1 tappa: OSAKA

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japan mapOsaka, dopo Tokyo, è la città più popolata 2,7 M, situata nel sud dell Isola.

Importante punto commerciale ed economico è conosciuta per essere la Capitale della buona tavola.

L area sud della città chiamata Minami ospita i distretti dello shopping e dell’intrattenimento di Namba, Shinsaibashi, Dōtonbori.IMG_20160609_071220

Osaka, assieme a Parigi e Londra è uno dei territori più produttivi del mondo.

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Giappone giugno 2016

Ciao a Tutti,

a giugno 2016 sono stato in Giappone.

Non sapevo chiaramente cosa aspettarmi, la bellezza dei giardini zen, i sapori del sushi, il caos della metropoli, il bianco e splendente shinkanzen, insomma a parte i tanti decantati luoghi comuni, ops quasi dimenticavo i manga, ossia i fumetti, non conoscevo niente di più niente di meno di quanto può saperne un cittadino medio italiano.

Il mio è stato un reale approccio da neofita.

Preparativi + viaggio + vacanza  = FANTASTICO !

(Preparativi + viaggio + vacanza) / (ritorno*) = DISCRETO !    *=Air China

La mia vacanza è durata 10 giorni esclusi i 3 gg di volo con mancato international transfert al ritorno, causa tempesta al Beijing Capital International Airport (BCIA).

Dunque 12 ore chiusi in aereo in un Domestic Airport a Shenyang dunque privo dell Immigration Office, prima che la torre di controllo desse il nulla osta al pilota per ripartire verso Beijing, circa 2 h di volo.

Un esperienza in più collezionata !

Vi riporto alcune foto per non annoiarVi troppo con le sole parole.

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Ri-Unione africana

Buongiorno cari amici Lettori,

ho la grande gioia di pubblicare alcune foto della riunione con Sister Agnese e Agostinella, dopo circa 3 anni dal nostro saluto in terra africana.

Ci sono alcuni progetti in corso, che sicuramente condividerò con Voi, in un articolo dedicato.

Vi lascio, momentaneamente, con queste belle immagini di Noi.

grazie

Kwaheri rafiki wapenzi.

Gabriele

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Aria africana

Eccomi qua, dopo tanto tempo circa 6 mesi dal mio ritorno in Italia, torno a scrivere nuovamente su questa bianca pagina, dal lontano, oramai, sapore africano: un cocktail di deserti, savana, di sabbie gialle, arancioni, argentee e di larghe acacie verdi, dalle quali i lunghi e maculati colli delle giraffe, approdano, cibandosene, di spumeggianti e fresche onde malindine, di viaggi massacranti fisicamente e mentalmente, di animali autoctoni a volte nocivi (scorpioni, scalopendre, zanzare femmine portatrici di malaria) a volte mortali (vipera del lago Turkana, chiamata “inter nos”, ossia tra i locali, “pafadula”), di terre rosse e fertili e di aride rocce vulcaniche, del mastodontico traffico di Nairobi al surreale silenzio del mare di giada.

Pagine, inizialmente, di un semplice diario di bordo ma divenuto nel tempo, un sentito diario di famiglia, in cui annotavo paesaggi, incontri di persone, sia civili che tribali, tête-à-tête con selvaggi animali, dalle spaventose iene alle maestose e straordinarie chiazzate giraffe dai colli lunghi, alle elefantesse con al seguito i loro cuccioli, ai notturni leopardi mentre si cibavano di qualche animale, lungo il ciglio del sentiero sterrato nell’immenso parco naturale dei Samburu, i quali si dispersero all’arrivo dei luminosi fari del nostro toyota land cruiser, sotto un’incessante e gelida pioggia africana, fango mista a gelida acqua, finestrini appannati dal nostro turbato respiro, velati dal continuo rigagnolo d’acqua e nel mentre ritmi kenioti si diffondevano ad altissimo volume all’interno dell’abitacolo.

Dietro di noi, sotto la violenta intemperia le valigie legate saldamente con cordame di canapa dalla sapiente abilità nera.

Inizialmente preoccupato per esse, costituivano tutto ciò che possedevo, finii a preoccuparmi, solamente per me stesso.

Più volte finimmo in testacoda per l’assenza di attrito tra battistrada e superficie, un vero e proprio effetto aquaplaning, con secondi di panico, finimmo parimenti fuori strada, sbattendo l’alto muso del pick up, senza danni vitali per il potente 4.200 cc, nel burrone rasente il sentiero.

Sentiero cosi tante volte tramutato, nel corso del VIAGGIO.

Un iniziale via, voluta e fatta da noi, per risalire i ripidi pendii dell’indescrivibile lago Turkana, altrimenti detto “mare di giada”, per le sue innumerevoli tonalità di cui si colora, nelle diverse ore del giorno.

Un percorso difficile tra pietre, sassi, rocce vulcaniche, massi di tutte le dimensioni pensabili, per poi dopo svariati km, passare al cambiamento, terre rosse, terre feconde, cariche di vita. Clima mite e terreno prospero portano ad alberi da frutto, perlopiù gustosissimi manghi ed ortaggi, insalate, carote, patate, insomma un piccolo Eden nelle calde e rosse terre appartenenti alla tribù dei Samburu, di cui South Horr ne è l’unico agglomerato civile, dove la vita ruota intorno alla missione cattolica della Consolata, gestita da un prete locale e 3 sisters, tra cui la giovane e brillante, sr. Milly.

Lasciata alle spalle S.H. continuiamo il viaggio tra passaggi molto difficili, guadando fiumi fortunatamente non in piena, cosa successa una sola volta, in cui dovemmo aspettare che il livello dell’acqua scendesse e la furia delle acque si placasse.

Si giunge a Maralal, fermata d’obbligo per coloro che arrivano da così lontano.

Qui, father Thomas “Masino” Barbero, dà una caldissima accoglienza all’italiana, con un bel e tanto desiderato piatto di cibo caldo e se rimasto, un buon bicchiere di barbera rosso, accompagnato da frutta sognata per intere settimane, banane, manghi, arance, limoni, avocadi.

Tutte fibre vegetali, minerali, vitamine che al lago mancavano e, della loro assenza fisiologicamente, se ne avvertiva.

E non per ultimo in ordine d’importanza, ultimata la cena, poter sprofondare su un letto dalle fresche, pulite e profumate lenzuola dove, dopo pochi minuti, si può scaricare tutta la fatica e la tensione del difficile viaggio, abbandonandosi nelle braccia di Morfeo.

Gran bei momenti trascorsi con padre Masino, li ricordo come se fosse ieri, a parlare del + e del -, insieme, sotto la maestosa e fresca volta celeste africana, tempestata di miriadi di stelle, le quali, tutte quante all’unisono, porgevano il loro splendore alla tonda e chiara luna, che a sua volta, ogni notte, spandeva il suo caldo e morbido chiarore, sui nostri volti.

Gabriele

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Stallo made in italy

Ciao a tutti quanti 🙂

è da un pò di tempo che non scrivo più nessun articolo sul blog, considerato, durante il mio soggiorno allo Loiyangalani, un pò il mio “diario di famiglia”. L’unico mezzo possibile che poteva farmi avvicinarmi alle persone a me care. Ora che sono in Italia, non mi è facile scrivere nello stesso modo, sia a livello qualitativo sia quantitativo, di come scrivevo al tempo, perche ? bè facile, l’unica cosa che spinge uno scrittore a scrivere è: l’ispirazione, la musa ispiratrice, ossia quella persona, quella realtà a tuttotondo che ispira emozioni ed idee.

Nella religione greca, esse rappresentavano l’ideale supremo dell’Arte, intesa come verità del “Tutto” ovvero l’«eterna magnificenza del divino».

In questo modo Walter Friedrich Otto ne traccia le caratteristiche:

« Le Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosine, la Dea della memoria; ma ciò non è tutto, ché ad esse, e ad esse soltanto, è riservato portare, come il padre stesso degli Dei, l’appellativo di olimpiche, appellativo col quale si solevano onorare sì gli Dei in genere, ma -almeno originariamente- nessun Dio in particolare, fatta appunto eccezione per Zeus e le Muse »

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Il Parnaso, affresco datato 1510-1511, situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro Stanze Vaticane. Raffaello Sanzio (1483–1520)

Ecco che da questa prima definizione, tratta da wikipedia, ci rendiamo conto che non è che possiamo scherzare più di tanto con questi esseri, ecco allora che dobbiamo stare sul chi va là, insomma guardinghi, via 🙂 mica che poi ci tocca scrivere e scrivere e scrivere in preda a queste poetiche fanciulle.

Molta gente mi chiede o mi raccomanda di scrivere un libro sull’esperienza vissuta, in effetti non è cosa da poco ciò che ho affrontato in prima persona, c’è stata una tale concentrazione di eventi, fatti, gesta, tipologia di umanoidi incontrati che da scrivere ce n’è. L’ostacolo primario non sono uno scrittore. Comunque l’idea c’è, il materiale anche, la mia idea è quella di farcirlo con foto, banale a dirsi abbastanza irreperibili e perchè no allegare un cd audio-visivo, per farvi vedere balli, canti, visi che qui, in questa nostra società nemmeno potete immaginare, chissà a quando la pubblicazione. Certamente digitare Turkana sul motore di ricerca google, vi darà una minima percezione di quella popolazione mista a Samburu, Rendille, El Molo.

Dunque non scrivo da tanto perchè, cosa volete qui in italia (appositamente minuscola) non puoi avere ispirazione. Come l’ho trovata al mio rientro, bè sorrido, domanda più facile non potevate porla: vecchia, rincoglionita (licenza poetica ad hoc), individualista. Che tristezza ! Ciliegina sulla torta, come fosse l’undicesima piaga* italiana, mancanza di lavoro per i giovani, che vergogna ! Situazione del tutto stagnante, una palude vera e propria. Per di più, prendiamo un giovane volenteroso che conscio della situazione, apre la sua partita iva, bè mazzata sulle ginocchia, 56% di tasse, INPS, IRPEF, IVA, e qui mi verrebbe da gridare all’unisono solo una parola forte e chiara, BIIIIIPPPPP.

Questa è l’Italia in cui vivo, oggettivamente deludente.

* LE DIECI PIAGHE D’EGITTO

1. Tramutazione dell’acqua in sangue (Es7,14-25)
2. Invasione di rane (Es7,26-8,11)
3. Invasione di zanzare (Es7,26-8,11)
4. Invasione di mosconi (tipo tafani) (Es8,12-15)
5. Moria del bestiame (Es9,1-7)
6. Ulcere su animali e umani (Es9,1-7)
7. Grandine (Es9,13-35)
8. Invasione di cavallette (Es10,1-20)
9. Tenebre (Es10,21-29)
10. Morte dei primogeniti maschi (Es12,29-30)

Vi voglio, lasciare comunque sia, con questa definizione:

L’ottimismo è un atteggiamento che si realizza nel pensare e nel vivere; se in questo riguarda l’esistenza e il modo di comportarsi ed agire con il prossimo e la società, nel pensiero porta a sviluppi complessi che concernono anche la filosofia. Esso è perciò un modo di pensare, un modo di sentire e un modo di vivere, dove la visione che se ne ha è la positività, o quantomeno il suo prevalere sulla negatività. Gli ottimisti tendono a guardare “il lato positivo delle cose” e ad assumere la buona fede nelle persone.

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Mezzo pieno o mezzo vuoto?

Tutto pieno, metà d’acqua, metà d’aria 😉

Gabriele

Epistola: inno alla Carità

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi.

E allora, vi mostro la via più sublime.

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.

E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità.

Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

La carità non avrà mai fine.

Vedi articolo precedente.

Gabriele

 

Testimonianza della mia esperienza, Loiyangalani – Lago Turkana

LA MIA ESPERIENZA A LOIYANGALANI (Lago Turkana, Kenya)

Ciao a tutti, ed in particolar modo alla parrocchia del Cuoricino.

Mi è stato espressamente chiesto di narrare la mia esperienza in Africa, nel nord del Kenya, al confine con l’Etiopia, accanto al maestoso lago Turkana, altrimenti detto lago Rodolfo o, poeticamente, “Mare di giada”.

Cosa posso raccontarvi, e come narrarvi sei mesi di vita in quella terra?

Ho fatto un viaggio difficile, ai confini delle forme di vita a noi note, dove vita e non-vita si fondono in un instabile equilibrio, così come una bilancia, sulla quale sono posti i due pesi in eterno conflitto tra loro: vita e morte.

Dico questo con toni pacati e serenamente, poiché ho visto con i miei occhi la morte di giovani consumati dall’hiv, mentre trascendevano nel dispensario cattolico della missione.

Nonostante l’amorevole cura, la necessaria autorevolezza, la piena consapevolezza del senso d’impotenza di sister Agnese, con la quale, non poche volte, guardandoci silenziosamente negli occhi, ci dichiaravamo rassegnati, invitando il paziente a ritornare a casa, per abbandonarsi al caldo e sincero affetto dei propri cari.

Ma altrettante sono state le persone guarite e salvate: ricordo vivamente i due piccoli bimbi strappati alla morsa della malnutrizione; i numerosi malati giunti per infiammazioni varie, causate per lo più dalla sottile polvere sollevata dal fortissimo vento che si abbatte quotidianamente, al tramonto; ragazze di età intorno ai dieci anni, in cerca della scarsa legna disponibile in giro per poter cucinare ed illuminare, alla meglio, la buia notte africana, morse da scorpioni o mortali vipere; casi di malaria, di appendicite acuta; pastori di 16 anni giunti sanguinanti, dopo aver percorso molti km a piedi, feriti con arma da fuoco; e tanti altri sono stati i casi pietosi cui mi son trovato ad assistere e per i quali, nei limiti delle mie possibilità, ho offerto il mio aiuto.

Senza ombra di dubbio è una terra difficile, dall’impatto durissimo: l’unica cosa che ti stimola a rimanervi, è la motivazione per cui sei arrivato.

Io ne avevo una, una missione da compiere. Un progetto da realizzare.

Si trattava di portare un po’ di benessere dal punto di vista alimentare, soprattutto per quanto riguarda la frutta e la verdura, a persone dimenticate da molti ma, per fortuna, non da tutti.

Il vero grande problema, per gli abitanti dello Loiyangalani, è la mancanza di terreno coltivabile.

Pietre, sassi, fossili, rocce roventi, di qualsiasi dimensione, tappezzano quella zona del Kenya per chilometri e chilometri. E’ un luogo ostile alla vita, dal clima torrido caratterizzato da un vento perenne che soffia fortissimo, capace di toccare i 50 km/h, chinando, al suo passaggio, anche le cime delle palme più vetuste.

Si possono avere giornate, specialmente nel mese di febbraio, in cui si registrano 65 gradi di temperatura.

Di giorno tutto è caldo: sedie, tavoli, pareti, pavimenti, porte, piatti, pentole, posate; stessa cosa di notte: il materasso, il cuscino, il termos dell’acqua, tutto sempre così caldo.

Solamente due volte all’anno si può trovare un po’ di refrigerio, durante la stagione delle “grandi piogge” che va da aprile a giugno-luglio, e quella delle “piccole piogge” che, con minor esattezza di calendario, si verifica generalmente tra ottobre e novembre.

In queste condizioni climatiche ed ambientali si è svolto il mio operato.

Ho agito su due differenti comparti: terra ed acqua.

Nel compound di padre Andrew, noto a quelli di voi che hanno letto mie notizie attraverso il blog, abbiamo ricavato un appezzamento di terreno misto a pietraglia. Dopo averlo lavorato intensamente e concimato con materiale organico locale, vi abbiamo seminato angurie, meloni, zucche gialle, cetrioli, bietole, basilico e coste locali, “sukuma wiki”.

A gennaio abbiamo potuto assaporare i gustosissimi primi frutti della nostra “shamba”, così si chiama l’orto nella lingua locale, il kiswahili.

Accanto alla mia camera è stata, invece, realizzata la struttura per contenere il progetto idroponica, una sorta di laboratorio agricolo sperimentale.

Una tecnica di coltivazione fuori suolo: la terra è sostituita da un substrato inerte, fibra di cocco e lana di roccia. La pianta viene irrigata con una soluzione nutritiva costituita dall’acqua e dai composti necessari, come l’azoto, il fosforo ed il potassio, i cosiddetti macronutrienti inorganici, per apportare tutti gli elementi indispensabili alla normale nutrizione minerale.

La tecnica è anche conosciuta con il termine idrocultura.

Così, dopo che tutto era stato compiuto, ho potuto vedere nascere e crescere le piante di pomodoro, rigogliose, dal fusto forte e largo, dal fogliame verde, dai gialli e profumati fiori; ma, purtroppo, i frutti non sono mai arrivati.

L’idea che mi sono fatto in proposito è che l’eccessivo caldo e la presenza del forte vento abbiano ostacolato il volo delle api impollinatrici.

I 6 pannelli solari, necessari per fornire energia elettrica al timer ed alle iniziali lampade, sono stati donati alla missione cattolica della Consolata, nella persona di father Andrew Ndirangu.

Dono, accolto con molta gioia, in quanto ora la missione è divenuta autonoma al 100% per quanto riguarda l’energia da fonte rinnovabile.

E’ stata un’esperienza forte, difficile, ricca di vita e di gioia, di successi e di delusioni.

Ho vissuto nel nulla e col nulla, ma ho vissuto bene.

Il più grande errore a cui ho assistito allo Loiyangalani ?

Il regalare.

I pochi europei provenienti da diverse nazioni e spinti fin qui, hanno regalato senza metodo, indiscriminatamente, a bambini, ragazzi, madri: soldi, vestiti, dolci come manna dal cielo.

Così facendo dimostrano di non rendersi conto di peggiorare, sul piano sociale e su quello della solidarietà esistente all’interno di un’etnia, la condizione di quella popolazione; anziché aiutarla tramite un educato senso civico ed un turismo responsabile, la fanno sprofondare sempre più verso la dipendenza dal bianco, “mzungu”.

Come potranno trovare la loro sacrosanta strada dell’autonomia e dell’antica fierezza dei propri avi ?

Si è arrivati già oggi al punto che, recandovi in quello straordinario luogo ai confini di deserti e savana, potete imbattervi in bimbi che col loro acuto grido di saluto, “Heeeelloooo”, allungando la mano, pretendono soldi o dolci. “Give me 50 shellings”, “Give me sweets”, “Give me”: ossia, dammi che mi spetta di diritto.

Ecco il risultato della regolare, totale diseducazione ed assenza di lungimiranza verso quelle persone.

Possiamo forse definire “carità” un tale comportamento dei turisti?

Personalmente, penso di no.

La cosa più bella che ho potuto vivere allo Loiyangalani ?

La natura.

Si è immersi nello stato originario della natura: acqua, terra, sole, sono così come ai tempi della creazione.

Non vi è contaminazione, fin’ora, del progresso tecnologico dell’Occidente o dell’Estremo Oriente.

L’asprezza di questo territorio è addolcita, in parte, dalla gioia dipinta sui volti dei bambini, che gioiscono per un semplice ballo o un canto fatto insieme, a piedi nudi sulle calde rocce, sotto il sole cocente.

La vita laggiù è semplice.

La natura ne detta il ritmo: con il sorgere del sole inizia il nuovo giorno, e con la visione della straordinaria volta celeste, tempestata di miriadi di stelle luminose, ne segna la fine.

Gabriele Caccia

UN VECCHIO PALLONE E TANTI PIEDI NUDI

Partita giocata venerdì 16 novembre 2012. Articolo scritto mercoledì 21 novembre.

Così, in questo ordinario venerdì pomeriggio di novembre, mi sono ritrovato nel bel mezzo di una partita di pallone.

Sono circondato da questi ragazzi, hanno si e no, dai dieci ai quindici anni.

Il sorriso è stampato sui loro volti, i denti sono serrati dall’impegno per riprendersi il pallone che, abilmente, il loro avversario gli ha tolto, l’energica tenacia è visibile sui loro visi, l’abilità e la destrezza è racchiusa nei loro piedi nudi.

Vi è tanto correre, avanti e indietro, per segnare il gol decisivo.

Due le squadre, miste, più numerosa, cavallerescamente, quella con le ragazze, le quali, con mia grande meraviglia, si sono dimostrate ben al disopra dei loro coetanei maschietti.

Zero le magliette, quelle belle con il grande numero appiccicato sopra, ma solo magliette lacerate e sporche, zero le scarpe con i tacchetti di plastica da 13 ma solo piedi nudi, capaci di passare sopra un sasso rovente ed appuntito senza dare il minimo segno di cedimento, zero le porte cosi come zero le reti dove insaccare i goal, ma solo due pali che sostengono i rispettivi canestri da basket, senza reticella, zero il bel campo da calcio, ma solo una colata di cemento incompleta che copre circa il 50% dell’area da gioco. Zero le canoniche ed immacolate righe bianche che indicano le aree di tiro, di penalty, di metà campo, ma solo immaginazione, per chi le ha conosciute magari dal vivo o forse le  ha potute vedere in televisione.

Così inizia la nostra partita, che partita che abbiamo giocato.

All’inizio eravamo in sei, poi in poco più di 10 minuti, in una 30ina.

Una partita dura fino alla fine, nessuno dei due team perdeva un solo colpo, pur di dare un mezzo vantaggio all’avversario.

Sui loro volti si leggeva la felicità e la vera gioia di farsi una partita col pallone niente di più, passando del tempo tutti insieme.

Dopo alcuni goal fatti, alcuni rigori sbagliati, alcune new entry la partita è andata terminando.

La partita iniziata alle 15:00, cogliendo l’occasione di grandi nuvole nell’azzurro cielo, che hanno temperato, in parte, con la loro stazza il torrido caldo, è andata fisiologicamente sfumando verso le 16:30.

Stato generale psicofisico: mio personale, no comment, quello degli altri standard, leggermente accaldati.

Così ho passato questo pomeriggio in compagnia di questi calciatori.

Gabriele

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Loiyangalani’s People

 

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Donna della tribù Samburu, febbraio 2013

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Ragazze della tribù Turkana, febbraio 2013

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Madre della tribù Turkana, febbraio 2013

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Famiglia Turkana presso la tanica governativa dell’acqua a Sarima, dicembre 2012

Gabriele