente si libera ‘del soggetto’, ciò per me non rappresenta nè un progresso, nè tantomeno un regresso.
Mi limito a testimoniare di alcuni accadimenti.
– Per ciò che riguarda ‘il progetto articolato, sovranazionale ed imperiale’ spero in un tuo futuro post dedicato, dove tu possa finalmente chiarire quello che a me risulta ancora un pò oscuro.
Caro Alessandro, le “REGOLE” fanno parte della storia della convivenza sociale e anche dei linguaggi degli esseri umani. In Arte coloro che hanno lavorato BENE indifferentemente sia rispettando le “regole” del loro tempo, che uscendo da queste, che creandone altre sono stati i grandi artisti della Storia dell’Arte che hanno creato le grandi opere d’Arte che tutti conosciamo. Io credo che oggi si lavora MALE sempre… sia come omologati alle “regole” vigenti sia contro le “regole” vigenti…e ovviamente esiste una incapacità generale di creare nuove regole.
Le regole ( io preferisco chiamarli valori, perchè rivelano un aspetto più profondo e meno legato alla coercizione e l’obbligo ) erano diffuse e radicate, ma sopratutto ampiamente condivise.
Nella Grecia antica si credeva all’Olimpo e si praticava il culto di Pan, come ci fa egregiamente notare Fumaroli nel suo saggio.
Ogni cosa, quindi anche l’arte, era pervasa da questa adesione.
Lo stesso si può dire in età cristiana.
Ma il tempo, le circostanze, insomma in definitiva il mondo, è cambiato, come ho scritto in uno dei primi post ospitati dal tuo blog.
Ed ha cominciato a cambiare non ieri, ma molto tempo fa.
Oggi non esiste più un’uniformità nel modo di pensare, ed è assurdo pensare che anche l’arte non possa riflettere questa circostanza.
Quindi anche il concetto di ‘lavorare bene’ può originare infiniti fraintesi.
La dicotomia regola-trasgressione ha già fatto il suo tempo, e siamo su un piano già completamente differente.
Questo è uno dei motivi per cui l’arte contemporanea si presenta in modo così non-uniforme.
Tu ritieni che l’arte contemporanea, al contrario, riveli una completa adesione ad un disegno unitario, perverso, o forse soltanto semplicemente degradatosi col tempo.
Che si tratti di un blocco compatto ed impermeabile.
Non posso essere d’accordo con te.
Finchè non cominceremo a isolare i singoli eventi, invece di continuare procedendo per sommarie generalizzazioni, dubito che potremo arrivare ad una riflessione condivisa.
Ma ti stimo lo stesso.
Caro Alessandro, io non ho mai detto o scritto che l’arte contemporanea è un “blocco compatto ed impermeabile”, tant’è vero che in questo mio BLOG ho cercato di analizzare singoli eventi o artisti anche famosissimi, nei loro aspetti che considero positivi o negativi.
Ho invece sostenuto che esiste una mafia, cioè un “sistema” sovranazionale “compatto ed impermeabile” composto da poche gallerie, musei, collezionisti e banche, che impongono politiche, gusti, mode ecc….e poi c’è una diffusa omertà, o un diffuso “consenso” globale di governi, politici, curatori e finanzieri che seguono queste politiche, gusti e mode e, ovviamente, in pianura, ci sono moltissimi “artisti” che si adeguano alle circostanze….. altri che non si adeguano e che continuano su strade sicure e confortanti e altri ancora che rischiano cercando strade differenti (io stimo principalmente questi ultimi).
Sono daccordissimo con te nel constatare che non esiste più “un’uniformità nel modo di pensare”…e io credo anche che cio’ sia un bene, perchè credo fermamente nella ricchezza delle diversità…..e d’altra parte, proprio a causa di queste complessità, credo che sia necessario trovare nuove “regole” o valori comuni CONDIVISI su cui lavorare per la sopravvivenza della vita su questo nostro pianeta……è necessario definire MA PER DAVVERO che cosa significa DEMOCRAZIA, che cosa significa TERRORISMO, che cosa significa GIUSTIZIA, che cosa significa LAVORO ecc. e ovviamente che cosa significa ARTE.
Ciao e tranquillo che anche io ti stimo lo stesso.
Caro Sergio,
tu alzi la posta della discussione, mettendo in campo temi assai importanti.
Ma andiamo per gradi
– ‘Arte contemporanea…blocco compatto e impermeabile’
Un malinteso, per colpa mia. Intendevo dire il ‘Sistema dell’arte contemporanea, come infatti poi tu precisi nel tuo post.
– il Sistema-mafia
Se proprio vogliamo fare un paragone, più che come un blocco io lo delineerei come una piramide: poche importanti gallerie al suo vertice, e via via un’articolazione sempre più ampia e variegata di spazi e soggetti. Tutto il resto ci gira intorno, le grandi mostre (biennali, quadriennali etc.) le politiche espositive museali, le riviste di settore.
Ma anche in questo caso non ci trovo niente di scandaloso, anche perchè le oligarchie (politiche e/o culturali) sono state da sempre, i principali fulcri nella promozione dell’arte.
Questo sistema sottintende una gerarchia ed un percorso ‘multilevel’ per accedere ai suoi livelli massimi.
Trovo che si tratti di una forma di ‘selezione naturale’ che si presenta in tutte le altre forme di attività umana, sia che uno voglia fare l’artista, lo stilista, scrittore, veterinario, cuoco, falegname.
Le ‘competenze’ richieste, diversamente da altri settori, sono di più difficile discernimento.
Ma la ‘comunità’ del sistema è estesa e ben distribuita, costituita da una moltitudine di soggetti, e questo – a mio avviso – la rende piuttosto democratica, e non vedo imposizioni.
Tranne rarissime eccezioni un artista di successo ha sempre una lunga ‘gavetta’ alle sue spalle, diciamo perlomeno una ventina d’anni di intensa attività.
Gli esponenti dell’Arte Povera, per esempio, non sono stati imposti da nessuno, ai loro tempi.
Hanno fatto anche loro la propria gavetta. Se oggi, dopo cinquant’anni dal loro esordio, vengono considerati come importanti rappresentanti della nostra arte, non possiamo additare un ‘disegno precostituito’. Hanno avuto le loro stroncature, i loro tempi bui, ma hanno avuto la meglio. Che ci piaccia o meno, si sono conquistati la gloria ‘sul campo di battaglia’.
Non trovo scandaloso che un ‘giovane artista’ possa riconoscersi in questo sistema, e cercare di inserivisi con successo, anche se comprendo che se ne possa articolare una critica, un lecito dissenso, e si preferisca percorrere logiche e sentieri alternativi ad esso.
Anche questo, in arte, è più o meno sempre successo e non è detto che non possano esistere ‘sistemi’ alternativi ove far circolare la propria opera. Il Salon des refusés ne è un classico esempio, forse un tantino troppo altisonante….
Chi cerca ‘strade differenti’, come dici tu, è sempre degno del massimo rispetto.
Ma ti invito a riflettere che anche un Cattelan, se si va ad esaminarne la storia più che ventennale, ha forzato molto i limiti e i confini del sistema, e forse proprio grazie a questo è arrivato dove è arrivato, laddove altri che erano più ligi ha una variante non più che calligrafica di ciò che già era stato fatto sono rimasti là da dove sono partiti.
– Nuovi valori condivisi
Ho già scritto altrove che preferisco usare il termine ‘valore’ a quello di ‘regole’.
Sono pienamente d’accordo con te che ciò sia fondamentale per la nostra sopravvivenza.
Cultura e pluralità sono già di per sè valori, che consentono al loro interno una molteplicità di articolazioni quali il rispetto per la diversità, il sostegno di attività al di fuori di logiche di marketing etc.
Credo che tutti noi abbiamo abbastanza bene in mente cosa significhino Democrazia, Terrorismo e Giustizia e vorrei aggiungere anche Libertà.
Il problema è riuscire a mettere in pratica il loro significato nel mondo che viviamo.
Non credo che il problema stia nel ‘relativismo’, quanto nella malafede di chi lavora per il proprio tornaconto spacciandolo per altro.
é uscito ieri un bellissimo intervento sulla ‘cultura’ che posto qua sotto:
http://www.artribune.com/2012/06/il-terremoto-secondo-salvatore-settis/
Per Lavoro, immagino tu ti riferisca al lavoro dell’artista, piuttosto che ad una più generale etica laburista.
Secondo me anche qui si tratta di ‘pluralità’. Il lavoro dell’artista, oggi, non implica un apprendistato ed una prassi accademica, anche se non intendo rinnegarne la validità. Ma non per questo la ritengo imprescindibile.
Oggi, lo ripeterò fino alla nausea, fare arte ha significati e prassi esecutive molto diverse.
Gli artisti che ho conosciuto nella mia vita lavoravano, e come!
Qualcuno coi pennelli, altri con la fresa ed il seghetto alternativo, altri con la cinepresa o la macchina fotografica altri con parole, pensieri e azioni, altri col computer. Non esistono precedenze, ognuno di loro usava ‘le mani’ in un modo diverso, a seconda dei risultati che voleva ottenere. Ognuno, a modo suo, si faceva un gran mazzo.
Anch’io, a dire il vero, ma non abbastanza. Infatti ho smesso.
In tutte le epoche storiche l’artista, prima di ogni altra necessità di sopravvivenza ha cercato l’autonomia creativa e la libertà d’azione. La libertà (spesso negata dal potere) è la più calda dote che un artista autentico possa possedere. E’ la facoltà mentale che fa vibrare e anelare la prassi creativa. L’arte non è frutto solo di pura logica, per esempio l’arte priva di libertà e sentimento, non riscalda e non commuove nessuno. Il sistema dell’arte contemporanea non può essere posto sullo stesso piano del rapporto committente (corte, pontefici, ricchi borghesi inizialmente solo nell’ambiente fiammingo) – artista. In quel caso inoltre il rapporto con il pubblico non era snaturato e il pubblico era ancora in grado di rispecchiarsi in un sistema di valori condivisi, cosa che non può accadere oggi perché il consenso non è più creato dal pubblico, ma dal sistema stesso che non solo svolge il ruolo di committente, ma esercita anche una funzione estetica. Non può essere confuso il ruolo di “spettacolarizzazione del potere” che poteva avere l’arte o il teatro ad esempio in epoca rinascimentale, perché anche in quel caso il pubblico si riconosceva in quel sistema. Oggi il pubblico è un pretesto muto, perché indifferente, in quanto non riesce a condividere nulla con l’opera d’arte e neanche quel sistema di potere che la giustifica. Il potere nell’arte medioevale, rinascimentale e moderna non svolgeva alcuna funzione estetica o giustificativa: in altre parole non diceva ciò che arte e ciò che non lo era, ma ammetteva solo ciò che gli era funzionale. Oggi l’arte è solo autocompiacimento, è autoreferienziale, trova giustificazione solo all’interno di quel sistema; non ha valore metastorico, è tutto fuor che contemporanea perché della contemporaneità non parla mai. Non dimentichiamoci, inoltre, che da questo binomio potere – artista sono nate opere d’arte che non solo sapevano parlare ai contemporanei di allora, ma anche oggi. Quindi ad esempio i committenti di Cattelan non possono mettersi sullo stesso piano di un Sisto IV, di un Giulio II, o di un Medici, ma neanche di un ricco borghese olandese dei tempi di Vermeer. Nessun Pontefice, Cardinale o Signore rinascimentale creava artisti a tavolino, ma si serviva delle migliori maestranze del suo tempo, avendo presente non solo il talento dell’artista, ma come quell’artista poteva al meglio rispondere alle sue necessità. Inoltre va anche detto che l’attuale sistema dell’arte si serve di forme di comunicazione così ridondanti e potenti che vanno oltre la rappresentazione artistica che non sa svolgere più quel ruolo di comunicazione che aveva in epoche passate. L’arte va detto che era i mass – media del passato quella che raccontava battaglie, che raccontava il punto dei vista dei vincitori e la sconfitta dei vinti, che sapeva svolgere un ruolo formativo non solo dal punto di vista estetico, ma anche morale (e non intendo solo punto di vista religioso). Insomma il sistema dell’arte produce feticci autocompiacenti, assolutamente inutili anche allo stesso potere che la promuove, perché il problema non è più quello di rappresentare il potere, ma di trarre vantaggio economico da un autocompiacimento narcisistico.