Sì, dai, basta silenzio. Un topo di campagna, dal basso della sua costituzione, non può certo tirarsela e diventare snob. Se la narrativa tace, da quando Nebbia è partito con il circo, un blog, o meglio un controblog, non può non comunicare.
Se oggi non hai un blog non sei nessuno, almeno sembra: proprio per questo avevo pensato a un controblog. Se i blog sono quasi sempre fiction camuffati presuntuosamente da realtà, sembrava giusto far sapere fin da subito che un topo altro non poteva che scrivere di finzione verosimile. Ma questo pallino del controblog ha poi finito stupidamente per prendere una piega sbagliata: se il blog è comunicazione, il controblog stava diventando silenzio. Ma allora, che ci sto a fare qua dentro, a occupare preziosi spazi virtuali? Lo spazio sul web è un privilegio che un roditore pendolare non può permettersi di sprecare. Si torna a viaggiare, un inverno è alle porte, come sempre in mezzo ai pendolari trafelati, a mille, centomila vite che s’incrociano e si sfiorano per un istante, qualche minuto, un’ora, su un treno o su un autobus. Direzione Milano metropoli, il gran Milan che tutto ingloba, hinterland compreso, ma che si distingue da un altro mondo che sta fuori, la provincia ipocrita e un po’ invidiosa, un enorme dormitorio che si anima soltanto poche ore, la sera e la mattina, il sabato, la domenica e le feste comandate.
E nei pochi spazi di libertà, dentro e fuori la metropoli, si lotta ogni giorno contro l’alienazione. Altro che silenzio! Un controblog, scritto da un topo, non può che essere un esercizio di resistenza quotidiana. Anche quando non c’è poesia. Ma stasera, sul locale per Varese, la poesia c’è: si chiama Mario e ha quattro anni, dorme profondamente sulla spalla della mamma. Lei cerca di svegliarlo, in vista della loro fermata, ma il piccolo Mario dorme e sogna chissà quale mondo: lontano da tutto, dalla mediocrità di noi adulti e dalla monotonia dei pendolari. Anche questo è un piccolo, grande, gesto di resistenza.
ciao Topo
forse è meglio che la gente continui a sfiorarsi muovendosi all’interno delle stazioni della metropolitana. Altrimenti si rischia grosso, come è accaduto ieri a Roma, non a caso capitale, anche per questo, di una civiltà metropolitana che sempre più spesso offre l’aspetto peggiore dell’indole umana. Per fortuna rimangono i sogni, non solo quelli dei bimbi, a spingere la nostra anima nella tristezza del lavoro quotidiano.