Alessandro Querci “La fine dell’arte 6: Pittori o Artisti?, seconda parte”

nuovoIl 1700 è un secolo di capitale importanza per comprendere il cambiamento riguardo la concezione dell’arte e degli artisti.

Con l’illuminismo si fa strada la concezione della storia come di un divenire verso ‘il migliore dei mondi possibili’. La storia è, quindi, il lento e faticoso percorso che ha come obbiettivo la liberazione dell’uomo dall’oscurità e l’ingiustizia, rappresentata dai governi oppressivi, la disparità sociale, la superstizione.

Nasce il concetto di museo, inteso come tempio laico delle più alte produzioni dello spirito umano, in parallelo all’enciclopedia – compendio della conoscenza universale.
Nasce una nuova classe sociale, la borghesia, che fa suoi i principi di democrazia, uguaglianza e libertà diffusi dall’epoca ‘dei lumi’.

Museo Il borghese è anche attore di un nuovo tipo di committenza, suo paradigma nella scelta delle opere è ‘il buon gusto’, teorizzato da filosofi come Hegel e Kant.

Nasce anche il concetto di ‘estetica’, quel ramo della riflessione filosofica che andrà ad indagare sui principi fondanti del gusto e del bello e che tutt’oggi rappresenta una disciplina fondamentale nella comprensione – ma anche la diffusa legittimazione – di qualsiasi fenomeno che si ponga come ‘artistico’.

Il pittore, come il poeta, non è più, o non solamente, parte integrante di una comunità sociale come lo era sempre stato in passato. Il pittore diviene ‘artista’, portavoce di una propria e specifica individualità, talvolta in conflitto con le regole socialmente condivise.

Avevo già toccato questo argomento in un articolo precedente, quando scrivevo:
“…con la nascita della borghesia inizia un processo che libererà l’artista dal retaggio della committenza e del mecenatismo, acquisendo la possibilità di esprimersi indipendentemente come meglio crede.
Attraverso il periodo culturale del Romanticismo cominciano a delinearsi storicamente quei tratti ed atteggiamenti che contraddistingueranno – da allora in poi – la figura dell’artista: il folle, il disperato, l’idealista, il rivoluzionario, l’eccentrico, il solitario, il poeta della natura, l’incompreso.”

La pittura si slegherà progressivamente dall’idea tradizionale di mestiere, per rientrare nel campo della ‘sensibilità’, una sensibilità acuita dall’individualismo o dall’idea di andare a rappresentare il livello più alto della cultura (altro nuovo concetto, prima c’era, semplicemente, il ‘sapere’).

Quindi da pittori, poeti, letterati, musicisti, in virtù di questa solenne investitura, si diviene, semplicemente, artisti.

salon 1859Slegati dalla necessità della produzione legata alla committenza (sia delle corti che del clero) l’artista produrrà per sè stesso, cercando conferme attraverso i salotti degli intellettuali, i mercanti ‘d’arte’ (non ‘di pittura’!), i Salon istituzionali, quest’ultimi presieduti dagli artisti stessi e non da figure ‘altre’ come i nobili mecenati o cardinali del passato.

Il concetto di ‘belle arti’ (pur coniato in epoca precedente) prenderà definitivamente le distanze da quello di ‘arti applicate’, con la nascita del concetto di artigianato. Le due cose saranno – e sono tuttora – separate ricorrendo al concetto di ‘uso’, cioè la funzione pratica per la quale un oggetto artistico veniva in precedenza creato.

PienzaL’arte vera, quindi, non ha finalità, non serve a niente, se non come esercizio formale ed intellettuale, sempre più rivolto all’idea di superamento dei limiti, della scoperta di nuovi orizzonti espressivi, sempre più alla ricerca di rappresentare ‘la modernità’ intesa come orizzonte in continuo divenire.

Gli artisti dialogano fondamentalmente con sè stessi andando a delineare il profilo di una nuova comunità autoreferenziale: è fra loro che si instaurano sfide e complicità, il ‘pubblico’ non ha più alcuna importanza (se mai l’avesse avuta in passato…).

Si fa strada la figura che ‘tradurrà’ il messaggio e l’autorità delle nuove scoperte ai meno consapevoli, e pletore di ‘fini intenditori’ ed intellettuali andranno a teorizzare nuove scuole, stili, correnti.

Honor-- Daumier - i critici
Johann_Joachim_Winckelmann_(Anton_von_Maron_1768)Winkelmann teorizzerà così l’autorità del ‘bello ideale’ della tradizione classica nella metà del ‘700, così come Baudelaire tesserà il ritratto, un secolo dopo, dell’artista moderno, contraddistinto da parametri che faranno da guida per tutto il secolo successivo: l’ebrezza della novità, l’immaginazione febbrile ed irrazionale, la spregiudicatezza e libertà dell’ispirazione, fino ad andare a teorizzare la funzione della critica d’arte.

Baudelaire- Constantin Guys 1863Ma sarà solo alla fine dell’800 che la teoria diverrà parte fondamentale della pratica artistica: senza una vera e propria ‘ideologia’ – sempre più spesso espressa e divulgata attraverso veri e propri ‘manifesti’ teorici – non vi è vera e propria arte, ma solo il reiterare di una prassi obsoleta: quella della pittura fine a sè stessa.

La tradizione diviene un peso, un ostacolo da superare, quando non addirittura da bistrattare. Si inasprirà dunque il conflitto (di fatto sempre esistito) fra i fautori della modernità ed i depositari della tradizione, in una sorta di guerra che vedrà quest’ultimi soccombere ed a creare una frattura ideologica che aspetta ancora di essere risanata.

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Alessandro Querci, Firenze, alessandroquerci@gmail.com

 

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