ITALIA

Giovedì mattina, dopo aver fatto due scali, rispettivamente ad Addis Abeba (Etiopia) e a Roma, sono giunto all’aeroporto di Malpensa, nel nord Italia, avvolto da nuvole e da basse temperature.

E’ stato un volo lungo, circa 10 ore, ma piacevole, con un buon servizio gestito dalla Ethiopian Airlines.

Numerose ed immediate sono le differenze di cultura, mentalità, comportamento e caratteristiche strutturali delle due società, africana ed italiana, che mi si presentano davanti agli occhi.

Gabriele

SAMSUNG

 

 

 

 

Progetto, febbraio 2013

Buongiorno a tutti,

lunedì 18 febbraio, sono arrivato a Malindi, dopo un viaggio durato 10 ore by bus, partito dalla capitale.

Lunedì 25 sarò nuovamente a Nairobi, in attesa di mercoledì 27, giorno in cui prenderò l’aereo per tornare in Italia.

Progetto

Il progetto pilota dei pomodori ha dato il suo esito: le piante di pomodoro non possono crescere allo Loiyangalani. Queste le motivazioni:

1-      clima equatoriale estremo, raggiunte punte di 65 gradi Celsius ed umidità del 10%;

2-      vento forte 50 – 60 km/h;

3-      assenza di naturali vettori per lo stadio dell’impollinazione.

Inizialmente, ero rimasto deluso dal risultato di questo progetto sperimentale di aiuto umanitario, fino al giorno della mia partenza dallo Loiyangalani, mercoledì 13 febbraio.

Giornata in cui ho fatto conoscenza con la responsabile di una O.n.g. tedesca, molto interessata al progetto idroponica, alla mia esperienza presso il lago ed alle mie conoscenze ambientali acquisite durante la permanenza.

Mi racconta che vogliono far partire il progetto di un kitchen garden, ossia di un’orto, proprio allo Loi.ani, per dare frutta e ortaggi freschi agli abitanti del lago.

Utile è la mia collaborazione per la conoscenza del clima, del tipo di terreno, della qualità dell’acqua.

Ecco allora che posso fare tesoro dei miei 5 mesi passati allo Loiyangalani per indirizzare questa Ong, guidata dalla responsabile, Mrs. Katrin Seris, sulla via giusta.

Potrò dare loro consigli su come coltivare e con quali sostanze naturali locali, il tipo di piante più idonee a crescere in un ambiente così ostile, consigli sulla mentalità delle persone che incontreranno, per la maggior parte, persone che masticano conoscenze di pesca e pastorizia e dunque se vorranno mantenere attivo il progetto nel tempo, dovranno puntare moltissimo sull’educazione dei giovani, fin dalla primary school, per ottenere il successo desiderato.

Ecco dunque, che la mia esperienza trova una ragion d’essere, con questo trasferimento di risultati, di feedback raccolti in questi mesi, affinché altri possano portare avanti questo cammino.

Ben più felice è la riuscita dell’orto delle suore e del padre, i quali hanno dato ottimi frutti.

Abbiamo potuto mangiare watermelons, angurie dal dolce gusto, veder nascere e maturare le zucche gialle, i cetrioli, le bietole, le coste ed infine il basilico.

Infine voglio sottolineare, il regalo dei 6 pannelli solari, usati inizialmente per il progetto, donati alla parrocchia dello Loiyangalani, nella persona di fr. Andrew Ndirangu.

Essi hanno contribuito ad incrementare e portare ad un regime di autonomia la potenza elettrica necessaria per il fabbisogno degli alloggi, della chiesa, della hall per i meeting usata solitamente dai catechisti e come spazio di ritrovo della maggior parte dei bambini dello Loiyangalani.

Così è terminata la mia esperienza allo Loiyangalani, ricca di conoscenze e di emozioni, in special modo ricordo tutte le sisters, sr. Agnese, sr. Agostinella, sr. Lucimar, sr. Guendalina, good luck sister e the last but not the list, the king of the Turkana lake, father Andrew Ndirangu.

Gabriele

Riporto di seguito la mail inviata da Mrs. Katrin Seris

Dear Gabriel,

 I hope all is well. As discussed last week in the catholic mission in Loiyangalani VSF Germany will start a kitchen garden in the area. Since you have had quite some experience with planting fruits, herbs and vegetables during the past 5 months it would be interesting for us to know some of the experiences you have made. It would be good to know things like which plants worked our well, which plants did not grow and why? How is the quality of the soil? How did you treat the soil and the plants? Any other experiences you have made and you consider important for planting fruits and vegetables?

I am looking forward hearing your feedback. Thanks a lot for your support.

With kind regards,

Katrin.

Katrin Seris, VSF Germany, Liaison Officer

Nairobi, febbraio 2013

Eccomi qua,

seduto in questa piccola ma essenziale camera del Flora Hostel a Nairobi, scrivo in questo mite sabato sera della capitale keniota.

Dallo Loiyangalani a Nairobi, in un unico viaggio.

Viaggio, forse è la parola che ho utilizzato di più durante questa mia ricca esperienza africana.

Ho viaggiato tanto, in tutte le condizioni possibili, sia, in un primo tempo da passeggero e sia in seguito come driver.

Viaggiare in Africa percorrendo lunghe distanze è quasi un must.

Ma andando in ordine temporale degli eventi, che tanti si sono succeduti, menzionerei in primis,

l’attesa decisione di padre Andrew di partire in tempo per Nairobi per la celebrazione del Deaconate Ordination di Caesar, il seminarista ugandese con la quale ho condiviso molte giornate allo Loiyangalani.

Partenza fissata per mercoledì delle ceneri 13 febbraio, dopo la celebrazione della funzione liturgica di rito, per le ore 22:00.

Messa da me saltata a piè pari, per l’ennesima avventura accadutami.

La mattina dello stesso mercoledì, sister Lucimar si reca per organizzare l’uscita programmata, out of reach, per portare le vaccinazioni ai bimbi di Larash, villaggio poco distante dallo Loi.ani.

Un villaggio che si trova tra valli sassose, dove il caldo è opprimente, pochi gli arbusti che sopravvivono ma nonostante tutto ciò, vi abita l’uomo.

La stessa mattina, recandomi in town, vedo un camion pieno zeppo di ascari, la polizia locale armata tutto denti.

La sera prima, martedì 12, è scoppiata l’ennesima guerriglia tra Samburu e Turkana, motivo, lo scippo di animali da parte dei Samburu a danno dei Turkana, tre i morti, sparati a fuoco.

Mi informo sul luogo, la maggior parte mi indica il monte Kulal e i suoi verdi pendii, altri dirigono il loro dito indicandomi in linea d’aria, Sarima e Larash.

Primo fattore da considerare i continui spostamenti di questi pastori con al seguito i loro preziosissimi greggi o mandrie di bestie, dunque nessuno sa veramente dove si sono ficcati.

Sister Lucimar difronte al padre, chiede l’orario della partenza e il driver, il padre mi nomina driver per Larash per le 13:00.

Accetto.

L’imprevisto impegno, ha fatto si di anticipare il bucato, impegni vari ed una sorta di preparazione bagagli.

Finito pranzo, verso le 12:30, aiuto sister Lucimar a caricare i bagagli contenenti medicinali, vaccini, attrezzatura varia, dal peso non indifferente, per esaminare i bambini.

Mi accompagna una ragazza del gruppo di supporto hiv, parla poco l’inglese, da quanto capisco vuole salutare alcuni parenti nel villaggio.

Passiamo a prendere l’infermiere del dispensario governativo, dove carichiamo altri vaccini, per poi raggiungere la casa di Gabriella, infermiera del dispensario cattolico con la quale ho lavorato molto.

Gabriella non è ancora pronta, sono le 14:00, scendiamo dal pick up in sua attesa.

Questo è stato il punto di non ritorno, l’altra infermiera viene a conoscenza della sparatoria nei pressi in cui dobbiamo andare, intavola un’accesa discussione.

Giace insicurezza sul volto di Gabriella, partire o non partire ?

Faccio notare che più si discute senza prendere una decisione più tempo passa e più velocemente troveremo il buio davanti a noi, allora si che saranno problemi, soprattutto per me, in quanto non conosco la strada e preferirei guidare alla luce del sole.

Le mie parole vengono comprese, si decide di partire accompagnati da un escort, un PKR, ossia Police Kenian Reserve, un ufficiale della polizia armato con un fucile da 50 bullets, con opzione tiro singolo o tiro multiplo.

Si fanno le 14:45, partiamo.

La strada inizialmente è facile se non per qualche breve tratto, a metà percorso cambia nettamente, si viaggia solo su grandi pietre, rocce, sassaiole nelle quali le 4 ruote sprofondano pericolosamente.

Ma il bello deve ancora arrivare, si procede lentamente, visivamente pianifico la salita che ho davanti, scalo, seconda, prima, il motore si spegne a metà salita.

Freno a mano, malfunzionante, il pick up, scivola, lo tiro al massimo del leveraggio,  niente da fare, l’ascari smonta dal vano posteriore, mentre gli grido stone, stone, dopo un po’ capisce, blocchiamo il mezzo con 4 grandi pietre dietro le gomme, le donne nel frattempo escono, senza alcun timore.

Mi rimetto al volante, avvio il motore, ma niente anzi più provo più la batteria si esaurisce.

Dopo svariati tentativi, mi rassegno.

Cerchiamo soluzioni alternative.

Controllo il vano motore, l’olio c’è, il diesel seppur poco ce n’è quanto serve, fili batteria collegati ed integri, noto la pompa di mandata del diesel che non si indurisce pompando manualmente, forse è questo il problema.

L’unica soluzione è spingerla, è assai difficile perché siamo in mezzo a pietre di diverse dimensioni, a rischio delle nostre caviglie, ma non possiamo fare altrimenti.

Svuotiamo il vano portaoggetti dai pesanti contenitori e proviamo, ma niente, il tipo di strada non ci aiuta, tantomeno il pesante mezzo e l’estremo caldo.

Le donne decidono di andare a piedi per raggiungere il villaggio.

Io e ascari stiamo insieme.

Si decide di chiamare soccorso.

Tiro fuori il cellulare per telefonare, no network, nessun segnale.

Ascari mi indica una grande roccia in mezzo alla vallata, ci incamminiamo, forse là troveremo il segnale.

Rendo pubblica la mia paura di eventuali serpenti e scorpioni, nascosti tra questi caldi sassi e secchi arbusti rasenti il suolo, preciso che non parla inglese, quindi il tutto trova un spiegazione mimata con un’unica risposta “pole, pole”, ossia “piano, piano”, iko sawa.

Raggiungo la grande roccia, non credo ai miei occhi, 1 linea bianca di segnale compare sul cellulare, non perdo tempo, compongo il numero di fr. Andrew, il quale è in macchina che sta viaggiando verso le pendici del monte kulal, in poche parole riassumo la difficile situazione in cui siamo, le donne a piedi verso Larash, la macchina kaput, tutto ciò sotto un sole cuocente.

Ripeto più volte di portare con sé i cavi della batteria e gasolio.

L’acqua nel frattempo è finita.

L’aspetto positivo in tutto ciò è nel constatare che non vi è nessun uomo armato nelle vallati che ci sovrastano.

Dopo 2 ore arrivano i rinforzi, la jeep della missione, la stessa della manutenzione di Maralal, Akai e David, il driver.

In contemporanea arrivano le donne, Gabriella tiene sulla schiena una bianca capretta, l’unico essere animato trovato a Larash, oramai divenuto villaggio fantasma.

Colleghiamo una pesante catena di acciaio al pick up e la trainiamo fin quando il motore non ruggisce nuovamente, si danno un paio di profonde accelerate al motore mentre dal tubo di scappamento nere nuvole di fumo fuoriescono.

Sono le 18:00.

Con i motori accesi accanto ai nostri disidratati corpi, facciamo dietrofront, puntando il bianco cofano del pick up verso la grande distesa d’acqua, il lago Turkana.

Il paesaggio è mozzafiato, siamo sugli alti colli che fanno da cornice al mare di giada durante il tramonto, i raggi del sole si scindono in indimenticabili tonalità di arancio, giallo e rosso, mi fermo ad immortalare l’attimo.

Il pick up sale e scende di giri, rpm, sgaso per ravvivare il motore.

Accompagno per prima Gabriella, arrivati davanti casa, scendo per salutarla e tac, il motore si spegne.

My God, again !

Gli uomini mi aiutano a spingerla più volte, ma nonostante il loro generoso aiuto, il motore non si avvia.

Stanco, assetato e provato, alzo i finestrini, chiudo a chiave le due portiere, prendo la valigetta più preziosa e pianto l’auto sul ciglio della strada.

Nella mia mente solo il fresco termos pieno d’acqua compare, nulla più.

Disto circa 1 km dalla missione, inizialmente cammino poi i miei piedi spontaneamente aumentano il passo, fino a mantenere una leggera corsa.

Corsa che incontra sul suo cammino, l’uscita di una moltitudine di gente accomunata da una striscia grigiastra sulla loro fronte. Tra me e me, penso, “Dannazione, non sono arrivato in tempo”.

Arrivo in missione, Nawapa, Sannita, Akai, già arrivati con l’altro mezzo, sbigottiti mi guardano arrivare a piedi e mi domandano “Ancora ?”, “Yes, again” gli lancio le chiavi, dicendogli dove si trova il pick up.

Sapalanco la porta della cucina, afferrando il fresco termos, che in pochi secondi finisce, sotto lo sguardo di Joseph, il cuoco.

Mi siedo, tiro un sospiro di sollievo e gli racconto in due parole  l’accaduto, mi risponde “I knew it, pole sana”.

Trovo un po’ di relax nella piscina.

Ma la lunga giornata non è ancora conclusa, ho da preparare i bagagli, salutare le sisters, cenare, caricare la jeep, intanto, si fà buio pesto, ore 19:00.

Mercoledì 13 febbraio, ore 22:30, partenza per Nairobi.

Arrivo a Nairobi giovedì 14, ore 18:00.

Viaggio diretto, con due brevi soste alle 8:00 e alle 13:00.

Venerdì giornata di riposo, dopo ben 35 ore senza dormire, prendo il solo impegno di recarmi ad Accra road, lo stage dei matatu, per prenotare il biglietto del bus per Malindi.

Sabato 16 febbraio 2103:

Deaconate Ordination at 10 am in Allamanno House, Karen Nairobi.

Lungo, è l’aggettivo che meglio si addice per definire la celebrazione dei 5 diaconi e 2 preti.

Iniziata alle ore 10:00, si è conclusa alle ore 16:30, dopo una interminabile serie di balli, canti, raccolta fondi, rituali vari, etc.

Seppur la lunga durata della cerimonia, è stato un evento unico nel suo genere, ricco di colori, di belle, vivaci ed umane parole del missionario Virgilio Pante, nonché vescovo di Maralal.

Ringrazio Caesar per l’invito.

In attesa del nuovo viaggio.

Gabriele,

Nairobi, domenica 17 febbraio 2013

THE LAST DAYS IN LOIYANGALANI

Giovedì 7 febbraio 2013

Jambo to everybody !

Scrivo questa ennesima pagina di diario durante questa tanto calda e tanto ventosa mattinata di febbraio, qui nella missione cattolica dello Loiyangalani, Lago Turkana.

Tanti sono i giorni passati senza sporcare d’inchiostro queste candide pagine ed altrettanto tante sono le esperienze vissute.

Prima di tutto però voglio ringraziare di cuore tutti voi che mi avete scritto con generosità e con sentita vicinanza riguardo alla oramai passata vicenda.

Voglio dire che io sto bene e la vita qui è già dura così che non posso permettermi il lusso di pensare oltre al dovuto alla cosa, volente o nolente ce ne si fa una ragione, come qualcuno mi ha consigliato di fare, ci si rimbocca le maniche e si va avanti.

Quindi grazie nuovamente ancora a tutti quanti, in particolar modo a don Maurilio per le importanti parole spese.

Venendo a noi, tanti i giorni passati senza aggiornare il blog, complice inizialmente il forte vento a cui anche le più vetuste palme inchinano il capo, capace di cancellare quel poco di network che si riesce a ricevere ed in seconda battuta il viaggio a Maralal.

Domenica sera intorno alle 22:30, Fr. Andrew mi invita scendere con lui, Scolastica e Nawapa a Maralal per il giorno seguente.

Sveglia ore 5:00, partenza prevista ore 6:00.

Mi ritrovo dunque al mattino presto a settare il progetto per la mia assenza d’un giorno.

In cucina verso le 5:30 parlo con Joseph per chiedergli di dare giusto un’occhio, in special modo al livello dell’acqua del container, accetta volentieri.

Ci si ritrova tutti quanti sorseggiando una tazza di caffe caldo intorno alla jeep, finendo di caricare le ultime cose.

Mi meraviglio nel vedere Nawapa e Scola, puri africani 100%, portare per un giorno uno zainetto col cambio d’abiti mentre io nel mio marsupio avevo appallottolato la mia unica maglietta rimasta.

Ore 6:30: partenza per Maralal.

Km da percorrere 220, tempo stimato 7 ore, tempo impiegato 10 ore.

3 ore in più in Africa non sono uno scherzo si fanno sentire e come.

3 i pneumatici bucati uno dopo l’altro, i primi due in mezzo alla savana ed il terzo, fortunatamente poichè avevamo finito le ruote di scorta, in un piccolo villaggio chiamato Marti.

Tempo di riparazione di un copertone con camera d’aria incorporata, 2 ore.

L’africa è un po’ come l’ospedale in Italia, sai quando entri ma non sai quando esci e così viaggiare in Africa, sai quando parti ma non sai quando arrivi.

Ogni piccola cosa in Africa può diventare un piccolo spettacolo.

Io, bianco e 3 africani con una jeep, nel bel mezzo di questo villaggio.

Villaggio che si potrebbe descrivere facilmente rievocando quei vecchi film western, in cui vicino al saloon, rotola una balla di fieno accompagnata da nuvole di polvere marrone che si sperdono sopra le teste degli spettatori che attendono desiderosi il tocco della campana per il mortale duello a fuoco.

Ecco così si presenta Marti, un’unica via centrale, il centro del paese per l’appunto, dove osano passare gli arditi avventurieri, al cui fianco sorgono piccoli negozietti dai muri dipinti con vivaci vernici, dal rosso, all’arancio, al giallo, al verde, col nome del locale e dei prodotti venduti, al di fuori piccole e strette panchette di legno sverniciate accolgono i più anziani del villaggio oppure chi come noi deve aspettare la tanto attesa riparazione di una gomma “questa è l’Africa” mi dice Fr. Andrew col suo tipico sorriso.

In pochi minuti veniamo circondati da molti bambini, usciti proprio in quei minuti dalla primary school che curiosi salutano col loro inconfondibile “Helllloooooooo” per poi chiederci caramelle o scellini.

Dopo la lunga attesa e dopo esser stati oggetto di curiosità dei più piccoli, solitamente poi, arriva la persona più autorevole e volenterosa del villaggio che dopo aver nutrito la sua forte curiosità sul nostro viaggio, domanda se abbiamo bisogno d’aiuto.

Da qui inizia una lenta processione di passaparola riguardo agli attrezzi necessari per riparare la ruota della jeep, chiamare il più esperto in materia con al seguito i suoi aiutanti, sotto, banale oramai dirlo, l’infuocato sole di mezzogiorno ed un vento fortissimo che ti manda quella finissima polvere sollevata nel paesino giù fino a saturare l’ultimo bronchiolo libero rimasto.

Intorno a noi ed alla jeep ci sono circa 15-20 persone, tutte ad assistere a questa maestosa opera di riparazione.

L’attrezzatura usata è veramente semplice, una specie di piè di porco, un asta cilindrica di circa un metro, una pompa da bicicletta, un sasso raccolto al momento, colla ed il mio coltellino svizzero.

Dopo la lunga attesa e cooperazione, è il momento di ripartire.

Occorre precisare che le strade, se così vogliamo chiamarle, sono veramente brutte in questa parte del Kenya, ricche di sassi e rocce di tutte le dimensioni possibili, buche, avvallamenti, canyon in caduta libera a due passi dal bordo, letti di fiumi in secca, ponticelli semiceduti, salite rocciose che mettono a dura prova la concentrazione  e l’abilità di climber di Fr. Andrew, soprattutto quando al rientro da Maralal abbiamo optato per la shortcut passando attraverso le alte e fredde vette dei monti adiacenti il paese che sorge a circa 2100 m.

Verso le 16:00 arriviamo nel cuore di Maralal, una graziosa cittadina, dal clima mite, ricca di vegetazione, verdura, frutta, capre, mucche, asini, galline, servita da corrente elettrica e da un buon segnale network.

Le abitazioni sono in cemento e mattoni, lontane sono le gialle magnatte del lago Turkana, simili a palle leggermente ovali radicate sulle roventi rocce.

Maralal, possiede banche e tutti i servizi necessari per una vita dignitosa, certo le strade anche qui non sono asfaltate e devi fare lo slalom tra grandi buche e alti dossi di terra, nonchè animali e pedoni che camminano tranquillamente sulla mezzadria.

Questo paesaggio non può che non farmi richiamare alla memoria le strade periferiche di New Delhi, nelle quali vacche, scimmie e pedoni si uniscono ingorgando le vie indiane.

Qui, si possono vedere i pastori della tribù Samburu, imbellettati con le loro collane dalle colorate perline, dalla preziosa ed elaborata capigliatura andare in bicicletta parlando al cellulare, donne Turkana, dalle pesanti collane colorate, trasportare grandi pesi sulla testa ed i Kikuio, vestiti più all’europea, fiutare i possibili affari nel centro della cittadina.

Dopo esserci fermati a mangiare della gallina arrosto e del chapati, entriamo nel Pastoral Center della Consolata, dove troviamo ad attenderci il padre missionario Masino, piemontese d.o.c.

Persona poliedrica, sanguigna, intelligente intrattenitore, amante di Guccini e profondo ammiratore di Don Milani.

Ci fermiamo una buona oretta a parlare del viaggio e cosi via, ci diamo appuntamento a più tardi per la sobria cena.

Visibilmente stanchi dal viaggio, ognuno di noi si dirige nella rispettiva stanza per riposare, io mi fermo qualche minuto a parlare con lui, nel suo ufficio, gustando con piacevole sorpresa la sintonia intellettuale che si instaura. Parliamo un po’ di tutto dalla politica italiana e delle imminenti elezioni politiche alla Divina Commedia ai progetti d’aiuto umanitario in corso.

Verso le 22:30 mi ritiro.

Martedì 5 febbraio

Da tanto non sentivo quel piacevole fresco che accompagna la notte ed il suo dolce sonno, cosi come il farsi una doccia con acqua calda per allontanare il freddo mattutino dal corpo.

L’avevo dimenticata, la sensazione del freddo.

Dopo colazione, Fr. Masino, mi invita ad accompagnarlo a promuovere alla radio locale SERIAN 88.9 fm, la nuova apertura del negozio di gelato e pane.

Ho sentito bene ? GELATO ?!

Ebbene si, dopo un primo momento di sbigottimento chiedo maggiori informazioni e mi accompagna, all’interno della missione, nel laboratorio del gelato, incredibile, davanti ai miei occhi si presentano due grossi freezer professionali, un mantecatore ed un pastorizzatore, con scatole di coni, coppette, palette ed attaccate sui muri varie ricette.

Domando ai due ragazzi e alle due ragazze, gelatai d.o.c., dopo aver seguito un corso su come fare il vero gelato italiano, se c’è del gelato da assaggiare, tenendo aperta la porta del freezer fanno uscire 6 cilindrotti metallici contenenti gelato al gusto:

  1. cioccolato
  2. limone
  3. mango
  4. ananas
  5. latte
  6. banana

Condividiamo tutti insieme la gioia di un bel cono con ottimo gelato italiano ma dai gusti africani.

Dopo aver fatto la promozione alla radio, scendo in città perché voglio vedere di persona il negozio, semplice, ordinato e pulito, incontro all’interno gli stessi ragazzi del laboratorio, faccio un altro assaggio, ma questa volta ho da attendere, c’è una lunga fila di golosi clienti fuori dal negozio.

Pensare di mangiare ottimo gelato italiano a Maralal, per chi non lo vede coi propri occhi può sembrare fantascientifico.

Questo è l’ennesimo progetto giovanile andato a segno con successo da padre Masino, complimenti.

Dall’altro fronte padre Andrew non conclude i suoi affari per un problema causato dai computer nella kcbank, la jeep nel frattempo è in manutenzione nel garage della Consolata.

Nel pomeriggio arriva la notizia che la jeep richiede più tempo di quanto previsto per le necessarie riparazioni e controlli, si decide dunque di rimanere un’altra notte.

Padre Giorgio, di origine colombiana ci invita a visitare le sue due green house, ed il suo ricco e tropicale orto, si trova di tutto dentro, sembra il giardino dell’Eden.

Secolari piante di banana, mango, papaia, avocado, piante di pomodori, sukumawiki, parimenti alle nostre coste, piante di peperoncino rosso, piante di tabacco, piante di arance e possiede perfino un pesco.

Scatto qualche foto ricordo.

La sera mi ritrovo con entrambi i padri a parlare dei progetti che decidiamo di portare avanti insieme: quello della torcia a ricarica elettrica tramite piccoli pannelli solari ed il progetto delle capre da latte.

Il mattino successivo mercoledì 6, dopo aver atteso le numerose saldature eseguite per sostenere il supporto di una delle sospensioni ed il cestello della batteria ed aver mangiato un gustoso cono gelato per pranzo, verso le 14:00, partiamo per lo Loiyangalani.

Portiamo con noi verdure, frutta, acqua, quintali di mais per la nursery school di sister Agostinella e per Nicolas, un ragazzo che a presto diventerà seminarista e che sta dedicando i suoi giorni nel miserrimo villaggio di Sarima, poco distante dallo Loiyangalani.

Mi confida che l’acqua proveniente dal pozzo scavato da una ong è di cattiva qualità, è salata, molti si stanno ammalando nel villaggio, forse la causa è da ricercarsi proprio nella composizione dell’acqua.

Ne porterò un campione a Nairobi per farlo analizzare ed insieme a padre Andrew ne seguiremo gli sviluppi.

Viaggiamo per ore ed ore, tanti i paesaggi che cambiano davanti al potente motore Toyota, un 4200 cc, che ci permette di affrontare, quasi per la maggior parte del percorso, serenamente i ripidi ed assai accidentati pendii e gli scoscesi canyons.

Incontriamo bara bara, strada facendo, il vescovo di Maralal, Virgilio Pante, trentino d.o.c., insieme a Paolo, un giovane ragazzo di Cuneo, che dopo essersi diplomato geometra, ha deciso di partire per aiutare chi è meno fortunato di noi.

Ragazzo assai intelligente e determinato, un vero piacere la sua conoscenza.

Arriviamo a South Horr, dove ritiriamo le uniforms per sister Agostinella, intorno le 20:00 per arrivare a Sarima verso le 21:30, dove troviamo Nicolas, seduto fuori dalla scuola-chiesa ad attenderci. Gli consegniamo verdure, frutta ed acqua di buona qualità.

Ci sgranchiamo, quel tanto che serve, le membra, ripulendoci con stracci trovati al momento le nostre facce, cambiate di colore per l’abbondante terra alzata dal fortissimo e caldissimo vento.

Viaggi del genere mettono a dura prova la mente ed il fisico.

Giungiamo finalmente in missione verso le 22:30.

Si cena tutti insieme a base di nalpash, l’ottimo pesce del lago Turkana, patate e carote, sapientemente cucinate da Joseph.

Ognuno si ritira nella sua branda e penso per chi ci avesse visto in quel momento, più che corpi umani apparivamo come zombie.

Nessuno di noi riuscì a riposare quella notte.

Progetto

Il progetto dei pomodori, è attivo, le piante sono verdi e rigogliose, ma i frutti tardano ad arrivare.

Sarebbe il momento dell’impollinazione dei fiori, ora, ad opera delle api, ma col forte vento sono rare. Attendo che la natura faccia il suo corso.

Ben maggiore soddisfazione mi sta dando la piccola shamba ossia il piccolo orto, coltivato con sister Guendalina, prima che si rompesse il femore cadendo dal letto, intorno a metà Novembre.

Si tratta di circa 3 m^2 di terreno, ben concimato con bolea, lo sterco di capra.

Piante di basilico, bietola, coste e cetrioli, hanno già dato i frutti, mentre la zucca sta fiorendo in questi giorni.

Così come, l’orto del padre, che abbiamo coltivato a cetrioli, watermelons, zucche, cetrioli stanno dando, positivamente, i frutti.

Questa mattina, venerdi 8 febbraio, abbiamo piantato piante di mango, papaia e guava, ci sono state generosamente regalate da padre Giorgio in Maralal.

Speriamo in bene, “hoc est in votis”.

Gabriele from Loiyangalani

IL COLORE DELLA PELLE

Scrivo questo articolo, per la prima volta dalla mia presenza qui allo Loiyangalani, fuori dalla missione della Consolata.

Questo è un dettaglio che volontariamente voglio sottolineare, dal punto di vista simbolico.

Fino ad ora ho sempre scritto cose positive inerenti: la mia vita vissuta qui allo Loiyangalani, in mezzo a questa popolazione mista di Turkana, Samburu, Rendille, El molo o che riguardavano l’impegnativo progetto di coltivare i pomodori in questa terra ricca di sole, vento e pietre oppure ancora sulla motivazione che mi ha spinto a raggiungere un luogo cosi ostile alla vita per seminare un po’ di bene ed un po’ di benessere.

Ma la cosa che mi è successa martedì 22 gennaio 2013 non doveva succedere.

Come tutte le mattine, mi alzo alla luce dell’alba che penetra dalle finestrelle della mia cameretta, che chiameremo guest house, intorno alle 6:30, dopo qualche minuto per riprendermi dalla scomodità del letto, causa alcune doghe rotte e districatomi dalla zanzariera, mi dirigo a darmi una bella rinfrescata.

Raggiunta, successivamente la cucina, dopo aver salutato Joseph, il cuoco e Scolastica, l’aiutante, faccio colazione.

Solitamente poi, vado a controllare e sistemare il progetto, per recarmi verso le 10:00 in dispensario per dare nel mio piccolo assistenza a sister Agnese e a Mourithi, il giovane, temprato e bravo infermiere keniota.

Quel mattino, c’erano due gravi casi di malnutrizione infantile, un bimbo di 3 settimane, dal corpo così piccolo ma dai lineamenti del viso così dissonanti da tutto il resto, che non poteva non suscitare in me ed in quanti lo vedono, un forte impatto visivo misto ad una forte impressione emotiva.

Alcune istantanee riflessioni sul grande mistero della vita e delle atroci e spietate leggi che regolano questo mondo, mi riempiono la testa.

Un altro bimbo più grandicello giaceva in grembo alla madre, lì accanto, ragionevolmente in apprensione.

Il bimbo dagli occhi rivolti al cielo, con la bocca mezza aperta tra il ronzio di queste così fastidiose mosche, era a combattere tra la vita e la morte.

I suoi occhi neri cosi strani, quasi ad indicare l’assenza da questo mondo, velati da un nonsochè di morte, ci davano la sensazione che forse da un momento all’altro ci poteva lasciare, rendendoci partecipi del suo ultimo spiro.

Tutti quanti eravamo stretti a queste quattro creature, alle due mamme con i rispettivi figli, quasi a formare, inconsciamente, con i nostri corpi un muro difensivo contro il male.

Tutto ciò che clinicamente si poteva fare, l’abbiamo fatto, la somministrazione di medicine, integrata dalla flebo contenente la soluzione nutritiva per ridare un po’ di energie a questi deboli corpi così duramente provati.

Infine si è cercato di dare la maggior comodità possibile alle madri, stendendo a terra le mcheche, le stuoie di palma.

Ad un tratto sento chiamare ad alta voce il mio nome, vedo con la coda dell’occhio Augostine, il ragazzo che ha portato, diligentemente e con buoni risultati, avanti il progetto idroponica, avvicinarsi a me, dicendo che mi vuole parlare.

Gentilmente gli chiedo di aspettare un momento, perché sto aiutando a curare le due giovani creature.

“Eccomi, dimmi tutto, sono qui !”, cosi mi rivolgo a lui, dopo poco.

Lui mi risponde che c’è una ragazza Karija, musulmana, che desidera parlarmi, ok no problem dico io.

Domando dove sia e lui mi dice che sta aspettando nella guest house.

“Augostine” gli dico, perché lì, se vuole parlarmi può benissimo farlo al gate, come oramai tutti quanti fanno.

Lui sorvola farfugliando qualcosa e cosi faccio anch’io, dato il rapporto instaurato in questi mesi, di reciproco aiuto e rispetto.

Va bene, andiamo a parlarci e vediamo un po’ cosa vuole.

Una volta raggiunta la guest house, solo ora col senno del poi, dico che ho trovato la situazione strana, impalpabile non chiara, dettata in primis dal comportamento di lei troppo silenziosa, un certo sesto senso non del tutto compreso mi ha fatto suonare un campanellino d’allarme.

La faccio, cortesemente accomodare sulla mia sedia, ed io mi accomodo per terra, porgendo la seconda sedia ad Augostine, che rifiuta con una risposta spiazzante, fuori luogo, mi dice che deve andare nel bush, nel boschetto lì accanto, a fare un qualcosa di imprecisato, allorché rispondo a lui “che vai a fare che siamo qui tutti e tre insieme, soprattutto io sono con questa ragazza che neppure conosco”, ma lui si incammina.

La mia attenzione torna su di lei, le domando perché voleva vedermi e cosa vuole da me.

“Voglio che tu diventi il mio sponsor, che mi paghi le cose di scuola”.

Dopo aver riflettuto un’attimo, le rispondo che non posso, perché ho già speso molti miei privati soldi per il progetto agricolo, indicandoglielo con il dito e che non posso sostenere una spesa simile ora come ora, mi dispiace.

Finita la conversazione, tutta racchiusa nella frase soprastante, la invito, educatamente, ad andare fuori dalla missione, dato il mio impegno con sister Agostinella, ad incontrarci nella cucina, per bere un fresco bicchiere d’acqua, tanto desiderato.

Cosi entrambi chi prima, lei, e chi dopo, io, prendiamo strade diverse, dopo averla salutata.

Mi incontro con sister Agostinella e dentro di me avevo un qualcosa da raccontarle, mi confido con lei riguardo a questa vicenda, più che altro per la pretesa che questa ragazzina di 15 anni, mi ha fatto, cercando in me denaro, in quanto uomo BIANCO e per la mia personale curiosità di capire cosa significhi essere sponsor per un NERO.

Senza troppo peso e dopo esserci dissetati e ristorati un momento, riprendiamo le nostre faccende.

La sister, in qualità di direttrice, ritorna nella nursery school, equiparabile alla nostra scuola dell’infanzia, dai 3 ai 5 anni ed io al mio progetto ed al mio bucato che mi attende.

La sera prima, lunedì 21, è arrivato un bel gruppo di 20 giovani, tutti locali della Caritas di Maralal, per passare 4 giorni di relax nella parrocchia dello Loiyangalani.

Giunge sera, dopo cena, mi unisco a loro nella piscina per trascorrere un po’ di tempo insieme al fresco, tra una chiacchera e l’altra.

Verso le 21:00 circa, Nawapa, il watchman notturno, accompagnato da due ragazzi in borghese, mi chiama in disparte, nell’angolo più solitario della piscina per parlarmi.

Lo raggiungo e i due uomini, mi invitano ad uscire per parlare di una certa ragazza.

Chiedo a loro di identificarsi, prima.

Due ufficiali della polizia della piccola stazione dello Loiyangalani.

Vero no, vero si, inizio a parlare con loro, inizialmente dalla piscina, basito per quest’incontro e per le prime parole che sento.

Nella mia mente, affiora in un flashback di pochi centesimi di secondo, ma che col passare dei minuti prenderà sempre più spazio, il racconto di una grave disavventura giuridica nonché burocratica di arresto accaduta ad un amico di Carlo, narratami da lui stesso a Malindi.

Vedendo che la cosa non si risolve velocemente e captando parole del tipo: ragazza, prigione, Marsabit, giudice, presto esco dalla piscina, assai preoccupato ed arrabbiato ed in quattro e quattrotto, mi levo il costume per vestirmi, pronto per affrontare questa sfida che la vita mi ha messo di fronte.

In me inizia la quadratura del cerchio del brutto scherzo tirato da Augostine e dalla ragazza.

Vedo Caesar, il seminarista ugandese, lo chiamo a me, mettendolo a conoscenza su chi siano questi uomini e con un fulminante riassunto, sull’episodio di questa ragazza, Karija.

Nawapa, si stacca dal gruppo per tornare al suo lavoro di guardiano e come quella sera per aiutare Akai, il collega, alle prese con l’ennesima riparazione del pick up del padre.

Chiedo di Fr. Andrew, il quale è di ritorno alla missione, dopo una breve uscita in città.

Dopo circa 30 minuti, ci accomodiamo, tutti quanti, nell’ufficio di padre Andrew per capire e comprendere, per me, l’inconprensibile, dettato dalla menzogna.

Per primo sono io che prendo parola perché voglio raccontare la storia di me, Augostine e di questa ragazza.

Con toni forti, decisi, senza dare spazio a nessun dubbio od interpretazione, descrivo quegli attimi, dettaglio per dettaglio, dal dispensario al congedo da colei.

Caesar e Fr. Andrew, attentamente ascoltano il tutto, i poliziotti sembrano disinteressati, quasi scocciati a stare seduti ad ascoltare le mie parole.

Si alternano momenti di kiswaili ed inglese, Caesar anche su mio invito, chiede gentilmente di parlare ai poliziotti in inglese, ma questi rifiutano con mio stupore, noto che Caesar non insiste ed io, gli butto un’occhiata come per dire non è possibile, non è giusto.

Se qualcuno fosse entrato in quel momento da quella porta di quel piccolo, afoso e sperduto ufficio nel nord del Kenya, sarebbe stato completamente pervaso da un’aria di estrema tensione, concentrazione, attenzione, di caldo avvilente, tra fronti sudate e fazzoletti pregni di passata stanchezza, illuminato dal debole chiarore di una nuda lampadina attaccata ad un filo.

Esattamente questo era quello che provavo, il mio destino era attaccato ad un filo di speranza, potevo finire in prigione a Marsabit la notte stessa, per un reato mai fatto, aprendo poi un contenzioso che chissà quanto tempo avrebbe richiesto per concludersi oppure finire il tutto in pochi giorni, chiaramente pagando chissà chi, chissà quanto, chissà dove.

Nella mia mente balenavano forti pensieri e forti sentimenti pulsavano nel mio cuore.

Ora, è il turno dei poliziotti, che riportano la versione dei fatti, secondo la ragazza.

Il più giovane dei due, prende parola.

Lo ascolto attentamente, per quel poco, che posso comprendere il kiswaili.

Caesar, finito il racconto, mi traduce quanto detto.

Questi i fatti secondo la ragazza:

dopo esser giunta nella guest house, è stata presa di forza e portata in camera, per poi riuscire a liberarsi e scappare.

Ora tutti i pezzi del puzzle mi sono chiari, come acqua cristallina sotto il sole di mezzogiorno.

Augostine e la ragazza, hanno organizzato, pianificando e attuando un complotto, contro la mia persona, per estorcermi, chiaramente, denaro.

Immediata la mia reazione di telefonare Augostine, proprio lui, a cui ho affidato il progetto, a cui ho affidato la mia fiducia fino ad ora rispettata, a cui ho donato una giusta ricompensa per il lavoro svolto, proprio lui a cui ho teso la mia mano per aiutarlo non solo economicamente ma anche con sentiti e veri suggerimenti, proprio lui mi ha tradito.

Anche il padre e  Caesar, provano a contattarlo ma non c’è nulla da fare, il telefono risulta spento.

Che gran dolore che ho provato in quel momento, tante le riflessioni fatte e scalfita violentemente è la mia motivazione.

Caesar con maestria sembra addomesticare come si fa con i cani i due poliziotti che divengano mansueti e sembra anche più ragionevoli.

Caesar vuole andare a parlare con la famiglia della ragazza, scortato dai due poliziotti, chiedo se è bene la mia presenza, non tanto per parlare ma per guardare in faccia coloro sui quali la menzogna giace sulla loro lingua.

Partono senza di me, dopo che Caesar, prendendomi in disparte, mi rassicura dicendo che le cose sembrano andare per il verso giusto, sembra anche essere esclusa la presenza di recarsi davanti ad un tribunale per essere giudicato di un crimine mai commesso.

Tutto ciò è pazzesco.

Sono oramai circa le 22:00, l’appetito ha preso un’altra strada, sorseggio giusto un té caldo, circondato da Scolastica e Joseph, a cui racconto l’assurda vicenda.

Mi reco successivamente dalle sisters per metterle al corrente del bruttissimo scherzo tirato da Augostine, troppo grande per me, non doveva farlo.

Parlo con loro qualche minuto, sbirciando sempre dalla porta semiaperta, per vedere se giungono le luci del pick up di Caesar, portando con sé la tanto attesa notizia sul da farsi.

Dopo poco, mi congedo, sperando che tutto si possa risolvere nel più breve tempo possibile e in maniera positiva.

Ritorno a sedermi sulla panchetta di legno, sotto il porticciolo della missione, dove Joseph e Scola, mi domandano novità in merito, ma ancora nulla, tutto tace, pure il vento ha smesso di soffiare questa notte, rendendo ogni cosa ferma, immobile, in palpitante attesa.

Si sente, intorno le 23, l’inconfondibile rumore dell’apertura del gate, è Caesar che giunge a bordo del pick up.

Ci incontriamo a metà strada, noto il suo viso stanco ed esausto, illuminato dal chiarore della luna piena di quella notte, attendo che spontaneamente proferisce qualche parola, due visi e due corpi sofferenti uno dinanzi all’altro.

Racconta che sono stati momenti difficili, una volta giunto nella famiglia, la quale aveva messo in scena una pseudoassemblea formata da tutti i membri, pronti a scagliare insulti e a puntare il dito contro me, contro lui, contro la missione.

L’irrazionalità  e la cieca ingordigia plasmava la mente di costoro, interessati ad un’unica cosa.

Ma tutto, seppur aveva richiesto molto tempo, era andato per il verso giusto, dopo aver pagato una piccola somma alla famiglia ed ai due poliziotti.

Potevo nuovamente, oramai a notte inoltrata, respirare a pieni polmoni il profumo della libertà e della forza della verità.

Seppur risollevato di morale non ero felice, in cuor mio risuonavano come forti squilli di tromba, una matassa intricata di sentimenti di rabbia, di forte dolore, di forte amarezza e pungente delusione come una grande onda in aperto oceano che si abbatte con tutta la sua forza, schiacciandoti in basso, nelle sue gelide acque.

Esausto mi reco a letto, pensando che fosse stato solamente un brutto sogno, trovo giusto ancora qualche energia per soffiare sulla debole fiamma della candela per poi cadere nel sonno più profondo.

Sento bussare alla mia porta, controllo l’orologio è mezzanotte passata, penso chi possa essere a quest’ora, trovo le forze di aprire gli occhi, alzarmi e aprire la porta, mi si presentano davanti agli occhi, suor Agnese, Agostinella e Lucimar con l’immancabile lanternina che rischiara il loro candido abito bianco.

Quanto ho apprezzato questo loro gesto di sentita vicinanza ed affetto nei miei confronti.

Vistosamente stanco, racconto a loro, lo scampato pericolo da questo complotto, per poi l’indomani descrivere i dettagli, sono troppo stanco, ripiombo nel letto.

Mercoledì 23 gennaio

Mi sveglio, un nuovo giorno ha inizio, incorniciato dal sonoro canto dei galli e dai caldi raggi del sol levante che tingono di calde tonalità le frasche delle palme più alte che circondano questa oasi.

Mi sciacquo la faccia con abbondante acqua ma niente da fare non mi sento bene, sono ancora scosso da quanto è accaduto il giorno precedente, soprattutto per la delusione provata.

Verso le 9:00 mi reco al quotidiano appuntamento del progetto, ma passo prima nello store dove ho riposto tutta l’attrezzatura necessaria per la manutenzione per prendere cacciavite, pinza e forbice.

Con mia grande sorpresa, non li trovo nel solito posto, cerco altrove, sopra, sotto a  destra e a manca, ma niente non ci sono più.

Solo una persona conosce l’esatto posto dove li metto, una volta usati.

Un senso di profonda tristezza e di delusione umana mi colpisce in quel momento.

MADRE TERESA DI CALCUTTA

Dai il meglio di te

L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico

NON IMPORTA, AMALO

Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici

NON IMPORTA, FA’ IL BENE

Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici

NON IMPORTA, REALIZZALI

Il bene che fai verrà domani dimenticato

NON IMPORTA, FA’ IL BENE

L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile

NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO

Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo

NON IMPORTA, COSTRUISCI

Se aiuti la gente, se ne risentirà

NON IMPORTA, AIUTALA

Da’ al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci

NON IMPORTA, DA’ IL MEGLIO DI TE

 Gabriele from Loiyangalani

IL SABATO DELL’INFANZIA MISSIONARIA

Articolo scritto alle ore 8:00, pubblicato alle 16:20

Ciao a tutti i lettori,

vorrei cominciare questo articolo, dicendo che ad una settimana esatta dal mio arrivo allo Loiyangalani, la mia salute è chiaramente migliorata, ho ripreso uno stile di vita da sano.

E così, mi sono rimesso attivamente al lavoro, ai miei impegni, qui, in questa terra di sole, secca, ventosa, fatta da pescatori che tornano al tramonto su queste barchette cariche di pesce, per poi andarlo a vendere nei villaggi vicini o barattarlo con della farina dalla quale, una volta impastata con della semplice acqua e sale, si produrrà l’ugali, che accompagnerà le cene al lume di candela o illuminate dal chiarore della luna piena, dei Turkana, questi alti e forti guerrieri e cacciatori, alcuni di essi adattatisi a divenire pastori.

Mentre le donne turkana, avvolte nei loro parei, i cosiddetti kanga, teli dai colori sgargianti, dalle fantasiose stampe, che si fanno tutt’uno con le numerose e colorate collane, lasciando scoperto solo il volto, solcato e levigato dalla sabbia del deserto, dagli alti zigomi e dai grandi occhi scuri.

Lucenti brillano nell’eterno sole gli orecchini sovente a forma di foglia che si riversano come cascate sui loro lembi, abbarbicati su in alto così che tutti ne possano ammirare la loro bellezza.

Loro si aggirano per il villaggio per acquistare quel poco che serve per vivere la giornata, alcune si danno al commercio di collane e suppellettili in generale, altre vendono angia, un incenso dal profumo misto di erbe aromatiche, molto buono, chi raccoglie quel poco legname che ancora hanno a disposizione.

Sempre molto vissuto è il lavatoio comune, dove madri e bimbi si ritrovano oltre che per fare il bucato, per passare insieme alcune ore, scambiandosi le ultime news, luogo consacrato, nella mia testa, a piazza pubblica.

Questo sabato mattina per tutto il giorno, ci sarà una festa nella missione a favore di tutti i ragazzini della parrocchia, Caesar, il seminarista ugandese, mi ha spiegato che rappresenta la loro epifania.

Penso che voglia riferirsi al fatto di stare tutti insieme, durante il pranzo e nei momenti ludici che seguiranno, complice anche la chiusura della scuola il sabato.

Le piantine crescono bene, quotidianamente le controllo e me ne prendo cura.

Gabriele from Loiyangalani

Aggiornamento delle 16:10

Si è appena conclusa la festa dell’infanzia missionaria dello Loiyangalani, si trattava di un pranzo collettivo a base di riso e fagioli, per circa 400 bambini dai 5 ai 12 anni.

Che rabelotto !

Domare un bel gruppo di bambini come questi è stata dura, ma tutto si è svolto con relativo ordine e pulizia.

Ora ci sono in corso delle danze e canti locali turkana.

Gabriele from Loiyangalani

Il ritorno allo Loiyangalani

Scriverò poco in questo articolo, perché la malaria ha bussato nuovamente alla mia porta.

I sintomi questa volta sono ancora più forti, sto prendendo svariate medicine per ristabilirmi il prima possibile.

Inizierei nel scrivere C.V.D., ossia come volevasi dimostrare, facendo riferimento all’ultima frase dell’ultimo articolo scritto, “Sarà un viaggio difficile in tutti i sensi”, ma mai mente umana avrebbe potuto immaginare tanto.

Partito mercoledì sera da Malindi sono arrivato sabato mattina allo Loiyangalani.

Molte le cose che sono successe a me e al padre.

A Niyahruru, siamo stati arrestati e spediti in prigione, un posto fresco, pulito e tranquillo.

Successivamente ci hanno scortato davanti al giudice per la sentenza e la condanna, rappresentata da 8000 kes ossia la cauzione per evitare 3 mesi di galera.

E’ stata tutta una commedia, il contrasto tra il luogo serioso e le persone tuttaltro che serie, non ha potuto che suscitare in me ilarità, contagiando in un secondo momento anche il padre.

La causa di tutto ciò: viaggiavamo con le gomme lise.

Dopo aver perso un intera giornata nella Law Court, abbiamo fatto visita alla parrocchia del vicino paese, Solipi, dove abbiamo trovato un letto per dormire ed una doccia per toglierci la molta sabbia e la polvere accumulata sul nostro corpo compresa la molta stanchezza del viaggio.

Giunti all’inizio della cittadina di Maralal, abbiamo bucato la gomma nuova appena comperata.

Sostituita, abbiamo cercato un gommista per riparare quella bucata.

Da qui siamo ripartiti alla volta di Baragoi, dove il pick up, un land cruiser toyota, ci ha abbandonato. Il meccanico di fiducia di Fr. Andrew, prontamente ha riparato il guasto al filtro del diesel ed al contatto elettrico della tanica del carburante.

Ripartiti a sera tardi, ci siamo diretti a South Horr, poco lontano dallo Loiyangalani, dove abbiamo consegnato sacchi di zucchero ad alcune famiglie.

Tutto sembrava scorrere per il verso giusto quando a Sarima, a circa 30 km dalla missione, entrambi i serbatoi si svuotano.

Sdraiati nel bel mezzo della notte, sotto il pick up, in mezzo al deserto con la nostra piccola torcia elettrica, abbiamo cercato di spremere l’ultima goccia di diesel dalle due taniche, maneggiando con i tubicini che portano il carburante.

Cosi sabato mattina, siamo giunti alla missione, dopo aver passato molte avventure e macinato molti kilometri.E’ stato un viaggio che ha messo a dura prova tutte le nostre facoltà mentali nonché fisiche.

Sabato, dopo aver dormito qualche ora, mi sono diretto al progetto, desideroso di rivedere le piantine  lasciate in mano ad Augostine, un ragazzo della parrocchia, circa 3 settimane fa.

All’apparir del progetto, non nascondo l’emozione che mi ha colpito, un misto di felicità, incredulità, meraviglia.

Alte e forti sono le piante, dal fusto spesso e dalle numerose foglie, ricche in cima di fiori gialli.

Che gratitudine  e che gioia che ho provato in quel momento pensando in un flash a tutti gli sforzi, a tutte le energie,  a tutto l’impegno che giorno dopo giorno, anche nei momenti di malattia ho donato al progetto affinché si potesse raggiungere un risultato simile, che gioia tutto ciò.

Nello stesso momento mi riecheggiavano forti nella testa le parole di Don Maurilio, il quale mi disse il giorno prima di partire, durante la nostra chiacchierata: “Il Signore fa fiorire il deserto”.

Qualche giorno fa si è raggiunta la temperatura al sole di 65 gradi, di tutto questo caldo anche il mio pc a volte ne risente, ma cerco di mantenere nonostante questo i contatti di aggiornamento.

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Un saluto a tutti in particolare alla mia famiglia

Gabriele Caccia

from Loiyangalani

RIPARTENZA PER IL LAGO TURKANA

Ciao a tutti,

sono in partenza per il lago Turkana, oggi mercoledi 9 gennaio, ore 19:45.

Parto da Malindi, prendendo il bus della Dreamline Express che mi porterà fino a Nairobi, arrivo previsto 6:00 am.

Qui cambierò mezzo, prenderò un matatu, il pulmino a nove posti, stile viaggi della salvezza, dirigendomi a Nakuru, dove cambierò nuovamente matatu, direzione Nyahururu.

In questo piccolo paesino, ad ovest del monte Kenya, incontrerò Fr. Andrew, con il quale proseguirò il viaggio con il pick up della missione, passando per Maralal, Baragoi per giungere finalmente allo Loiyangalani.

Non sarà un viaggio facile in tutti i sensi.

Ci riaggiorneremo allo Loiyangalani.

un saluto a tutti

Gabriele

 

 

 

da qui, proseguirò con un matatu per Nakuru, dove cambierò

 

In attesa della partenza…

Sono giorni questi, in cui c’è un gran via vai di notizie, consultazione web, informazioni tra di noi, per poter prenotare chi il biglietto aereo e chi il biglietto del pullman per Nairobi, ma tutto sembra full booked o perlomeno fino a martedì 8 gennaio.

Malindi, durante il periodo delle vacanze natalizie, si riempie non solo di locali ma anche di turisti europei, per la maggior parte, per poi, una volta concluse, ripartire verso la grande capitale per riprendere i propri posti di lavoro, lasciandosi velocemente alle spalle i ricordi dell’acqua salata dell’oceano e le bianche spiagge di Marine Park.

Cosi domani, lunedì 7 gennaio, voracemente, prenoteremo i tickets per Nairobi per poi spostarci ad Isiolo e da lì percorrere il lungo e difficile sentiero che porta al lago Turkana.

Vi aggiornerò, quando avrò novità sicure.

Pubblico, ora, alcune foto degli abitanti del lago Turkana.SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAM_2250

Buona domenica !

Gabriele

Parrocchia del Cuoricino, Cardano al Campo, Italia

Vi sto scrivendo dalla silversands beach di Malindi, punto sulla costa dell’oceano Indiano, sede del monumento commemorativo dell’approdo di Vasco da Gama.

L’esploratore portoghese visitò la città nel 1498 e qui ottenne i servigi di navigatori esperti che lo condussero fino a Kerala, in India.

Vasco da Gama, fu il primo europeo a navigare direttamente fino in India doppiando Capo di Buona Speranza, erroneamente considerato tutt’oggi, l’estremità più meridionale del continente africano.

Da Gama lasciò Lisbona nel luglio 1497 sulla sua ammiraglia, la nave São Gabriel (120 t), accompagnata dalla São Rafael (100 t) e la Santa Fé, giungendo in India nel maggio 1948.

Questo articolo lo voglio dedicare alla generosità di don Maurilio e di tutta la parrocchia del Cuoricino. Prima della partenza, mi sono state consegnate alcune magliette con il logo: oratori di Cardano al Campo Passpartù S. Luigi e S.G. Bosco, le quali sono arrivate a destinazione presso il lago Turkana, nel dimenticato villaggio dello Loiyangalani.

Testimonio la felicità dei bambini che le hanno ricevute, alzandole in alto, verso l’azzurro cielo, in segno di vittoria.

Purtroppo non ne avevo a sufficienza per tutti e cosi, alcuni, sono rimasti con le mani vuote, ma grande è stata la gioia nel vedere, alcuni giorni dopo, proprio quegli stessi bambini rimasti senza, indossarle, prestate con generosità dai loro amici.

Settimana prossima, dopo la riunione che si terrà oggi, ritornerò nel fatato lago Turkana, portando con me, limitato dal lungo e faticoso viaggio che mi attende, magliette, quaderni e matite colorate.

Queste sono alcune foto scattate nel mese di Novembre e Dicembre 2012, località Loiyangalani.

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Con onore, inoltre, pubblico le foto del presepio della parrocchia del Cuoricino di Cardano al Campo, di Don Maurilio accanto alla spiegazione del progetto e della statua raffigurante la vergine Maria.

Queste foto, stanno a simboleggiare il concreto e generoso legame stretto tra la parrocchia del Cuoricino e la parrocchia dello Loiyangalani.

Gabriele Caccia

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