Dopo l’epico esordio nel bel mezzo di una battuta al cinghiale (qui il link al post) mi sentivo pronto e carico per una seconda avventura pedestre. Decidevo di cimentarmi in un percorso un po’ più impegnativo, anche se non particolarmente lungo: dal Picuz di Sangiano fino alla chiesetta di San Clemente, in cima al monte (sempre di Sangiano). Quasi 2 km di sterrato con una ripidissima salita finale di ben 300 mt. Gli scarponcini della misura giusta ancora non erano arrivati, ma decisi di farmene una ragione e, come la prima volta, non mi lasciai scoraggiare, pregustando la meraviglia di conquistare quell’affaccio mozzafiato sul lago Maggiore e sui monti circostanti.
E mozzafiato fu, in tutti i sensi, quella via crucis redentrice di ogni peccato gastronomico, ultimo, tremendissimo ostacolo prima di accedere allo straordinario spettacolo di un panorama senza eguali. Il lago di un azzurro intenso, incastonato tra i monti innevati, sotto un cielo terso e benevolo, si offriva a me in tutta la sua maestosità a premiare il mio sacrificio di qualche litro di sudore e un paio di polmoni ancora servibili.
Infilata la via Monte Nero, a fianco del Municipo di Sangiano, e dopo lo sterrato che dal bivio del Picuz porta all’abitato di San Clemente, inizia la salita vera e propria, punteggiata dalle stazioni lignee della via crucis (qui maggiori dettagli sull’itinerario). Distrattamente guardai le prime tre o quattro cappelle, poi quando la salita si fece più dura cominciai a scrutare con attenzione i bassorilievi per cercare di capire quanto ancora mancasse alla meta. “Ma quante sono le stazioni della via crucis?” Tentavo disperatamente di riordinare i ricordi da chierichetto, che si facevano sempre più confusi, colpa forse del debito d’ossigeno.
L’erta finale era micidiale. In preda allo sconforto, e a un pizzico di ipoglicemia, presi a commiserarmi per il peso della mia croce. “La Sua era di certo ben più pesante” pensai, e mi vergognai. In quel momento preciso mi parve però di sentire un sollievo, di colpo ero più leggero, come se qualcuno mi avesse preso sottobraccio per accompagnarmi negli ultimi metri, ma non potrei giurarlo.
La bellezza della natura e dell’ingegno umano sono un potentissimo rimedio contro ogni male dell’anima e del fisico, e l’umile chiesetta del nono secolo, già contesa tra le diocesi di Como e di Milano, oggetto di risse memorabili tra chierici e fedeli delle due fazioni, con la sua cornice di laghi e di montagne, ebbe ben presto ragione del mio affanno. Il gioco ne valse sicuramente la candela, e la soddisfazione dell’aver spostato, anche se di poco, il mio limite, arricchiva il premio di cui già mi riempivo gli occhi.
Chissà dove potrò arrivare con le mie scarpe nuove? Non perdetevi le prossime puntate.