La falsa redenzione di uno sporco distintivo

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Shakespeare in televisione, a Los Angeles, tra polizia e politici corrotti, gang giovanili, poveracci disadattati e amori impossibili, fatti di tradimenti e sesso. Tutto in The Shield, il distintivo, serie tv giunta quest’anno alla settima e ultima serie. Capitolo conclusivo di una saga iniziata sottotono, trasmessa a notte fonda in Italia, con uno stile che faceva sembrare il tutto un reality. Temi scottanti come quelli citati, tra denuncia e critica, che fanno degli episodi una vera cartina tornasole della società americana.

I protagonisti sono quattro poliziotti si una speciale squadra d’assalto che si ritrovano ad avere sulle spalle il peso di reprimere l’escalation di violenza che assale il quartiere losangelino di Farmington. Naturalmente per tenere sotto controllo la situazione, lo spaccio, gli assassini, non possono che diventarne una sorta di protettori, permettendo il tanto che basta che possa essere comodo a tutti, guadagnare soldi e non avere problemi con altri colleghi.

Ma quello che rende The shield inarrivabile per tutti, anche per altri autori americani di cinema, è la stessa qualità della serie carceraria Oz, in Italia troppo bistrattata. È la capacità di scandagliare la parte buia e più nascosta dell’animo umano, i desideri repressi, la gelosia, l’invidia, l’avarizia. Tutti sentimenti che in passato avevano trovato massima espressione nelle opere di Shakespeare. I puristi rideranno di questo paragone, ma questa serie tv, come i testi del Bardo, sono un vero trattato di sociologia. La serie non è ancora finita, ma gli autori hanno già dichiarato che queste saranno le ultime puntate. E finirà esattamente come tante altre tragedie del grande William, con una falsamente rassicurante redenzione.