Che emozione ogni volta che mi capita di rivedere i ritratti di Fayum, di quell’oasi circondata dal deserto che venne bonificata nel primo periodo della dinastia tolemaica che governò l’Egitto dal 305 a.C. al 30 a.C.
Fayum divenne un importante centro di confluenza della cultura egiziana e greca nel periodo ellenistico e in quello iniziale dell’impero romano, quando “le autorità romane che amministravano il Paese, dal momento che il loro imperatore era rispettato e venerato nel modo stabilito, tolleravano le credenze religiose indigene, anche se erano bizzarre ai loro occhi, come quelle egiziane riguardo il culto dei morti”.
“Fino al regno di Settimio Severo (193-211 d.C.) le comunità più piccole dell’Egitto romano non avevano un consiglio cittadino. Erano rappresentate, nei livelli più alti dell’autorità, dagli studenti del gymnasium, il tradizionale centro di cultura dell’educazione greca, i cui membri erano scelti con cura e attenzione. Molti dei ritratti mostrano giovani, la cui età è meticolosamente indicata dalla presenza o meno di barba; spesso sono incorniciati in foglia d’oro. Pare verosimile che questi ritratti rappresentassero giovani che avevano ricevuto un’educazione greca tradizionale”.
“La parola grammatiké viene di solito tradotta come “insegnante di grammatica (greca)”. Tuttavia, uno studio recente ha rivelato che i grammatikoi (per la maggior parte uomini) all’interno delle comunità di lingua greca dell’Impero Romano orientale erano considerati come coloro che mantenevano la tradizione culturale greca in un tessuto ormai totalmente romano”.
I ritratti di Fayum pare venissero dipinti durante la vita dei personaggi e che fossero appesi nelle abitazioni (rispondendo così anche a funzioni decorative nella vita quotidiana), prima di essere posti sulle mummie…..a volte il ritratto veniva dipinto su entrambi i lati del supporto , probabilmente per essere portati in processione durante i funerali del personaggio……
In ogni caso, i circa 600 ritratti ritrovati ci danno una visione davvero eccezionale dei personaggi che componevano quella comunità umana….per niente “fotografici” e ricchissimi di soluzioni espressive che vanno ben oltre la registrazione meccanica dei caratteri somatici….
Che “le fotografie oggi hanno sostituito la Pittura“? Ma per favore! Vi immaginate, se per assurda ipotesi, avessimo trovato delle foto dei personaggi di Fayum, invece che questi dipinti!…..
Che invidia per dei pittori con queste capacità e qualità professionali…loro si, anonimi, ma davvero grandi ARTISTI.
E’ una pittura “tonale” e “figurativa”..e allora? Sono personaggi di ieri, vivi, che parlano alla umanità di oggi e di sempre…è tutta una società umana che parla, che guardandoti in faccia racconta tante cose…tanti “concetti” umanamente profondi e universali.
E’ quello che rimane nella “periferia” della grande pittura dell’antichità greca che, secondo Plinio, fu una delle meraviglie della umanità…fatta praticamente di niente, con quasi solo tre colori: bianco, nero, ocra gialla e terra rossa…e da lì tutte le possibilità degli accordi e dei contrasti cromatici del colorismo pittorico.
Quello che poi nella Venezia del ‘500 ha raggiunto i suoi massimi splendori con Giorgione, Tiziano, Veronese….. Ma che poi è continuato fino a Cézanne, a Gauguin, a Gajoni e agli anni ’60, quando il “Grande Fratello” decise che la Pittura era cosa obsoleta e morta su tutto il globo terracqueo (…e tutti a ubbidire al grande diktat globale).
E così per documentare l’oggi…. rimarranno un mare di vecchie e sbiadite fotografie…milioni, miliardi di fotografie datate…in ogni angolo del pianeta…ma probabilmente nessuna con tanta intensità espressiva e umana di questi nostri antichi e anonimi personaggi, fatti da anonimi artisti in quella pozza di verde circondata dal deserto che fu ed è ancora oggi l’oasi di Fayum.
Appunti tratti da: “I ritratti su mummia e la ritrattistica romana di Susan Walker“
Selezione foto in collaborazione con Valeska Ocampo.
Meravigliosi!
Ma io non sputerei sopra la fotografia.
Dovessi scegliere – da defunto – di venir ritratto da uno di questi pittori o da un Richard Avedon, Irving Penn, Robert Doisneau, Henry Cartier-Bresson (o centinaia di altri grandissimi fotografi) confesso che, da uomo del mio tempo (come lo erano loro, del resto, avendo rinunciato agli stilemi tradizionali egizi, dei quali sicuramente – a quel tempo – qualcuno avrà lamentato la scomparsa…. ;-D ) mi rivolgerei ai secondi.
Va bene, Alessandro, su queste cose credo che tutte le opinioni siano legittime. Anche quella che considera le foto, per quanto belle, tuttavia legate all’attimo dello scatto, e quindi destinate all’invecchiamento precoce. Cosa che non succede,.per esempio, con i ritratti di Fayum.
Intendi invecchiamento nel senso del degrado del materiale?
Io, da morto, non mi porrei questo problema.
E comunque una foto, per quanto ne sappiamo al momento, cento anni li regge, quindi credo che i Nadar e gli Atget, sono si siano porti il problema dell’eventuale ‘impermanenza’ della loro opera nei millenni a venire, quanto piuttosto della qualità qui e ora.
Non sto facendo ironia, voglio solo dire che il criterio di ‘durata materiale di un artefatto’ mi pare un pò limitante, anche se ha la sua importanza.
– sono si siano – leggi: non si siano
In minima parte pensavo al “degrado del materiale” (argomento assolutamente non secondario). Mentre intendevo proprio “invecchiamento” dell’attimo registrato fotograficamente, anche artisticamente ad altissimi livelli…che inevitabilmente è datato e soggetto a invecchiamento precoce. Le figure di Fayum hanno “vinto” il tempo e sono diventate, in un certo senso, “immortali”. Ma siamo, appunto, nel campo delle opinioni, dei gusti e delle sensibilità….
Nient’affato, carissimo Sergio.
la stessa sorte è toccata agli artisti del medium fotografico a cui ho fatto riferimento.
Anche se, ahimè, non posso certo dire cosa rimarrà di loro fra duemila anni, anche se posso serenamente dire che hanno scritto una pagina assai più importante della pittura di Fayum, il cui unico valore (no Sergio, lo so, non è l’unico valore….) è quello di essere rimasta testimoniare dell’usanza di quel tempo. Dove tu vedi l’arte io vedo una splendida documentazione materiale, al pari di un vaso di coccio o dell’elsa di una spada.
In Weston o Irving Penn, al contrario, vedo il lampo di genio, l’aver saputo piegare l’ottusità meccanica di una macchina alla visionarietà dell’autore.
E’ proprio così: uno vede quel che vuol vedere e vede l’arte dove la vuol vedere! D’altra parte io considero gli obiettivi, funzioni, metodi ecc. del linguaggio del fotografo paragonabili a quelli del giornalista; mentre del pittore paragonabili a quelli dello scrittore. In tutti questi linguaggi ci puo’ essere grande arte e grande genialità, ma è difficile fare comparazioni, soprattutto quelle incrociate.
Hai ragione Sergio, fare delle comparazioni fra mondi tanto diversi è molto difficile e rischioso.
Ma io sono un tipo ‘spericolato’…..