“Accendere l’acquedotto è stato come assistere a una rivoluzione”

«Vedere l’acqua potabile arrivare e tutti quei festeggiamenti è stato come assistere a una rivoluzione». Antonio Bascialla è tornato da Haiti da poco più di un mese, insieme ad altre 11 persone di Abbiate Guazzone che hanno aiutato ad “accendere” dopo tre anni di lavori l’acquedotto che porta finalmente l’acqua potabile a Mare Rouge.
Si tratta di un’opera quasi interamente realizzata da volontari che si sono occupati della progettazione ed anche di istruire persone del posto, tramite il sostegno sul posto di Don Giuseppe Noli e Don Mauro Brescianini. Un progetto sociale finanziato da enti, aziende e singoli privati, grazie alla collaborazione tecnica della onlus Filimondo, cui si sono affidati per la parte burocratica.Bascialla è ancora emozionato quando racconta dell’avventura: «Tre anni fa ci siamo chiesti di cosa avessero bisogno a Mare Rouge – racconta -. I bambini tutte le mattine prima di andare a scuola andavano a prendere a piedi l’acqua potabile al pozzo, un percorso di circa 1,5 chilomentri che poi anche gli adulti dovevano fare più volte al giorno. Abbiamo quindi pensato di realizzare un’acquedotto: non era facile perchè la strada era anche in salita, ma abbiamo costruito i tubi, le pompe, l’alimentazione coi pannelli fotovoltaici. Dopo la progettazione realizzata in Italia si è passati alla costruzione che abbiamo supervisionato, ma di fatto l’hanno costruito tutto loro, lavorando per anni all’attuazione tramite una piccola impresa edile locale. Sono stati molto volenterosi e avevano voglia di imparare».

Nello scorso mese di agosto c’è stata l’attivazione dell’acquedotto: «È stato emozionante vedere tanta felicità, prima sembravano increduli, poi si sono tutti tuffati a prendere quello che serviva – racconta Bascialla, 61 anni, pensionato -. Ora dovranno proseguire il percorso con il loro comitato di gestione dell’acquedotto, mantenerlo, capire se far pagare l’acqua per la sostenibilità della struttura. Tutte cose che per noi sono normali, ma che per loro significano effettuare anche un cambio di mentalità».
«Per me questo progetto ha voluto dire molto – conclude ancora emozionato, spiegando anche il perchè di una certa riservatezza -. Le persone che si sono impegnate nella realizzazione dell’opera non l’hanno fatto per farsi vedere. Abbiamo sempre fatto tutto un po’ nell’anonimato perché crediamo che la beneficenza si faccia anche così. Ci crediamo molto e sicuramente adesso cercheremo altri progetti: in quella zona dove non c’è nulla c’è ancora molto da fare».