Dall’iconico bacio tra Honecker e Brezhnev sul muro di Berlino, incontestabile simbolo della caduta della cortina di ferro, a “L’ultimo bacio di Romeo e Giulietta” di Hayez dipinto dal gaviratese Andrea Mattoni sulla scuola Risorgimento, la stessa in cui andava 40 anni fa, e la caduta dei pregiudizi sulla street art. Che non smette mai di stupire. E di dividere l’opinione pubblica. Tra chi vede i writers come nuovi eroi, moderni Prometeo che rubano l’arte agli dei dell’Olimpo (aka collezionisti privati) per portarla al popolo, e tra chi li accusa di empia profanazione di luoghi pubblici.
Ma dove e quando è nata la street art? Non negli anni 80 nel Bronx con i Tats Cru e nemmeno in Messico con Diego Rivera, che con i suoi murales fomentava il proletariato di tutto il mondo ad unirsi mentre la sua bella Frida si univa al “proletario” Trockij. Il primo graffiti fino ad ora conosciuto si trova nella grotta di Altamira, in Spagna, e risale a 18 mila anni fa. Non solo bisonti e cinghiali, ma anche forme e concetti astratti. Un istinto naturale quello di decorare le pareti del proprio habitat quindi, tanto che spesso i bambini, in preda a inspiegabili impulsi ancestrali, si cimentano a fregiare con il proprio “tag” i muri appena ripitturati di casa. Finché arriva mamma-società a dire che i muri devono essere bianchi. E zitti.
Insomma, la diatriba sull’arte muraria è diventata l’emblema del conflitto generazionale. Irrisolvibile quindi. E invece c’è chi ha conciliato l’inconciliabile. Chi ha dipinto con le bombolette spray maestri dell’olio come Caravaggio e Hayez. Chi, a dispetto del b-boy con lo skate che scappa dalla polizia del nostro immaginario, ha appena finito un murales per il tribunale di Varese. E ha di recente stretto la mano a Macron e Mattarella. È Andrea Mattoni, in arte Ravo. Il suo segreto? “Solo nel passato vedo il vero futuro”. E un bel pizzic(one) di orgoglio italiano.
Elisabetta Cattalani
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