Il controesodo è compiuto: totale, anche quest’anno. Tutti sono rientrati in carrozza, lo spazio vitale sui treni dei pendolari è tornato quello di sempre, minimo. Io sono “delocalizzato” a Pero, ormai da due anni: oggi la mia Milano è intuita e immaginata, dalle parole, dagli odori, dalla facce di quelli che ritrovo in treno. Topo di campagna scende prima e le sue cronache milanesi sono proiezioni di una realtà che s’intravvede all’orizzonte, dove la skyline del Portello cresce di giorno in giorno.
Giù in centro, all’ombra del Duomo, regalano abbracci, mentre a piazza Affari offrono ceffoni. Un cardinale fa le valigie, un altro sta per arrivare.
Crisi nera, lavoro a rischio, tasse da pagare, Tremonti e Berlusconi che prelevano altri soldi ai soliti italiani: ma i sopravvissuti da Milano, i compagni di viaggio che potrebbero riportare testimonianze di guerra o di gloria dalla città, di che parlano?
Di matrimoni. Di questi tempi, l’argomento clou più ricorrente nella conversazioni da treno è un invito a nozze: di una cugina, di una nipote, di un’amica, di un collega. Settembre andiamo, è tempo di sposarsi, si potrebbe dire.
Sprofondata sul sedile, in fondo a destra, una neolaureata parla al telefonino di una festa imminente: da secchiona sciatta e timida si trasformerà in avvenente pescatrice di uomini. Perché a ogni matrimonio che si rispetti c’è sempre chi gioca le proprie carte nella seduzione d’ignari ex compagni di scuola dello sposo. L’elemento determinante, a quanto pare, non è la laurea, benedetto foglio di carta, bensì la scollatura che la ragazza descrive nel dettaglio all’amica in ascolto dall’altra parte del telefono. La strategia è fondamentale e va preparata in anticipo.
Poco più dietro, invece, si scatena il dibattito tra un ragioniere senza sex appeal ma con tanta bella pancetta e un’un impiegata con girovita e petto larghi due fermate di tram: parlano di antipasti, di tortini al formaggio e salmone in crosta, quelli divorati pochi giorni prima alle nozze di una cugina. M’immagino la loro storia d’amore: un ragioniere e un’impiegata uniti in un’unica palla di lardo, mentre si riempiono la bocca a vicenda a colpi di tagliatelle al ragù.
Non c’è privacy sul vagone affollato e nemmeno la si pretende: e così, accanto ai ciccioni, si rivelano segreti di un’altra corsa all’altare di settembre, si gettano nel vento le storie di due sconosciuti innamorati incappati in una notte di troppa passione e in un preservativo bucato. Tra risatine e battute di finto gossip, mezza carrozza sembra inebriata da quel fatto che non li riguarda, che non riguarda nessuno di loro. O forse sì.
“Una mia amica che non trova marito, ha invece scoperto l’amicizia di un fisioterapista”, rivela sottovoce un’altra pendolare alla compagna di viaggio. “E come è andata a finire?”
“Che il massaggio dura un quarto d’ora in più, senza preliminari, ma con una piccola aggiunta sulla tariffa oraria”. Il matrimonio che non c’è e la sua consolazione misera: più che un pettegolezzo, sembra una morbosa confessione, ma tutto il resto si confonde nel brusìo generale della carrozza.
E lì accanto, c’è anche un bancario che parla di un suicidio, un colpo di pistola alla tempia, esploso alla fine delle vacanze. Settembre è il mese dei matrimoni, agosto quello dei suicidi. Un collega se n’è andato con un gesto estremo, senza un perché. A quanto pare.
I treni tornano a riempirsi di odori, di corpi stanchi e di storie: nel lento procedere delle solite giornate, Milano sembra più o meno quella che m’immaginavo. E si parla di vita e di morte.