Nella tana del topo: una prima serata di prova

Dal blog alla realtà, in una serata per guardarsi in faccia, per scambiare di persona battute, letture, pensieri e persino canzoni. Le “serate del topo” sono un’idea ancora in cantiere, in fase di sviluppo: un “evento di prova” è stato organizzato a Varese, al caffé La Cupola. Per vedere l’effetto che fa… e direi, bene! Si può fare: parlare di libri, confrontarsi su narrativa, poesia, cultura, vita quotidiana. Confrontarsi alla pari, tra amici, scrittori e lettori, confidenze culturali schiette e gratuite: le serate del topo possono diventare un modo nuovo per far convivere una tana virtuale con persone in carne e ossa. Voi che ne dite? Intanto grazie a chi mi ha dato una mano, a Varese: grazie in particolare a Giancarlo Buzzi, Giorgio Brovelli, Massimo Armiraglio, Francesco Baranzini, Guido Rubino, Alessandro Campi, Massimiliano Condello e a mia moglie Alessandra. Oltre, naturalmente, a tutti voi che siete intervenuti e che, in futuro, vorrete partecipare… 

La tana del topo al caffé la Cupola, una prima serata “test”

 

Il mio racconto “ristretto”: a voi la sfida

Tugnìn gettava le reti, quando Angera viveva di lago. Oggi parla ai cormorani: «È tutto vostro, che aspettate?» Dalla riva, pregusta il loro tuffo infallibile.

Amo il racconto breve, ma questo è un racconto “ristretto”: il mio primo racconto ristretto. Venticinque parole. C’è, però, chi si è divertito a restringere ancora di più: “Vendesi: scarpe da bambino. Mai usate.” Questo lo scrisse, forse per scommessa, un certo Ernest Hemingway.

Ci ho provato anch’io, ovviamente per gioco. E ora sfido voi, lettori: vi invito a un simpatico concorso, ideato da Massimo del Caffè la Cupola di Varese. Per chi vuole partecipare: tenete il racconto nei vostri pensieri, andate al Caffè la Cupola (in piazza San Giovanni, davanti alla chiesa della Brunella) e scrivetelo sulla scheda di partecipazione, rigorosamente a penna. Unica regola: il racconto deve avere un massimo di 25 parole. I migliori racconti verranno valutati, in forma del tutto anonima, da una giuria qualificata. Inoltre, verranno letti in una serata “ad hoc”, organizzata dall’associazione “La curiosità letteraria”. Al vincitore, spetterà in premio una preziosa penna stilografica (informatevi a questo indirizzo: caffelacupola@ngi.it)

Chi, invece, non è nella condizione di poter partecipare al concorso (soprattutto per ragioni geografiche), può scrivere il proprio racconto “ristretto” qui, nei commenti a questo post. Non vincerà un bel niente, ma potrà condividere un pizzico della propria creatività con i tanti amici della Tana del topo. Forza, accettate questa sfida!

(In questo blog, verranno pubblicati solo i racconti “ristretti” firmati dagli autori, che dovranno indicare anche la località di provenienza)

A proposito di poesia

Già, a proposito di poesia. Un piccolo pensiero per Antonia Pozzi, un personaggio che raramente finisce sui libri di scuola, ma che ha scritto pagine di rara sensibilità poetica. Giovane milanese, morta suicida, autrice poco compresa, ma da comprendere. Per questo, mi permetto un consigliarvi un incontro molto importante: mercoledì 7 marzo, alle ore 18, presso la biblioteca civica di via Sacco a Varese, si terrà un incontro dal titolo “In riva alla vita”, appuntamento nel centenario della nascita di Antonia Pozzi (1912 -1938). All’incontro parteciperanno Alessandra Cenni e Silvio Raffo, curatori dell’opera omnia della poetessa per l’Editore Betti

Leggenda (1935)

Mi portò il mio cavallo
tra le foglie
con soffice volo.

Calda vita nel vento
il suo respiro,
i molli occhi
fra colori d’autunno:
era oro nel sole il suo mantello.

Le pietre si scostavano
sui monti
al tocco degli zoccoli d’argento…

Se Dickens rinascesse a Varese

Uno stenografo, dopo lunga gavetta, si ritrovò scrittore. “Se diventerò l’eroe della mia vita, o se questa condizione spetterà a qualcun altro, lo diranno queste pagine”.

Duecento anni fa, nasceva Charles Dickens, scrittore amato da molti e, forse, detestato da molti di più.

Io sono tra coloro che lo amano: chissà, forse perché tutto cominciò da uno Scrooge con le sembianze di zio Paperone, da un canto di Natale letto da bambino sulle pagine di Topolino. Dickens ha questa particolarità: di ricordare l’infanzia a molti. Eppure scrisse in un’epoca ormai lontana, raccontò storie tipicamente inglesi… Non so come ci sia riuscito, ma mi ha conquistato: con i suoi personaggi e le sue descrizioni minuziose, con la sua capacità di prendere per mano il lettore e portarlo con sé, dentro a un sobborgo di Londra.

“Quando Dickens descrive una cosa una volta, la si vede per tutta la vita”: questo lo disse un altro grande autore, George Orwell che, pure, non fu mai molto tenero nei suoi giudizi su di lui. Amo Dickens soprattutto perché sapeva parlare ai “semplici”, perché sapeva essere universale, perché è stato capace di trasmettere a tutti la sua letteratura. Lo amo soprattutto perché pubblicava a puntate sui giornali e perché i cattedratici lo stroncavano.

C’è chi confina Dickens dentro la sua epoca, dentro quell’atmosfera londinese di metà Ottocento. Eppure io lo trovo ancora molto attuale: lo vorrei vedere all’opera in questo tempo difficile e decadente, m’immagino come descriverebbe un treno carico di pendolari, per esempio. Vorrei vederlo all’opera nel descrivere la periferia di Milano, o magari una pasticceria di Varese piena zeppa di signore impellicciate, tutte infervorate per i saldi, mentre fuori c’è un popolo che sta perdendo il lavoro.

Se Dickens vivesse oggi, tra Varese e Milano, cosa scriverebbe? Chissà, magari ci scriverà il romanzo di un sindaco leghista invaghitosi per una povera rumena, o chissà, magari proverà a raccontare di un imprenditore che, per non vendere la propria barca ormeggiata a Portofino, si trova costretto a licenziare alcuni dipendenti, a caso… E secondo voi?