Dieci anni fa in questa settimana, Microsoft mise in moto Xbox Live. Non è stato il primo servizio online per console, né il più ricco, ma è stato sicuramente il primo a sposare con successo le console ed il gioco online, nonché il più longevo. Dieci anni dopo, la visione online di Microsoft è diventata una parte fondamentale dell’esperienza di gioco sulla piattaforma che contano ed ha senza dubbio cambiato il gioco per sempre: l’idea del videogioco come una esperienza di rete, sempre connesso, è ormai profondamente radicata in ogni creazione dell’industria videoludica.
I vantaggi di Xbox live non sono stati marginali: riuscire a tenerci in contatto con amici da ogni parte del globo per condividere esperienze di gioco che lunghe distanze e altre barriere avrebbero impedito. Siano essi avversari o collaboratori, giocare con altre persone è di gran lunga più interessante e imprevedibile di qualsiasi IA, le vittorie condivise sono più dolci, i trionfi condivisi più memorabile, di quelle che si limitano a coinvolgere solo la fredda logica di silicio. Anche nei giochi single player, le estensioni social del servizio ci rendono parte di una community, capaci di metterci in contatto con vecchi amici o amplificare la competitività con i vari trofei, GamerPoints, Obbiettivi e Leaderboard. Sul fronte degli sviluppatori, Xbox Live (e i suoi simili) è diventato un tesoro, non esclusivamente economico per i vari DLC, ma anche ricco di dati, dando loro la possibilità di vedere quello che i giocatori fanno realmente con i giochi, una volta portati a casa dal negozio.
Un altro pregio che va riconosciuto al servizio Microsoft, di cui è facile scordarsi, è che ha unificato le piattaforme online dei vari publisher. Molti grandi editori non erano propensi ad appoggiare Xbox live all’inizio. Considerandosi leader di mercato e maestri nelle loro relazioni con i clienti, volevano ovviamente appoggiarsi al loro servizio online. Per quanto Microsoft sia stata egoista e interessata economicamente a conformare i publisher alle regole prescritte per Xbox live, saremmo fermi a mille iscrizioni per i diversi servizi on-line di ogni publisher, barcamenandoci fra varie friend list e account, senza alcuna chat cross game, e niente messaggi o sistemi di achievements.
Assieme al grande successo di Xbox Live, sarebbe difficile non notare il fatto che il servizio ha anche la reputazione di posto malfamato. Sovraeccitati dall’anonimato e dalla natura aggressiva di molti giochi multiplayer, i discorsi online sono spesso razzisti, sessisti, omofobi e vili. Anche disattivare la chat vocale per essere risparmiati questi abusi spesso non basta. Ci sono i messaggi ricevuti a fine partita e se su quelli ricevuti dai maschi non esiste un archivio, su altri siti abbiamo testimonianze, tra il divertente e l’inquietante, dei messaggi ricevuti dal gentil sesso.
Un’altra cosa che salta subito all’occhio – anzi alle orecchie – è che, nonostante il fatto che l’età media di un giocatore su console è superiore ai 20 anni, la maggior parte di quelli che giocano, o almeno giocano e parlano, sembrano essere molto piccoli. Adolescenti e preadolescenti aggressivi (dalla restante parte del popolo internettiano italiano soprannominati “bimbiminkia“) costituiscono una percentuale molto elevata della base “visibile” di Xbox Live, anche se la logica e le ricerche suggeriscono essere una parte relativamente piccola dei giocatori reali. Come mai? Benché non esista una risposta univoca, potrei azzardare una semplice ipotesi: il carattere anonimo e in gran parte privo di regole di Xbox Live è un ambiente tossico che finisce per essere accettabile e accessibile agli adolescenti con scarsamente socializzanti.
Soluzioni? Dal punto di vista di un giocatore, si può usare Xbox Live come una rete chiusa in cui si interagisce solo con i propri amici. Funziona, ma la maggior parte dei giochi insiste sul matchmamaking con altri giocatori “pubblici”, ed in alcuni casi è impossibile giocare se non passando dai server aperti a tutti. Se è vero che esistono staff di persone che rintracciano i giocatori che praticano gli abusi per bannarli, il crescente afflusso di giocatori verso l’online diventa un problema troppo grande per essere trattato dalle persone. Inoltre, gli esseri umani commettono errori: un esempio banale è quando Microsoft, dopo aver blaterato su quanto Xbox live metta in risalto l’espressione di ogni singolo giocatore, ha vietato ai gay di dichiararsi tali online, invece di mettere a tacere quelli che semplicemente abusano di tale parola solo a mo’ di insulto.
Un’idea molto promettente viene da League of Legends, un gioco online assolutamente infame per la cattiveria vera e propria della sua comunità, ha recentemente introdotto un sistema in base al quale, piuttosto che segnalare chi si comporta male, le persone possono assegnare punti karma a chi si comporta bene – con premi per i giocatori che vengono votati più spesso. E funziona. Incitare la buona condotta sembra incoraggiare le persone a giocare secondo le regole, mentre la minaccia della punizione fa solo uscire il ribelle sboccato che è in ogni adolescente. Collegare il proprio account con i social network, costringendo le persone ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni e dichiarazioni non è neanche la panacea universale, scoprendo che alcune persone sono felici di essere degli stronzi anche con il proprio nome, ma resta sempre utile. Soprattutto, la semplice idea di usare il grafico sociale come una parte fondamentale del processo di matchmaking sembra essere incredibilmente potente: giocare con persone che si conoscono, amici di amici o conoscenti anche un po’ distanti, permette ai giocatori maggiori possibilità di avere una piacevole esperienza.
Queste soluzioni, e altri ancora ancora migliori, sono di vitale importanza per lo sviluppo del servizio di gioco online nel prossimo decennio. Il primo decennio di Xbox Live è stata una storia di successo, ma le sue strutture sociali sono sogno utopistico, il sogno di persone che si ricordano del gioco online ai tempi di Quake e di tutti gli altri giochi online usciti a quel tempo, dove nascevano delle community online affiatatissime. Ma una comunità di giocatori non coincide con tutti i giocatori, e mentre una comunità è in grado di affrontare le sue teste calde individualmente, la società dei giocatori deve realizzare sistemi e servizi per affrontare con un volume di persone molto più grande di loro. Spetta a tutti i soggetti coinvolti – fornitori di servizi, sviluppatori, publisher, lettori e persino i media – la responsabilità di rendere il gioco online un buon posto per tutti, non solo per i bulli.