IL COLORE DELLA PELLE

Scrivo questo articolo, per la prima volta dalla mia presenza qui allo Loiyangalani, fuori dalla missione della Consolata.

Questo è un dettaglio che volontariamente voglio sottolineare, dal punto di vista simbolico.

Fino ad ora ho sempre scritto cose positive inerenti: la mia vita vissuta qui allo Loiyangalani, in mezzo a questa popolazione mista di Turkana, Samburu, Rendille, El molo o che riguardavano l’impegnativo progetto di coltivare i pomodori in questa terra ricca di sole, vento e pietre oppure ancora sulla motivazione che mi ha spinto a raggiungere un luogo cosi ostile alla vita per seminare un po’ di bene ed un po’ di benessere.

Ma la cosa che mi è successa martedì 22 gennaio 2013 non doveva succedere.

Come tutte le mattine, mi alzo alla luce dell’alba che penetra dalle finestrelle della mia cameretta, che chiameremo guest house, intorno alle 6:30, dopo qualche minuto per riprendermi dalla scomodità del letto, causa alcune doghe rotte e districatomi dalla zanzariera, mi dirigo a darmi una bella rinfrescata.

Raggiunta, successivamente la cucina, dopo aver salutato Joseph, il cuoco e Scolastica, l’aiutante, faccio colazione.

Solitamente poi, vado a controllare e sistemare il progetto, per recarmi verso le 10:00 in dispensario per dare nel mio piccolo assistenza a sister Agnese e a Mourithi, il giovane, temprato e bravo infermiere keniota.

Quel mattino, c’erano due gravi casi di malnutrizione infantile, un bimbo di 3 settimane, dal corpo così piccolo ma dai lineamenti del viso così dissonanti da tutto il resto, che non poteva non suscitare in me ed in quanti lo vedono, un forte impatto visivo misto ad una forte impressione emotiva.

Alcune istantanee riflessioni sul grande mistero della vita e delle atroci e spietate leggi che regolano questo mondo, mi riempiono la testa.

Un altro bimbo più grandicello giaceva in grembo alla madre, lì accanto, ragionevolmente in apprensione.

Il bimbo dagli occhi rivolti al cielo, con la bocca mezza aperta tra il ronzio di queste così fastidiose mosche, era a combattere tra la vita e la morte.

I suoi occhi neri cosi strani, quasi ad indicare l’assenza da questo mondo, velati da un nonsochè di morte, ci davano la sensazione che forse da un momento all’altro ci poteva lasciare, rendendoci partecipi del suo ultimo spiro.

Tutti quanti eravamo stretti a queste quattro creature, alle due mamme con i rispettivi figli, quasi a formare, inconsciamente, con i nostri corpi un muro difensivo contro il male.

Tutto ciò che clinicamente si poteva fare, l’abbiamo fatto, la somministrazione di medicine, integrata dalla flebo contenente la soluzione nutritiva per ridare un po’ di energie a questi deboli corpi così duramente provati.

Infine si è cercato di dare la maggior comodità possibile alle madri, stendendo a terra le mcheche, le stuoie di palma.

Ad un tratto sento chiamare ad alta voce il mio nome, vedo con la coda dell’occhio Augostine, il ragazzo che ha portato, diligentemente e con buoni risultati, avanti il progetto idroponica, avvicinarsi a me, dicendo che mi vuole parlare.

Gentilmente gli chiedo di aspettare un momento, perché sto aiutando a curare le due giovani creature.

“Eccomi, dimmi tutto, sono qui !”, cosi mi rivolgo a lui, dopo poco.

Lui mi risponde che c’è una ragazza Karija, musulmana, che desidera parlarmi, ok no problem dico io.

Domando dove sia e lui mi dice che sta aspettando nella guest house.

“Augostine” gli dico, perché lì, se vuole parlarmi può benissimo farlo al gate, come oramai tutti quanti fanno.

Lui sorvola farfugliando qualcosa e cosi faccio anch’io, dato il rapporto instaurato in questi mesi, di reciproco aiuto e rispetto.

Va bene, andiamo a parlarci e vediamo un po’ cosa vuole.

Una volta raggiunta la guest house, solo ora col senno del poi, dico che ho trovato la situazione strana, impalpabile non chiara, dettata in primis dal comportamento di lei troppo silenziosa, un certo sesto senso non del tutto compreso mi ha fatto suonare un campanellino d’allarme.

La faccio, cortesemente accomodare sulla mia sedia, ed io mi accomodo per terra, porgendo la seconda sedia ad Augostine, che rifiuta con una risposta spiazzante, fuori luogo, mi dice che deve andare nel bush, nel boschetto lì accanto, a fare un qualcosa di imprecisato, allorché rispondo a lui “che vai a fare che siamo qui tutti e tre insieme, soprattutto io sono con questa ragazza che neppure conosco”, ma lui si incammina.

La mia attenzione torna su di lei, le domando perché voleva vedermi e cosa vuole da me.

“Voglio che tu diventi il mio sponsor, che mi paghi le cose di scuola”.

Dopo aver riflettuto un’attimo, le rispondo che non posso, perché ho già speso molti miei privati soldi per il progetto agricolo, indicandoglielo con il dito e che non posso sostenere una spesa simile ora come ora, mi dispiace.

Finita la conversazione, tutta racchiusa nella frase soprastante, la invito, educatamente, ad andare fuori dalla missione, dato il mio impegno con sister Agostinella, ad incontrarci nella cucina, per bere un fresco bicchiere d’acqua, tanto desiderato.

Cosi entrambi chi prima, lei, e chi dopo, io, prendiamo strade diverse, dopo averla salutata.

Mi incontro con sister Agostinella e dentro di me avevo un qualcosa da raccontarle, mi confido con lei riguardo a questa vicenda, più che altro per la pretesa che questa ragazzina di 15 anni, mi ha fatto, cercando in me denaro, in quanto uomo BIANCO e per la mia personale curiosità di capire cosa significhi essere sponsor per un NERO.

Senza troppo peso e dopo esserci dissetati e ristorati un momento, riprendiamo le nostre faccende.

La sister, in qualità di direttrice, ritorna nella nursery school, equiparabile alla nostra scuola dell’infanzia, dai 3 ai 5 anni ed io al mio progetto ed al mio bucato che mi attende.

La sera prima, lunedì 21, è arrivato un bel gruppo di 20 giovani, tutti locali della Caritas di Maralal, per passare 4 giorni di relax nella parrocchia dello Loiyangalani.

Giunge sera, dopo cena, mi unisco a loro nella piscina per trascorrere un po’ di tempo insieme al fresco, tra una chiacchera e l’altra.

Verso le 21:00 circa, Nawapa, il watchman notturno, accompagnato da due ragazzi in borghese, mi chiama in disparte, nell’angolo più solitario della piscina per parlarmi.

Lo raggiungo e i due uomini, mi invitano ad uscire per parlare di una certa ragazza.

Chiedo a loro di identificarsi, prima.

Due ufficiali della polizia della piccola stazione dello Loiyangalani.

Vero no, vero si, inizio a parlare con loro, inizialmente dalla piscina, basito per quest’incontro e per le prime parole che sento.

Nella mia mente, affiora in un flashback di pochi centesimi di secondo, ma che col passare dei minuti prenderà sempre più spazio, il racconto di una grave disavventura giuridica nonché burocratica di arresto accaduta ad un amico di Carlo, narratami da lui stesso a Malindi.

Vedendo che la cosa non si risolve velocemente e captando parole del tipo: ragazza, prigione, Marsabit, giudice, presto esco dalla piscina, assai preoccupato ed arrabbiato ed in quattro e quattrotto, mi levo il costume per vestirmi, pronto per affrontare questa sfida che la vita mi ha messo di fronte.

In me inizia la quadratura del cerchio del brutto scherzo tirato da Augostine e dalla ragazza.

Vedo Caesar, il seminarista ugandese, lo chiamo a me, mettendolo a conoscenza su chi siano questi uomini e con un fulminante riassunto, sull’episodio di questa ragazza, Karija.

Nawapa, si stacca dal gruppo per tornare al suo lavoro di guardiano e come quella sera per aiutare Akai, il collega, alle prese con l’ennesima riparazione del pick up del padre.

Chiedo di Fr. Andrew, il quale è di ritorno alla missione, dopo una breve uscita in città.

Dopo circa 30 minuti, ci accomodiamo, tutti quanti, nell’ufficio di padre Andrew per capire e comprendere, per me, l’inconprensibile, dettato dalla menzogna.

Per primo sono io che prendo parola perché voglio raccontare la storia di me, Augostine e di questa ragazza.

Con toni forti, decisi, senza dare spazio a nessun dubbio od interpretazione, descrivo quegli attimi, dettaglio per dettaglio, dal dispensario al congedo da colei.

Caesar e Fr. Andrew, attentamente ascoltano il tutto, i poliziotti sembrano disinteressati, quasi scocciati a stare seduti ad ascoltare le mie parole.

Si alternano momenti di kiswaili ed inglese, Caesar anche su mio invito, chiede gentilmente di parlare ai poliziotti in inglese, ma questi rifiutano con mio stupore, noto che Caesar non insiste ed io, gli butto un’occhiata come per dire non è possibile, non è giusto.

Se qualcuno fosse entrato in quel momento da quella porta di quel piccolo, afoso e sperduto ufficio nel nord del Kenya, sarebbe stato completamente pervaso da un’aria di estrema tensione, concentrazione, attenzione, di caldo avvilente, tra fronti sudate e fazzoletti pregni di passata stanchezza, illuminato dal debole chiarore di una nuda lampadina attaccata ad un filo.

Esattamente questo era quello che provavo, il mio destino era attaccato ad un filo di speranza, potevo finire in prigione a Marsabit la notte stessa, per un reato mai fatto, aprendo poi un contenzioso che chissà quanto tempo avrebbe richiesto per concludersi oppure finire il tutto in pochi giorni, chiaramente pagando chissà chi, chissà quanto, chissà dove.

Nella mia mente balenavano forti pensieri e forti sentimenti pulsavano nel mio cuore.

Ora, è il turno dei poliziotti, che riportano la versione dei fatti, secondo la ragazza.

Il più giovane dei due, prende parola.

Lo ascolto attentamente, per quel poco, che posso comprendere il kiswaili.

Caesar, finito il racconto, mi traduce quanto detto.

Questi i fatti secondo la ragazza:

dopo esser giunta nella guest house, è stata presa di forza e portata in camera, per poi riuscire a liberarsi e scappare.

Ora tutti i pezzi del puzzle mi sono chiari, come acqua cristallina sotto il sole di mezzogiorno.

Augostine e la ragazza, hanno organizzato, pianificando e attuando un complotto, contro la mia persona, per estorcermi, chiaramente, denaro.

Immediata la mia reazione di telefonare Augostine, proprio lui, a cui ho affidato il progetto, a cui ho affidato la mia fiducia fino ad ora rispettata, a cui ho donato una giusta ricompensa per il lavoro svolto, proprio lui a cui ho teso la mia mano per aiutarlo non solo economicamente ma anche con sentiti e veri suggerimenti, proprio lui mi ha tradito.

Anche il padre e  Caesar, provano a contattarlo ma non c’è nulla da fare, il telefono risulta spento.

Che gran dolore che ho provato in quel momento, tante le riflessioni fatte e scalfita violentemente è la mia motivazione.

Caesar con maestria sembra addomesticare come si fa con i cani i due poliziotti che divengano mansueti e sembra anche più ragionevoli.

Caesar vuole andare a parlare con la famiglia della ragazza, scortato dai due poliziotti, chiedo se è bene la mia presenza, non tanto per parlare ma per guardare in faccia coloro sui quali la menzogna giace sulla loro lingua.

Partono senza di me, dopo che Caesar, prendendomi in disparte, mi rassicura dicendo che le cose sembrano andare per il verso giusto, sembra anche essere esclusa la presenza di recarsi davanti ad un tribunale per essere giudicato di un crimine mai commesso.

Tutto ciò è pazzesco.

Sono oramai circa le 22:00, l’appetito ha preso un’altra strada, sorseggio giusto un té caldo, circondato da Scolastica e Joseph, a cui racconto l’assurda vicenda.

Mi reco successivamente dalle sisters per metterle al corrente del bruttissimo scherzo tirato da Augostine, troppo grande per me, non doveva farlo.

Parlo con loro qualche minuto, sbirciando sempre dalla porta semiaperta, per vedere se giungono le luci del pick up di Caesar, portando con sé la tanto attesa notizia sul da farsi.

Dopo poco, mi congedo, sperando che tutto si possa risolvere nel più breve tempo possibile e in maniera positiva.

Ritorno a sedermi sulla panchetta di legno, sotto il porticciolo della missione, dove Joseph e Scola, mi domandano novità in merito, ma ancora nulla, tutto tace, pure il vento ha smesso di soffiare questa notte, rendendo ogni cosa ferma, immobile, in palpitante attesa.

Si sente, intorno le 23, l’inconfondibile rumore dell’apertura del gate, è Caesar che giunge a bordo del pick up.

Ci incontriamo a metà strada, noto il suo viso stanco ed esausto, illuminato dal chiarore della luna piena di quella notte, attendo che spontaneamente proferisce qualche parola, due visi e due corpi sofferenti uno dinanzi all’altro.

Racconta che sono stati momenti difficili, una volta giunto nella famiglia, la quale aveva messo in scena una pseudoassemblea formata da tutti i membri, pronti a scagliare insulti e a puntare il dito contro me, contro lui, contro la missione.

L’irrazionalità  e la cieca ingordigia plasmava la mente di costoro, interessati ad un’unica cosa.

Ma tutto, seppur aveva richiesto molto tempo, era andato per il verso giusto, dopo aver pagato una piccola somma alla famiglia ed ai due poliziotti.

Potevo nuovamente, oramai a notte inoltrata, respirare a pieni polmoni il profumo della libertà e della forza della verità.

Seppur risollevato di morale non ero felice, in cuor mio risuonavano come forti squilli di tromba, una matassa intricata di sentimenti di rabbia, di forte dolore, di forte amarezza e pungente delusione come una grande onda in aperto oceano che si abbatte con tutta la sua forza, schiacciandoti in basso, nelle sue gelide acque.

Esausto mi reco a letto, pensando che fosse stato solamente un brutto sogno, trovo giusto ancora qualche energia per soffiare sulla debole fiamma della candela per poi cadere nel sonno più profondo.

Sento bussare alla mia porta, controllo l’orologio è mezzanotte passata, penso chi possa essere a quest’ora, trovo le forze di aprire gli occhi, alzarmi e aprire la porta, mi si presentano davanti agli occhi, suor Agnese, Agostinella e Lucimar con l’immancabile lanternina che rischiara il loro candido abito bianco.

Quanto ho apprezzato questo loro gesto di sentita vicinanza ed affetto nei miei confronti.

Vistosamente stanco, racconto a loro, lo scampato pericolo da questo complotto, per poi l’indomani descrivere i dettagli, sono troppo stanco, ripiombo nel letto.

Mercoledì 23 gennaio

Mi sveglio, un nuovo giorno ha inizio, incorniciato dal sonoro canto dei galli e dai caldi raggi del sol levante che tingono di calde tonalità le frasche delle palme più alte che circondano questa oasi.

Mi sciacquo la faccia con abbondante acqua ma niente da fare non mi sento bene, sono ancora scosso da quanto è accaduto il giorno precedente, soprattutto per la delusione provata.

Verso le 9:00 mi reco al quotidiano appuntamento del progetto, ma passo prima nello store dove ho riposto tutta l’attrezzatura necessaria per la manutenzione per prendere cacciavite, pinza e forbice.

Con mia grande sorpresa, non li trovo nel solito posto, cerco altrove, sopra, sotto a  destra e a manca, ma niente non ci sono più.

Solo una persona conosce l’esatto posto dove li metto, una volta usati.

Un senso di profonda tristezza e di delusione umana mi colpisce in quel momento.

MADRE TERESA DI CALCUTTA

Dai il meglio di te

L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico

NON IMPORTA, AMALO

Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici

NON IMPORTA, FA’ IL BENE

Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici

NON IMPORTA, REALIZZALI

Il bene che fai verrà domani dimenticato

NON IMPORTA, FA’ IL BENE

L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile

NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO

Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo

NON IMPORTA, COSTRUISCI

Se aiuti la gente, se ne risentirà

NON IMPORTA, AIUTALA

Da’ al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci

NON IMPORTA, DA’ IL MEGLIO DI TE

 Gabriele from Loiyangalani

IL SABATO DELL’INFANZIA MISSIONARIA

Articolo scritto alle ore 8:00, pubblicato alle 16:20

Ciao a tutti i lettori,

vorrei cominciare questo articolo, dicendo che ad una settimana esatta dal mio arrivo allo Loiyangalani, la mia salute è chiaramente migliorata, ho ripreso uno stile di vita da sano.

E così, mi sono rimesso attivamente al lavoro, ai miei impegni, qui, in questa terra di sole, secca, ventosa, fatta da pescatori che tornano al tramonto su queste barchette cariche di pesce, per poi andarlo a vendere nei villaggi vicini o barattarlo con della farina dalla quale, una volta impastata con della semplice acqua e sale, si produrrà l’ugali, che accompagnerà le cene al lume di candela o illuminate dal chiarore della luna piena, dei Turkana, questi alti e forti guerrieri e cacciatori, alcuni di essi adattatisi a divenire pastori.

Mentre le donne turkana, avvolte nei loro parei, i cosiddetti kanga, teli dai colori sgargianti, dalle fantasiose stampe, che si fanno tutt’uno con le numerose e colorate collane, lasciando scoperto solo il volto, solcato e levigato dalla sabbia del deserto, dagli alti zigomi e dai grandi occhi scuri.

Lucenti brillano nell’eterno sole gli orecchini sovente a forma di foglia che si riversano come cascate sui loro lembi, abbarbicati su in alto così che tutti ne possano ammirare la loro bellezza.

Loro si aggirano per il villaggio per acquistare quel poco che serve per vivere la giornata, alcune si danno al commercio di collane e suppellettili in generale, altre vendono angia, un incenso dal profumo misto di erbe aromatiche, molto buono, chi raccoglie quel poco legname che ancora hanno a disposizione.

Sempre molto vissuto è il lavatoio comune, dove madri e bimbi si ritrovano oltre che per fare il bucato, per passare insieme alcune ore, scambiandosi le ultime news, luogo consacrato, nella mia testa, a piazza pubblica.

Questo sabato mattina per tutto il giorno, ci sarà una festa nella missione a favore di tutti i ragazzini della parrocchia, Caesar, il seminarista ugandese, mi ha spiegato che rappresenta la loro epifania.

Penso che voglia riferirsi al fatto di stare tutti insieme, durante il pranzo e nei momenti ludici che seguiranno, complice anche la chiusura della scuola il sabato.

Le piantine crescono bene, quotidianamente le controllo e me ne prendo cura.

Gabriele from Loiyangalani

Aggiornamento delle 16:10

Si è appena conclusa la festa dell’infanzia missionaria dello Loiyangalani, si trattava di un pranzo collettivo a base di riso e fagioli, per circa 400 bambini dai 5 ai 12 anni.

Che rabelotto !

Domare un bel gruppo di bambini come questi è stata dura, ma tutto si è svolto con relativo ordine e pulizia.

Ora ci sono in corso delle danze e canti locali turkana.

Gabriele from Loiyangalani

Il ritorno allo Loiyangalani

Scriverò poco in questo articolo, perché la malaria ha bussato nuovamente alla mia porta.

I sintomi questa volta sono ancora più forti, sto prendendo svariate medicine per ristabilirmi il prima possibile.

Inizierei nel scrivere C.V.D., ossia come volevasi dimostrare, facendo riferimento all’ultima frase dell’ultimo articolo scritto, “Sarà un viaggio difficile in tutti i sensi”, ma mai mente umana avrebbe potuto immaginare tanto.

Partito mercoledì sera da Malindi sono arrivato sabato mattina allo Loiyangalani.

Molte le cose che sono successe a me e al padre.

A Niyahruru, siamo stati arrestati e spediti in prigione, un posto fresco, pulito e tranquillo.

Successivamente ci hanno scortato davanti al giudice per la sentenza e la condanna, rappresentata da 8000 kes ossia la cauzione per evitare 3 mesi di galera.

E’ stata tutta una commedia, il contrasto tra il luogo serioso e le persone tuttaltro che serie, non ha potuto che suscitare in me ilarità, contagiando in un secondo momento anche il padre.

La causa di tutto ciò: viaggiavamo con le gomme lise.

Dopo aver perso un intera giornata nella Law Court, abbiamo fatto visita alla parrocchia del vicino paese, Solipi, dove abbiamo trovato un letto per dormire ed una doccia per toglierci la molta sabbia e la polvere accumulata sul nostro corpo compresa la molta stanchezza del viaggio.

Giunti all’inizio della cittadina di Maralal, abbiamo bucato la gomma nuova appena comperata.

Sostituita, abbiamo cercato un gommista per riparare quella bucata.

Da qui siamo ripartiti alla volta di Baragoi, dove il pick up, un land cruiser toyota, ci ha abbandonato. Il meccanico di fiducia di Fr. Andrew, prontamente ha riparato il guasto al filtro del diesel ed al contatto elettrico della tanica del carburante.

Ripartiti a sera tardi, ci siamo diretti a South Horr, poco lontano dallo Loiyangalani, dove abbiamo consegnato sacchi di zucchero ad alcune famiglie.

Tutto sembrava scorrere per il verso giusto quando a Sarima, a circa 30 km dalla missione, entrambi i serbatoi si svuotano.

Sdraiati nel bel mezzo della notte, sotto il pick up, in mezzo al deserto con la nostra piccola torcia elettrica, abbiamo cercato di spremere l’ultima goccia di diesel dalle due taniche, maneggiando con i tubicini che portano il carburante.

Cosi sabato mattina, siamo giunti alla missione, dopo aver passato molte avventure e macinato molti kilometri.E’ stato un viaggio che ha messo a dura prova tutte le nostre facoltà mentali nonché fisiche.

Sabato, dopo aver dormito qualche ora, mi sono diretto al progetto, desideroso di rivedere le piantine  lasciate in mano ad Augostine, un ragazzo della parrocchia, circa 3 settimane fa.

All’apparir del progetto, non nascondo l’emozione che mi ha colpito, un misto di felicità, incredulità, meraviglia.

Alte e forti sono le piante, dal fusto spesso e dalle numerose foglie, ricche in cima di fiori gialli.

Che gratitudine  e che gioia che ho provato in quel momento pensando in un flash a tutti gli sforzi, a tutte le energie,  a tutto l’impegno che giorno dopo giorno, anche nei momenti di malattia ho donato al progetto affinché si potesse raggiungere un risultato simile, che gioia tutto ciò.

Nello stesso momento mi riecheggiavano forti nella testa le parole di Don Maurilio, il quale mi disse il giorno prima di partire, durante la nostra chiacchierata: “Il Signore fa fiorire il deserto”.

Qualche giorno fa si è raggiunta la temperatura al sole di 65 gradi, di tutto questo caldo anche il mio pc a volte ne risente, ma cerco di mantenere nonostante questo i contatti di aggiornamento.

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Un saluto a tutti in particolare alla mia famiglia

Gabriele Caccia

from Loiyangalani

RIPARTENZA PER IL LAGO TURKANA

Ciao a tutti,

sono in partenza per il lago Turkana, oggi mercoledi 9 gennaio, ore 19:45.

Parto da Malindi, prendendo il bus della Dreamline Express che mi porterà fino a Nairobi, arrivo previsto 6:00 am.

Qui cambierò mezzo, prenderò un matatu, il pulmino a nove posti, stile viaggi della salvezza, dirigendomi a Nakuru, dove cambierò nuovamente matatu, direzione Nyahururu.

In questo piccolo paesino, ad ovest del monte Kenya, incontrerò Fr. Andrew, con il quale proseguirò il viaggio con il pick up della missione, passando per Maralal, Baragoi per giungere finalmente allo Loiyangalani.

Non sarà un viaggio facile in tutti i sensi.

Ci riaggiorneremo allo Loiyangalani.

un saluto a tutti

Gabriele

 

 

 

da qui, proseguirò con un matatu per Nakuru, dove cambierò

 

In attesa della partenza…

Sono giorni questi, in cui c’è un gran via vai di notizie, consultazione web, informazioni tra di noi, per poter prenotare chi il biglietto aereo e chi il biglietto del pullman per Nairobi, ma tutto sembra full booked o perlomeno fino a martedì 8 gennaio.

Malindi, durante il periodo delle vacanze natalizie, si riempie non solo di locali ma anche di turisti europei, per la maggior parte, per poi, una volta concluse, ripartire verso la grande capitale per riprendere i propri posti di lavoro, lasciandosi velocemente alle spalle i ricordi dell’acqua salata dell’oceano e le bianche spiagge di Marine Park.

Cosi domani, lunedì 7 gennaio, voracemente, prenoteremo i tickets per Nairobi per poi spostarci ad Isiolo e da lì percorrere il lungo e difficile sentiero che porta al lago Turkana.

Vi aggiornerò, quando avrò novità sicure.

Pubblico, ora, alcune foto degli abitanti del lago Turkana.SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAMSUNG SAM_2250

Buona domenica !

Gabriele

Parrocchia del Cuoricino, Cardano al Campo, Italia

Vi sto scrivendo dalla silversands beach di Malindi, punto sulla costa dell’oceano Indiano, sede del monumento commemorativo dell’approdo di Vasco da Gama.

L’esploratore portoghese visitò la città nel 1498 e qui ottenne i servigi di navigatori esperti che lo condussero fino a Kerala, in India.

Vasco da Gama, fu il primo europeo a navigare direttamente fino in India doppiando Capo di Buona Speranza, erroneamente considerato tutt’oggi, l’estremità più meridionale del continente africano.

Da Gama lasciò Lisbona nel luglio 1497 sulla sua ammiraglia, la nave São Gabriel (120 t), accompagnata dalla São Rafael (100 t) e la Santa Fé, giungendo in India nel maggio 1948.

Questo articolo lo voglio dedicare alla generosità di don Maurilio e di tutta la parrocchia del Cuoricino. Prima della partenza, mi sono state consegnate alcune magliette con il logo: oratori di Cardano al Campo Passpartù S. Luigi e S.G. Bosco, le quali sono arrivate a destinazione presso il lago Turkana, nel dimenticato villaggio dello Loiyangalani.

Testimonio la felicità dei bambini che le hanno ricevute, alzandole in alto, verso l’azzurro cielo, in segno di vittoria.

Purtroppo non ne avevo a sufficienza per tutti e cosi, alcuni, sono rimasti con le mani vuote, ma grande è stata la gioia nel vedere, alcuni giorni dopo, proprio quegli stessi bambini rimasti senza, indossarle, prestate con generosità dai loro amici.

Settimana prossima, dopo la riunione che si terrà oggi, ritornerò nel fatato lago Turkana, portando con me, limitato dal lungo e faticoso viaggio che mi attende, magliette, quaderni e matite colorate.

Queste sono alcune foto scattate nel mese di Novembre e Dicembre 2012, località Loiyangalani.

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Con onore, inoltre, pubblico le foto del presepio della parrocchia del Cuoricino di Cardano al Campo, di Don Maurilio accanto alla spiegazione del progetto e della statua raffigurante la vergine Maria.

Queste foto, stanno a simboleggiare il concreto e generoso legame stretto tra la parrocchia del Cuoricino e la parrocchia dello Loiyangalani.

Gabriele Caccia

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