GIORNI DI PACE ALLO LOIYANGALANI

FIRST MEETING DAY “Prevention of election violence and interventions promoting peace”

Martedì 20 novembre 2102 è iniziata la prima delle due giornate per parlare di pace inerente le imminenti elezioni politiche in Kenya.

Le varie sommosse, disordini, tumulti con conseguenze mortali le più delle volte accaduti in questo periodo, vedi Garissa, Baragoi, Nairobi, sono dovuti proprio alle elezioni politiche.

Ci sono mandanti politici che aizzano scontri armati sulle persone per ottenere più voti possibili, vedi Samburu e Turkana.

Buona l’organizzazione generale della giornata, ci sono stati sia momenti di lavoro individuale sia in team, tre gruppi da 10 persone circa, impegnati alla ricerca di risposte a 4 domandi cruciali per questo momento:

1-      What is the importance of election ?

2-      What are the fears about election ?

3-      What is election violence ?

4-      What are the causes of election violence  (pre-during-post election) ?

Per alleggerire poi la tensione e l’impegno sorto da questi interrogativi, ci siamo ritrovati tutti quanti a sorseggiare del caldo chai, il loro tipico thè+milk.

In seguito, dopo questo momento di break , circa 20 minuti, si è ritornati al naturale proseguo dell’incontro.

Sono stati raggiunti momenti di alta concentrazione ed importanza con dibattiti tra i partecipanti, gestiti dalla sapiente guida-oratore con riferimenti su Kofi Annan ed i suoi relativi interventi a favore della pace sulle zone rosse del Kenya.

Verso le 13:00 c’è stata la pausa lunch.

Una 40ina di persone erano radunate nel cortile, sul retro della casa di padre Andrew, all’ombra di numerosi arbusti ed alberi.

Tanto il lavoro delle catechiste divenute cuoche per l’occasione, tante le sedie, i bicchieri di latta cosi pure i piatti, nessuna posata, qui si usano le mani per mangiare.

Bè, io, Fr. Hubert, Fr. Oliver ed il suo aiutante-volontario Paul guardandoci, senza nascondere qualche difficoltà sul modo di mangiare, abbiamo optato all’unanimità almeno per un cucchiaio.

Pranzo a base di riso, tilapia, il pesce del lago Turkana e del cabbage, ossia i nostri cavoli però dal gusto più dolce, tutto quanto cucinato all’esterno su bracieri in pietra, alimentati con legna secca.

Legna che abbiamo raccolto ed accatastato, qualche giorno prima a circa50 kmda qui, anche del semplice legname in questa parte del Kenya, al giorno d’oggi, è un bene assai prezioso.

Mi ha colpito personalmente il numero di persone che mi circondavano, ingente, ed il cibo che non finiva mai, continuava ad uscire da questi pentoloni, senza sosta e sorridendo mi volto verso Fr. Hubert e gli dico Father, mi viene in mente la scena della moltiplicazione del pane e del vino e lui col suo tipico accento tedesco risponde “ ah ja ja ja, etc.”

Concluso il pranzo alle 14:30 si riprende l’incontro, io mi alterno tra un bicchiere d’acqua fresco della cucina e la house del meeting a circa400 metri.

Le mie condizioni di salute sono buone apparentemente.

Verso le 18:00 si conclude la prima giornata d’incontro, tutti sono entusiasti del lavoro fatto ed il morale è alto.

Faccio conoscenza con alcuni di loro, ci si scambia qualche parola del perché si è qui, si mostrano tutti quanti curiosi del progetto d’idroponica che sto portando avanti e con piacere glielo mostro.

Alcuni di loro prima di ripartire per le loro terre, chi a nord al confine con l’Etiopia, chi a sud verso Mombasa, chi a est verso Wajir, si rendono disponibili per farne uno uguale nella propria parrocchia.

Ore 19:30 si cena con del riso e della carne di capra, sgozzata nel primo pomeriggio.

Ho assistito allo sgozzamento della capra, dall’inizio alla fine, tutto è avvenuto così tranquillamente, in maniera del tutto naturale, con alta maestria e conoscenza di Joseph il cuoco, che mi ha chiamato in causa per aiutarlo in certi momenti.

E’ stata una bella, utile e significativa esperienza vissuta in prima persona. Grazie Joseph.

Dopo aver parlato un po’ con Paul e Fr. Oliver, verso le 21:00 ci accomiatiamo, ci si scambia la buonanotte tutti quanti, Fr. Andrew, Caesar ed i presenti ed ognuno si ritira chi nella guest house e chi nelle magnatte, case-capanna per gli ospiti all’interno della missione.

Inizia per me il calvario, notte di incubi e bagni di sudore, stordimento mentale totale.

Non sto bene.

Come ho raccontato nell’articoloLA SECONDACADUTA, solamente verso le 9:00, trovo le forze per alzarmi e prendermi del paracetamolo, ritornando nuovamente a letto.

Così ho passato l’intera giornata di mercoledì 21 novembre, a letto.

Solamente verso l’ora di cena, ritrovo le energie per alzarmi e cibarmi con un pugno di riso in bianco ed 1 patata.

Notte seguente, dolori allo stomaco ma sento che piano piano riprendo il controllo del mio fisico.

Arriva l’alba africana che con la sua forte luce penetra dalle tende in perenne danza per il forte vento, così da arrivare direttamente ad illuminarmi il viso ed ecco che inizia un nuovo giorno.

Mi sento meglio, la giornata inizia con il sorriso sulle labbra, avviso le sister sul mio stato di salute, mi inviteranno per tre pranzi nei giorni successivi, giusto per riequilibrare il mio stomaco, con cibi leggeri, puliti ed asciutti.

Il cibo tipico locale è buono ma spesso usano molti condimenti per insaporirlo, risultando pesante da digerire.

Nei giorni seguenti è stato sempre un migliorare, fino a riprendere sia le forze fisiche che mentali.

Mi è dispiaciuto non poter seguire la seconda giornata del meeting ma perlomeno sono riuscito a dare il mio saluto agli organizzatori ed ai nuovi conoscenti, augurandoli Safari njema – buon viaggio !

IL PROGETTO

Due sono stati i progetti intrapresi allo Loiyangalani, una prima piattaforma, per dare un’idea una piccola serra, coltivata a cavolo verza, una seconda piattaforma coltivata a pomodori.

Il primo progetto, quello dei cavoli, purtroppo ho dovuto stopparlo qualche giorno fa, in quanto il cavo necessario per collegare l’inverter all’attacco della lampada, inviato da Isiolo, dal negozio di Harish, non è mai giunto fino a qui.

Questo fatto, ha determinato la moria delle piantine di cavoli.

Per quanto riguarda il secondo progetto ossia i pomodori, posso dire che le cose stanno andando bene. Le piantine stanno crescendo rigogliose, verdi e forti, illuminate dal sole equatoriale e irrigate dalla buona acqua della sorgente.

Ogni giorno, le guardo, controllo il loro stato di salute, pulisco i buchi d’irrigazione non ben funzionanti, le bagno, osservo le nuove nate, insomma faccio un check per avere sotto controllo la situazione e farla andare nel migliore dei modi possibili.

Solitamente queste operazioni vengono ripetute durante l’arco di una singola giornata, al mattino appena sveglio verso le 7:30, prima di pranzo, verso le 12:00, dopo pranzo e più volte nel pomeriggio.

Occorre controllare anche quanta energia elettrica viene prodotta dai 6 pannelli fotovoltaici, per il buon funzionamento delle pompe idrauliche e del timer che controllo regolarmente.

Ogni mattino Aldo, Giovanni e Giacomo raccontano di una gazzella che dopo essersi alzata deve correre se no il leone la prende, io, invece racconto che ogni mattino mi sveglio ed entrando nell’ex cucina, divenuta deposito per il progetto, devo essere molto abile nello schivare i 5 pipistrelli che mi vogliono dare il buongiorno, sbattendo le loro ali sul mio viso.

Il mattino è il momento in cui patisco di più la manutenzione del progetto, intorno le 10-11:00, quando il sole già alto nel cielo, spara i suoi raggi solari sul mio corpo, al di sotto della mosquito net, realizzata al 100% in poliestere con la disumana conseguenza di rigagnoli di sudore che iniziano a scendere da tutto il corpo, accompagnata tale situazione, da un assai limitato spazio di manovra manuale, dovendo fare attenzione a tubi, corde, legni di palma nonché le piantine.

Se per di più mi scivolano gli occhiali, bè il pensiero di dire qualche parolaccia mi sovviene ed ecco allora che decido di prendermi 5 minuti di pausa, bevendo un bicchiere d’acqua.

Ieri ed oggi ho dovuto eseguire un’operazione assai delicata sulle piantine, ossia la rimozione di quelle in sovrannumero.

Per alcuni bicchieri di plastica, la maggior parte, sono germogliati più semi e cosi mi ritrovo in condizione di avere 10 piantine di15 cmnello stesso bicchiere.

La complessità di tale operazione, risiede nel togliere la piantina con la sua radice senza portarne dietro tutte le altre. Le radici sono molto fitte ed intricate le une alle altre, cosi talvolta non posso eseguire questa operazione, lasciando inalterata la situazione.

Tenterò di postare tre foto che ho scattato questa mattina 27 novembre 2012, verso le 10:00,

scrivo tenterò perché qui la connessione internet se c’è è molto lenta, qualità EDGE, a volte tocca anche i 5 kbps, ossia una velocità di connessione dati assai bassa.

La variabile vento, vorrei non considerarla, potrei scriverci un tema a riguardo, dal titolo: “Loiyangalani: Tecnologia vs Natura, 0-1”.

The last but not the least, voglio fare gli auguri di buon compleanno a mio fratello Ilario, “ Tanti Auguri e buona torta ! ”.

Gabriele

From Loiyangalani

PROGETTI E VITA… IL VIAGGIO (parte quarta)

Dopo essere rientrati in Missione dalla poco redditizia pesca, abbiamo cenato e chiacchierato con Padre Andrew, raccontando della giornata e del progetto, comunicandogli che il giorno successivo avremmo installato i pannelli solari. Il suo entusiasmo in merito al progetto era molto attivo quasi tutti i giorni veniva a controllare le piantine e con occhi sbalorditi e increduli le guardava crescere.

Al mattino come anticipato è iniziata la lunga e sudata giornata dedicata ai solari. Alle 8.00 il caldo era già focoso, e il pensiero di salire su un tetto in lamiera non era molto allentante sia per la pericolosità sia perché era già incandescente. Fortunatamente le strutture di sostegno erano state precedentemente preparate e collocate sulla tettoia, dai ragazzi della Missione.

Il compito di posizionare i pannelli è stato svolto da un ragazzo che lavora per Padre Andrew, mentre Tony e Simone da sotto glieli passavano.

Terminato il passaggio dei pannelli siamo passati ai collegamenti, così coraggiosamente Simone e Gabriele sono saliti sulle lamiere e hanno collegato i cavi. Scesi dal forno siamo passati agli allacciamenti interni, con l’aiuto di Padre Andrew abbiamo riempito le batterie di acido e le abbiamo collocate nella stanza, gentilmente offerta per il progetto. 

Il momento successivo è stato parecchio divertente, Tony e Gabri si sono arrampicati su un mobile per tirare e tagliare i cavi che sarebbero serviti a far partire l’impianto. Il caldo di quella stanza era insopportabile e immaginate loro due sull’alto di una credenza sotto ad un tetto in lamiera. Parlavano di come tagliare i cavi mentre le gocce di sudore cadevano da ogni parte del loro corpo,  Gabriele ha lottato ripetutamente contro la caduta dei suoi occhiali mentre Tony gli rispondeva con frasi sconnesse. Una volta scesi si sono lanciati in piscina.

Ma ciò che non era visibile ai nostri occhi, ma che stava da più di ora sul tetto, era quel sant’uomo di Erunye, era lì ad aspettare che finissero i collegamenti per tirare definitivamente il cavo ai pannelli, era sconvolto, e quando è sceso era legittimamente intontito.

Ma qualcosa ci ha dato una mano, probabilmente anche il cielo aveva compassione di noi così ci ha regalato il miracolo della pioggia. In questo luogo piove 5 giorni l’anno… Alzando gli occhi al cielo ho pensato : “La nuvola di Fantozzi ci ha inseguito fino al Lago Turkana, ma questa volta è ben voluta”.

Terminato il lavoro e l’acquazzone siamo andati in città a comprare, l’ormai indispensabile caffè e a cercare le zanzariere per coprire le due strutture, altrimenti gli insetti avrebbero fatto razzia delle piantine. La cittadina dello Loyangalani è situata all’interno di un’oasi ed è molto ben tenuta ed organizzata, anche i negozi sono riforniti bene, anche se i prezzi sono alle stelle per gli standard del Kenya, perché tutto viene ordinato e consegnato tramite corrieri, per cui su quasi tutti i prodotti c’è la maggiorazione del trasporto. 

Camminare per le vie del villaggio è come sempre entusiasmante e pieno di sorprese, fai incontri e incroci sguardi dai quali puoi capire se sei ben accetto o no, ma in questo caso la nostra presenza è stata ben voluta, soprattutto da parte degli immancabili bambini, che quando vedono un bianco si incollano per osservare ogni millimetro del suo corpo. All’inizio questo atteggiamento può sgomentare, ma col tempo diventa un’opportunità, perché permette sia di mettere a confronto due mondi estremamente differenti sia di conoscere meglio la loro cultura. Alcune immagini mi tornano alla mente di quel momento e una di queste è una bambina di 4/5 anni che portava legata al suo minuscolo corpicino la sorellina di circa 6 mesi; la teneva stretta a sé, mentre correva e giocava allegramente con gli altri bambini, senza preoccuparsi di come muoversi o di come parlare, era sicura di ogni suo gesto e movimento, una piccola donna che ha imparato sin dalla più tenera età la responsabilità dell’aiutare il prossimo, senza però dimenticarsi dei suoi bisogni di bimba. Questo ti fa capire quant’è diverso il nostro stile di vita, dove spesso il benessere e le paure vincono sulla fiducia nei riguardi del bambino, il quale attraverso le azioni e gli insegnamenti dei genitori riesce già da solo a mettere in pratica, senza tante difficoltà ciò che gli viene chiesto, diventando fortunatamente autonomo, consapevole dei problemi, dei pericoli, delle gioie e di tutto ciò che può insorgere ogni giorno sul suo percorso, imparando con il gioco e l’esperienza dei più grandi, una lezione dal valore incalcolabile: la vita! La mia non vuole essere una critica o una lezione sull’educazione infantile, a quello ci pensano le tate di SOS tata, ma semplicemente un’occasione per far comprendere che queste creature per quanto sommerse da difficoltà quotidiane e pur non vivendo nel “benessere materiale” sono felici e libere, e fattore ancora più straordinario sono orgogliose e fiere della loro esistenza, apprezzando e gioendo giornalmente di quello che la vita gli offre.  Quando sono diventata consapevole che la mia emotività spesso vinceva sull’effettiva realtà ed esigenza, ho compreso che si può aiutare in maniera proporzionata, senza intromettersi nell’intimo della loro educazione e della loro cultura, realizzando come in questo caso un progetto in grado di migliorarne le condizioni di vita.

Ma tornando al racconto, durante quei minuti mi sono seduta sotto un albero e i bambini mi hanno sommerso di domande ed era divertentissimo vedere le loro espressioni quando gli rispondevo in swahili, non so fare un discorso al 100% ovviamente, ma il linguaggio dei bambini è molto semplice e diretto, per cui ne sono uscita vittoriosa, altrimenti mi avrebbero preso in giro per tutto il tempo. Gabriele e Tony si sono invece dilettati nel giocare a calcio con un altro gruppo, la palla era costruita con sacchetti di plastica appallottolati, corde recuperate in giro e pezzettini di tessuto; è a tutti gli effetti una palla, ma che ha un’arma nascosta…. Non si buca sulle tante spine che ci sono per terra! Il match non è durato molto perché i bambini sono abituati al caldo, Gabriele e Tony un pochino meno, per cui vinti e sudatissimi, sono venuti sotto l’albero.

La foto che troverete qui sotto rappresenta uno dei giochi che insieme alla palla regalano gioia e spensieratezza ai bambini.

Sono moltissime le sfaccettature che si riescono a cogliere durante una semplice passeggiata, e come in questo caso sapere che spesso la chiave d’accesso per la conoscenza verso chi ti trovi di fronte è la pura ed onesta umiltà, ti fa capire che ogni tanto il ritornare nei panni di uno spensierato bambino che in quanto tale ha pochissime paure, determina una libertà di pensiero molto ampia, trasformando e arricchendo ancora di più il  viaggio che stai compiendo.

Un abbraccio a presto

Lilly

LA SECONDA CADUTA

Ciao a tutti.

Scrivo questa pagina di diario, dopo qualche giorno di assenza.

Sono stati giorni impegnativi quest’ultimi.

Molte le cose che sono capitate, una partita di pallone nella parrocchia, il cavo per il progetto mai arrivato, due giorni di meeting per la pace pre-post elezioni, il viaggio a Moiti, la mia seconda caduta di salute.

Ieri mercoledì 21 novembre, non sono stato nuovamente bene, febbre a 38.0° e mal di testa forte, tutto ciò era già iniziato la notte passata, martedì 20 novembre.

Sentivo in me debolezza, pochissima energia, disidratazione completa e febbre alta.

Se ritorno con la mente a quella notte in cui sentivo freddo, mi viene da sorridere, perché qui le temperature non si abbassano mai al disotto dei 35 gradi circa.

Percepito dal mio corpo il forte calo di temperatura, ho pensato in quei pochi attimi di lucidità, che fuori ci fosse il diluvio universale, ma era il perenne vento che impetuoso soffia attraverso le numerose e secolari palme che circondano la camera dove alloggio.

Mi sentivo in quel momento come se fossi su una barca in mezzo ad una gran tempesta, dove ondate d’acqua mi sorvolavano la testa, l’imbarcazione completamente lasciata al suo destino e tutto era avvolto nel buio più profondo.

Il paracetamolo era chiuso nel cassetto di fianco al mio letto, con qualche sforzo sia fisico che mentale, l’avrei preso ma poi il pensiero di percorrere200 metriper giungere alla cucina, dove avrei potuto versarmi un bicchiere d’acqua per buttare giù la medicina, con il rischio di essere colpito da una freccia dalla punta che potrebbe uccidere tranquillamente un uomo, mi ha fatto passare tale pensiero.

Così, dopo aver rinunciato alla camminata notturna, ho cercato di trovare la posizione più comoda all’interno del letto, corto per la mia statura e col materasso bucato, per riprendere quanto più facilmente possibile un po’ di requiem.

Arriva il mattino di mercoledì 21 novembre, ore 5:00 e con esso la seconda giornata del meeting per la pace, organizzato da Fr. Oliver, irlandese ed il suo aiutante-volontario Paul, inglese.

Fr. Hubert, ovviamente non può non mancare a questi meeting o meglio in generale a qualsiasi news ed evento che capitano sulle sponde del lago Turkana, nonostante lui sia in carica a North Horr.

Così il suo forte “Good morning, habari aco ?” dal risvolto tedesco, risuona per tutta la guest house e cosi ha inizio la giornata per tutti quanti, tranne che per me, non mi muovo di un cm dal letto, nonostante tutta la mia volontà.

Troppo intensa è stata la mia nottata.

Solamente verso le 9:00, trovo le forze per andare in cucina a conquistarmi un bicchiere d’acqua e ingurgitare la pillola, dopo di che ritorno nuovamente a letto.

La vera Africa si paga.

Prima di mezzogiorno, dopo aver avvisato le suore, giungono a farmi visita, il loro arrivo viene anticipato dalle soavi parole “odi, odi” ed io “karibu, karibu”.

Racconto a loro il tutto, discutiamo sulle possibili cause, in primis si ripensa ad una ricaduta di malaria, nonostante abbia risposto in maniera positiva alle cure somministratemi in precedenza, in secondo luogo si pensa al viaggio a Moiti.

IL VIAGGIO A MOITI

Dopo alcuni giorni di preparativi per il trasporto del materiale a Moiti, si fissa la partenza per lunedì 19 novembre, dopo svariati rimandi e alcune problematiche superate.

Moiti è un piccolo villaggio di circa 500 persone a150 kmcirca a nord dello Loiyangalani.

Si decide, con l’accordo delle sisters, di portare in primis cibo, acqua e medicinali.

Il giorno prima abbiamo dovuto fare una modifica alla jeep toyota land cruiser 4200 cc, diesel, giallo panna.

Con un team di 10 persone, abbiamo tolto il tetto fisso in metallo, che copriva il dietro della jeep, troppo pesante per le nostre necessità.

Solo più tardi avrei potuto capire veramente cosa stavo facendo con quell’operazione, certo inizialmente ho pensato, abbiamo da portare molto cibo, molta acqua, due box di medicinali, il materiale per la costruzione della chiesa ossia sacchi di cemento, travi di ferro lunghe15 m, bacchette per saldare, utensili necessari per svolgere il lavoro etc. è chiaro che serve alleggerire quanto più possibile il mezzo e creare maggior spazio possibile.

Ma mai pensavo quello che avrei provato dopo nemmeno 24 ore.

Si fanno le 13:00 la jeep è carica e giunge l’ora del pranzo, mangiamo tutti insieme riso e tilapia, il tipico pesce del lago Turkana.

Chiedo a Jimmy con quante jeep andiamo, mi risponde con quella, indicandomela dalla finestra della cucina ed è proprio quella stracarica di merce, mà, tra me e me mi dico, certamente andremo con una seconda, forse non ha capito bene la mia domanda, proseguo a mangiare tranquillo.

Caesar, il diacono ugandese che dimora qui allo Loiyangalani insieme a Fr. Andrew, è alla guida, mama con figlio e l’infermiera Gabriela nella cabina di pilotaggio, ottimo pensai i posti in cabina sono finiti !

Domando allora a Jimmy: “Where we stay ?”, “Here”, che gran sorriso che feci, mi stava indicando il retro della jeep, dove oramai i posti stavano scarseggiando, ragazzi mai visti prima d’ora si erano già accomodati sul roll-bar interno della jeep, sistemati alla belle e meglio, non mi restava che arrampicarmi e trovarmi un posto, tra il poco spazio che rimaneva.

Sotto di noi, avevamo sacchi di farina americani, verdure, frutta, zaini con qualche vestito, tra cui il mio, contenitori d’acqua, fili metallici, una mama ed un ragazzino seduti sopra.

Il mio posto di viaggio era in prima fila, in piedi, vicino alla presa d’aria, queste jeep l’hanno alta in caso di off-road, circondato da un quadrato di tubo nero grosso, circa 50*50 cm, questo era il mio spazio vitale per il viaggio.

Caesar accende il motore, Pita non smette un secondo di parlare, forte e contagiosa è la sua risata, Jimmy appena può si siede tra le varie scatole, mi piacerebbe farlo ma non posso.

Non lasciamo neppure il perimetro della città Loiyangalani, che una prima bufera di polvere mista a sabbia, ci mette ko tutti quanti per qualche minuto.

Ci manca poco che il mio cappellino, unica difesa contro il sole equatoriale delle 15:00, mi vola via, dannazione e cosi anche i miei occhiali da vista, è un lusso che non posso permettermi.

Così mi barcameno tra il trovare una sorta di equilibrio-stabilità per la mia sopravvivenza senza essere sbalzato fuori ad ogni buca che inevitabilmente si prende e con una mano bloccare gli occhiali ed il cappellino.

Si percorrono i primi20 kmin circa 1 ora, subito mi rendo conto della difficoltà del viaggio, è stressante, duro, intenso, è una gran palestra per i miei nervi, continui sono gli sbalzi, continue le botte che prendo lungo i fianchi ed il sedere, il giorno dopo non riuscirò a sedermi e avrò lividi neri sparsi per il corpo, forte deve essere la presa sul tubolare, si formeranno vesciche sui palmi delle mani, forte è la disidratazione, la bocca diventa secca, durante le soste tutti quanti beviamo acqua e alcune sode che ho comprato dalla mama in town, il colore delle mie braccia cambia così il volto, forte è il sole che batte incessante sulle nostre teste, per un attimo ho avuto una sorta di mancamento, in quel momento Pita mi chiama ed urla, “What happens ?”, i reply “ It’s allright Pita, and smile again”. We carry on the travel.

Una volta ho pensato di volare giù dalla jeep, dopo un tratto veloce, sui circa 50-60 km/h, verso l’ora del tramonto, Caesar si accorge negli ultimi istanti di un dislivello di circa40 cm, lungo la via, cosi non gli resta altro che frenare bruscamente, talmente forte è la frenata che il mio corpo si accartoccia lungo il tubolare formando una C, nonostante la mia presa con le mani fosse ben salda sul tubo, non è servita a molto. In quel momento ho pensato che quello era stato il peggio e se non fossi volato giù in quell’occasione, avevo buone probabilità di arrivare a Moiti indenne.

Il viaggio è durato 4 ore per coprire150 km, sempre in piedi con tutti gli elementi della natura in quel momento a noi ostili.

Mi vengono in mente ora, i primi colpi di clacson strombazzati, perché suonare in mezzo al deserto mi domandai?

Poi dopo 5 minuti ho capito, alberi di acacia, disseminati qua e là lungo il bordo del sentiero, dove visibile, possono trafiggerti la carne con le loro spine di 3-4 cm, producendo un male ed un bruciore molto forti, se colpiti a forte velocità.

Così oltre a tutto il resto si doveva a volte fare i contorsionisti per evitare queste gran belle sorprese.

E’ stato un viaggio unico e molto intenso mai l’avrei immaginato.

Alle ore 19:00 arriviamo a Moite, il villaggio non è visibile per via del buio profondo, riesco a scorgere con la luce della torcia solamente una piazza con attorno delle costruzioni in muratura, si rivelerà essere la casa del padre e degli ospiti e più sotto, volte verso la sponda del lago intravedo le magnatta, le case capanna dei locali.

Siamo circondati da molti bambini incuriositi, mamme e ragazzi, quasi nessun uomo adulto e anziano.

In primis, mi disseto e offro qualche soda, quelle poche rimaste.

Mi sento fin da subito osservato soprattutto dai bimbi e ragazzini, non è cosi comune vedere un bianco in quelle parti e soprattutto che viaggia in modalità 100% africana.

Cerco un angolo e mi siedo, cercando di riprendere quel poco di forze sparse chissà in quale angolo del corpo, dopo 5 minuti, aiuto a scaricare tutto il materiale.

Ore 19:30, siamo pronti per il ritorno a Loiyangalani, mi informo se c’è un posto in cabina questo giro, Jimmy che guiderà la jeep, mi dà la risposta tanto attesa e desiderata.

Non potevo immaginare, quanto sia bello viaggiare, comodamente seduti su un sedile, mi sentivo come un re.

Al mio fianco c’è Sanita, un ragazzo della parish Loiyangalani, un gallo dai colori sgargianti, che potevo vedere solo illuminandolo col display del cellulare, verdone, blu e rosso, regalato a Caesar come simbolo di benvenuto ed accoglienza e poi Jimmy alla guida. Sul retro penso che abbiamo caricato circa 20 ragazzi, tra maschi e femmine, chi seduto, chi in piedi, chi a cavalcioni sul tubolare.

Altre 4 ore di viaggio ci attendono per il ritorno.

Subito, mi accorgo che qualcosa ai miei occhi non va, li sento bruciare e mi danno fastidio, solo più tardi verso le 24:00, una volta giunti a casa e specchiatomi li vedrò rossi.

A volte ci fermiamo, su indicazione di qualcuno nel retro per aspettare qualche amico o parente che si unisce verso la town, a volte arrivano a volte l’attesa si rivela vana e si prosegue.

Sanita si addormenta sulla mia spalla, Jimmy lo avverto è stanco, a volte sbaglia strada ed io sono stanco, esausto, dolorante.

Arriviamo sani e salvi intorno alle 23:30, il mio pensiero è quello di darmi una sciacquata e mangiare qualcosa di dolce , per riprendere un minimo di energia.

Noto, con gioia che la luce della cucina è accesa, buon segnale.

Fr. Andrew ci attende sdraiato sull’amaca, ci chiede qualche notizia e poi tutti quanti ci ritroviamo a mangiare, un piatto di riso con della carne, ugali un tipo di polenta e bere molta acqua.

Verso le 24:00 ci salutiamo tutti e ci scambiamo la buonanotte, lala salama.

Sento un fisiologico bisogno di farmi una doccia, sia per lavarmi sia per rinfrescarmi da questo lungo viaggio.

Asciugatomi, spengo la candela e sprofondo nel materasso in uno stato tra il cosciente ed il non cosciente.

Mi sveglio alle 7:00, distrutto, ossa e muscoli doloranti mi dirigo in cucina, la jeep non c’è più.

Jimmy è già ripartito per portare su altro materiale, sveglia ore 5:00.

Primo giorno del meeting per la pace, martedì 20 novembre.

Gabriele from Loiyangalani

Letter from Carlo to Me, asante sana

Jambo, Gabriele. Ti sto idealmente seguendo e ti leggo quasi quotidianamente.
Mi dispiace per la malaria che ti ha voluto far visita, ma tu sei giovane e…
spero, accorto. Intendo dire che non devi trascurare cio’ che va assolutamente
fatto. Tu stesso hai detto di sentirti piuttosto debilitato. Come certamente
saprai, la terapia per uscirne e’ un vero bombardamento a danno degli zuccheri:
quindi raddoppia il consumo di pasta e assumi glucosio, in quantita’, anche in
soluzione in bottiglie con acqua. Non prenderlo come il solito predicozzo di
chi non e’ piu’ “molto giovane”: avrai gia’ realizzato che l’Africa e’ bella,
e’ dura, ed e’ bella proprio perche’ e’ dura…Ma! Ho letto poc’anzi le tue
belle descrizioni di vita intorno al lago, dei tuoi faticosi ma interessanti
spostamenti con il padre tedesco; le tue riflessioni sono profonde, e
suggestive le immagini di vita e di paesaggi che ci trasmetti, coinvolgendoci.
Non so se potro’ farlo nel brevissimo tempo, ma ho in progetto di ritornare in
quei luoghi dove, come tu hai detto, e’ sottile il diaframma tra la vita e la
“non vita”. Luoghi che aiutano, forse, a capire una volta per tutte che la vita
in se’, a qualunque latitudine, foss’anche nel nostro habitat dell’occidente
“progredito”, e’, nell’essenza, caratterizzata dalla precarieta’. Cosi’ che
diviene difficile stabilire se siamo piu’ fortunati noi in un mondo che
allunga regolarmente la durata di un tipo di vita che genera infelicita’, o
quantomeno insoddisfazione crescente, o meno sfortunati gli abitanti di quei
luoghi aspri e difficili oltre ogni immaginazione, la cui vita ha breve durata
ma si svolge in quello stretto legame con la natura che noi abbiamo reciso. Ed
e’, questo, il nostro vero, solo, ” peccato originale”. Stammi bene. A presto!

Carlo

PRONTI, PARTENZA, VIA… IL VIAGGIO (parte terza)

Ed eccoci qui pronti a risalire in macchina e quasi arrivati alla nostra meta, il Lago Turkana.

Simone dopo essere ripartiti ci ha detto che mancano circa 90 km, e confronto a tutti quelli che avevamo percorso nelle ultime ore e settimane ci sembravano secondi. Il tramonto stava piano piano salutando tutto ciò che ci circondava, posando sulla natura il suo mantello dagli accesi e caldi colori.

Anche l’ambiente intorno a noi stava cambiando, la savana aveva ripreso possesso della terra ma lasciava intravedere alcuni sassi che proseguendo si sarebbero impadroniti del suolo trasformandolo di nuovo in deserto.

Devo ammettere che a questo punto del viaggio anche la stanchezza fisica iniziava a farsi sentire, in macchina per qualche tempo ha regnato il silenzio, tutti eravamo concentrati a scrutare l’orizzonte per vedere se per caso si intravedeva il lago… ma niente!

Ad un certo punto Simo, quasi volesse farci fare un gioco, ci ha chiesto di contare dei piccoli ponticelli che ogni tanto apparivano sulla strada, dovevamo arrivare a 6! Per cui con gli occhi sbarrati abbiamo iniziato il conteggio e nel contempo ogni tre per due io e Gabri scattavamo foto, sembrava che non volessimo perdere neanche il più piccolo dettaglio dello spettacolo che ci circondava. I tramonti sono sempre affascinanti e pieni di meraviglia da parte di chi guarda.

Dopo essere arrivati a 6, abbiamo superato alcune curve ed una collinetta e ciò che apparso ai nostri occhi era paragonabile ad un miraggio…

Ecco finalmente il lago Turkana, in tutta la sua magnificenza, con indosso il suo abito migliore… eravamo arrivati e non esisteva momento più armonioso e confacente per osservalo… sono stati attimi di pura magia, dove regnava solo l’incantesimo che a generato quel paradiso, il The end perfetto di una favola, che ti fa dimenticare tutto quello che hai dovuto sopportare per vederlo, facendoti comprendere che era un meritato ed equo prezzo da pagare.

A questo punto pensavano d’essere arrivati  anche in Missione e invece no! Diciamo che non è proprio vicino il villaggio dello Loyangalani,  durante questi ultimi km il caldo era al limite della sopportazione, la strada era composta al 99% da sassi e l’altro 1% da sassolini per cui il terreno era paragonabile a carboni ardenti. Il buio era ormai padrone del cielo, ogni tanto incontravamo dei pescatori che facevano ritorno alle loro capanne, per il resto l’unica presenza e rumore era provocato dalla macchina. Ci siamo fermati alcuni istanti per esigenze fisiche, Simo e Gabri sono scesi dalla Land Rover mentre io e gli altri siamo rimasti comodamente seduti… ma qualcosa ha disturbato la quiete del luogo e del momento… Io!!! All’ improvviso ho sentito delle zampe sulla mia mano che pochi secondi dopo si erano spostate sul mio collo… non immaginate neanche l’acrobazia che ho fatto, perché con un balzo mi sono ritrovata con i piedi per terra, sono sgusciata fuori dal mio sedile senza sfiorare o rompere i tubi ma cosa più importante senza calpestare i pannelli solari. Una volta a terra tremavo come una foglia e continuavo a chiedere agli altri di controllarmi la schiena per vedere se c’era qualcosa, ma niente… Può sembrare una reazione ridicola e dopo aver saputo cos’era lo è stata, ma il tutto è nato dal pensiero che fosse un ragno molto comune in Kenya, ha 6 zampe, è molto grosso e vola, e io di certo non sono una che rimane ferma alla presenza di quell’insetto. Alla fine cercando in macchina abbiamo scoperto la bestiola, era appoggiata al finestrino e sembrava una specie di libellula/farfalla gigante, con 6 zampe, un corpo allungato, un robusto torace con sfumature di rosa e bianco e 4 ali, ho cercato qualche immagine ma non sono riuscita a trovarle, prima o poi conoscerò il nome, perché quelli che mi avevano detto non erano corretti.

Dopo l’avventura siamo ripartiti e circa 30 minuti dopo eravamo nell’oasi dello Loyangalani, non si vedeva niente a parte qualche luce nelle case. Scesi dal nostro mezzo di trasporto padre Andrew ci ha accolto e ci ha fatto accomodare a tavola.

Un buon piatto di riso e pesce e per finire una gustosa fetta di anguria. 

Terminata la cena ci siamo diretti alle camere, e per raggiungerle abbiamo attraversato ovviamente al buio una specie di boschetto. Le stanze  erano all’incirca tutte e tre uguali tranne la nostra che non aveva il lavandino.

(quella della foto sotto riportata è di Gabriele)

Dopo aver posato i bagagli, ci siamo catapultati nella piscina della missione, può sembrare strano trovare una piscina in un luogo come questo ma non c’è nulla di sprecato, perché l’acqua arriva da una fonte termale e viene sempre riciclata e poi ha una temperatura talmente alta che non potrebbe essere utilizzata meglio, è terapeutica. Finito il bagnetto siamo andati in bagno e lì abbiamo fatto il primo incontro con uno scorpione. Era nel lavandino e in un nano secondo è scomparso nello scarico. Che bella visione prima di coricarsi! Eravamo esausti, nemmeno quell’insetto poteva recarci spavento, così siamo andati a letto! Il risveglio è stato divertente, i nostri visi erano lo specchio della nottata, che lasciavano intravedere chi aveva dormito bene e chi meno! Naturalmente i due piccoli del gruppo, io e Simo abbiamo riposato alla grande, perché i letti erano realizzati per persone di media altezza e Tony e Gabri avevano qualche svantaggio, Tony in modo particolare!

Ma ciò che colpiva allo sguardo era quello che ci attorniava, tutto verde! Uno spettacolo unico, eravamo all’interno di un’oasi, che per quanto verde è impossibile da coltivare perché la terra non assorbe l’acqua e se lo fa diventa fango, solo alcune specie di piante riescono a crescere come ad esempio le palme.

Motivati e carichi abbiamo iniziato sin dal primo giorno con la realizzazione in loco del progetto, la prima cosa che abbiamo fatto è stata la saldatura della struttura preparata ad Isiolo, così Simone munito dei miei occhiali e di una maschera che premurosamente gli avevo costruito con del cartone, ha iniziato a saldare.

Il secondo passo è stata l’installazione dei tubi che fortunatamente il cognato di Simone aveva precedentemente forato.

Lavorare era massacrante perché il caldo non dava tregua, soprattutto i primi giorni, per cui spesso e volentieri il tutto era tamponato da un tuffo in piscina e un caffè, ogni giorno se ne beveva almeno mezzo litro a testa! Ma era necessario per continuare, non poteva vincere il caldo, così continuavamo nell’opera, c’era chi coraggiosamente bucava i contenitori delle pompe e i bicchieri, e questo merito va tutto a Erunye e Tony “cognato”, perché accendere il fuoco allo Loyangalani è una bella sfida contro il caldo, e continuare a bucare plastica per circa due o tre ore è davvero eroico, c’era poi chi preparava le prime nursery e chi incollava i tubi di drenaggio dell’acqua.

Superate le ore più calde, il gruppo si è spostato per andare a pescare, la nostra destinazione sarebbe stata il museo dello Loyangalani. Un edificio la cui utilità in tutta sincerità non l’ho capita. E’ una struttura molto ben compiuta, perché è stata edificata sull’alto di una collina e la balconata che si affaccia sul lago è da lasciare senza fiato, ma anche senza di esso sarebbe stato bellissimo perché è il paesaggio a farla da padrone e a rendere il luogo incantato.

Dopo aver lasciato i pescatori Tony e Simo, ho fatto un giretto e ho pensato bene di giocare con i sassi, ne ho lanciato uno e questo mi è rimbalzato come un proiettile sullo zigomo. Dopo aver realizzato il colpo sono andata da Tony e con la faccia insanguinata gli ho detto che andavo in macchina, così almeno non avrei fatto altri danni. Dopo aver medicato il taglio con un’arancia che avevamo dimenticato in macchina e dopo aver rimosso le schegge del sasso, mi sono accorta che fortunatamente non era così profondo. Una cosa è certa, ogni volta che mi guarderò il viso, quella cicatrice mi ricorderà di questo splendido viaggio. Evito di mettere la foto perché non è proprio bella.

Quando mi sono ripresa dalla botta ho lasciato che il sole si lasciasse catturare dal mio obbiettivo.

Vi lascio con questa immagine perché più di mille parole può far comprendere l’estasi del mio stato d’animo in quel momento.

Il viaggio non termina qui, nei prossimi articoli dedicheremo spazio al progetto e alle nostre avventure quotidiane.

 Buona domenica a tutti!!!!!!!!!!!!!!

SI RIPARTE… IL VIAGGIO (parte seconda)

Spero che il primo articolo sia stato di vostro gradimento e che le foto abbiano reso la lettura più appassionante. La seconda tappa del viaggio ripercorrerà la difficoltà che abbiamo incontrato a causa della pioggia!

Dopo aver salutato lo staff dell’ospedale di Laisam, siamo saliti in macchina e come potete immaginare abbiamo parlato di ciò che avevamo visto e sentito. Il bello di viaggiare con persone propense ad attingere a ciò che si vive, permette d’affrontare discorsi ricchi di opinioni, non necessariamente simili ma anche contrastanti le une dalle altre. E’ qualcosa di molto positivo perché fortunatamente gli esseri viventi hanno una mente indipendente e molto spesso senziente che permette d’afferrare quello che un’altra persona non è riuscita a cogliere, facendo nascere soluzioni e risolvendo problemi.

Spesso è proprio vero che un viaggio da fisico si trasforma in mentale, arricchendo ancora di più l’itinerario, ma che come in questo caso ci ha fatto sobbalzare all’ improvviso a causa dei buchi sulla strada ma dandoci la possibilità di notare la trasformazione del paesaggio, sembrava quasi infastidito dal fatto che non lo stavamo osservando e se era così aveva ragione perchè dalla splendida savana è mutato rapidamente in un luogo marziano. Eravamo  sommersi dalle pietre e dalla polvere del primo deserto… Il deserto dei sassi… Che caldo!

Da qui è iniziato il comprensibile dubbio di Simone sulla strada, perché da lontano le nuvole non promettevano bene, per cui a man mano che incrociavamo qualche auto piuttosto che persone, chiedeva informazioni sul percorso più sicuro da prendere. Ci sono state opinioni discordanti da parte della gente, alcuni dicevano di passare da una parte altri da un’ altra, alla fine ci siamo diretti verso Marsabit, avremmo allungato di alcuni chilometri la strada, evitando però di impantanarci.

Nelle vicinanze della città com’ era prevedibile dal cielo abbiamo incontrato le piogge, le quali rendono davvero pessime le strade, inondandole di fango, fortunatamente avevamo un gran bravo autista che come se niente fosse passava attraverso quelle pozzanghere, vi assicuro che non è solo merito della macchina se si riesce a superare quelle pozze, perché il captare nell’ arco di pochi metri la parte più sicura da prendere è davvero difficile, soprattutto se guidi una specie di Pullman. Bravo Simo!

Ma non tutto è filato liscio come l’olio perché dopo aver superato il fango, il cofano anteriore si è spaccato, per cui ci siamo fermati e con una corda lo hanno bloccato.

Terminato il ripristino siamo ripartiti, da lontano abbiamo visto arrivare parecchie macchine, dei fuori strada con delle antenne enormi, i guidatori erano persone di mezza età, presumo stessero facendo una sorta di gara, una di queste macchine si è fermata al nostro stop e due tizi presumibilmente inglesi dai lunghi baffi e capelli bianchi, ci hanno salutato con divertimento, gli abbiamo chiesto se per caso sapevano com’ erano le strade andando avanti ma sfortunatamente non lo sapevano. Arrivati a Marsabit, abbiamo fatto benzina e poi a tentoni abbiamo cercato di individuare con l’aiuto di alcuni locali la strada meno danneggiata dall’acqua, che ci doveva condurre verso il deserto del Chalbi! La prima non era giusta la seconda fortunatamente si!

Abbiamo lasciato alle nostre spalle il fresco e le verdi colline di Marsabit, inoltrandoci di nuovo in savana, il caldo iniziava a farsi sentire e anche la fame.

Così dopo aver proseguito per qualche chilometro abbiamo deciso di fermarci per pranzare e per ridare un forma eretta al nostro corpo. Sotto una bellissima acacia secca, abbiamo tirato fuori dalla macchina lo scatolone delle provviste. Un pranzo da veri “guerrieri”, carne salata, che solo io, Simone ed Erunye mangiavamo, non è male bisogna solo andare oltre alla forma, al colore e scordarsi di leggere l’etichetta, poi vi assicuro che  è molto energetica e saporita, insieme alla carne avevamo asparagi, cornetti, uova, pane e poi alla fine di tutto ci siamo preparati un buon nescaffè, mi dispiace non avere foto del pic nic ma credo che il mio  cervello fosse troppo concentrato a riempire lo stomaco e a far tornare in circolo gli zuccheri. Terminata la pausa ci siamo guardati intorno e abbiamo scoperto che fortunatamente c’era un’ area di sosta, con tanto di bibite fresche e indicazioni stradali….

Meno male… perché sapere dove sei e dissetarsi con delle salutari sodas è sempre consolante e rigenerante…

Dopo ciò siamo risaliti in macchina! Erano già passate quasi 8 ore dalla partenza ma personalmente non mi sembrava, sarà perché i miei occhi erano sempre concentrati ad ammirare ciò che il panorama offriva. Dopo aver superato la savana, è stato il momento di un altro deserto di sassi e qui abbiamo fatto conoscenza con dei simpatici “uccellini”!

E’ stata un scena divertente perché il maschio curava e correva dietro ai piccoli e la femmina era con le sue “amiche” dall’ altra parte della strada a chiacchierare mentre lo guardavano correre! Abbiamo salutato struzzo, struzze e struzzini e siamo ripartiti. Nel frattempo in macchina si parlava del più e del meno per esempio:

Tony che guarda Gabri e gli dice: “dai fai la barba?”

E Gabri: “tranquillo prima o poi accadrà, forse domani, forse…”

oppure :

“ma secondo voi qual è l’articolo corretto del Loyangalani? Il Loyangalani o lo Loyangalani?”

Risposte significative: “non ha articolo; Il lo dello sullo Loyangalani;”

Vi assicuro che eravamo presissimi a riguardo e anche durante il soggiorno al lago Turkana ci siamo posti lo stesso interrogativo, comunque una parte di queste domande (al momento per i nostri cervelli esistenziali), erano provocate dalla continua perdita di liquidi causati dal caldo! La nota positiva era però che tutti questi ragionamenti impegnativi erano ritmati da un piacevolissimo sottofondo di musica Reggae che santamente Simone ha portato con sé (un cd che è durato circa 9 ore), altrimenti visti i discorsi sono convinta avremmo intonato noi qualche canto, come quando si va a sciare e durante quasi tutto il percorso in pullman si cantano canzoncine come “quel mazzolin di fiori”, “fin che la barca va…”, ecc… ma sarebbe stato davvero imbarazzante in pieno deserto con 50° e due ragazzi kenioti abituati a tutt’ altra musica, fare gli alpini!!! Ad un certo punto lo scenario che si è proiettato ai nostri occhi è stata una vera sorpresa. Sabbia, sabbia, sabbia e sabbia….

Eravano arrivati nella periferia del Chalbi, come tutti i deserti ti lascia a “bocca aperta” sia per la vastità del nulla sia per alcune meraviglie che solo un luogo così ostile più creare, è vita o morte, e quando è la vita a trionfare il risultato è sbalorditivo.

Il viaggio stava proseguendo tranquillamente, non avevamo più contatto con la civiltà da parecchie ore ma finalmente all’ orizzonte sono apparse delle capanne! Eravamo arrivati a Kargi, cittadina abitata dalla tribù dei Rendille, considerata una delle etnie più pacifiche del Kenya e per quel poco che ho potuto constatare è così.

Un luogo, che rimarrà indelebile nella mia mente. Non esistono parole adatte per descrivere questo sito, non tanto per come è stato edificato perché è molto ben curato; ci sono edifici ben costruiti, negozietti, scuole ecc… o per le mansuete persone che vi abitano, ma quanto per l’estrema difficoltà a viverci. E’ situata in un deserto e tutt’ intorno non c’è niente, nulla, se non la savana e il deserto. Sono rimasta atterrita perché non c’è acqua se non quella del pozzo, la distanza per raggiungere un paese attrezzato alle emergenze è lontanissimo e come per Sereolippi tutto sta nella fortuna di trovare un passaggio, la polvere rende tutto mimetico sembra un paese fantasma. Sentire un bambino chiederti dell’acqua è qualcosa che ti lascia il cuore a pezzi, perché fa parte dei bisogni primari dell’uomo, fortunatamente ne avevamo in abbondanza. Al mio rientro parlando con la moglie di Simone, Christine, mi sono resa conto che anche per lei è stata una doccia fredda vedere Kargi, ha avuto i stessi miei pensieri,  sicuramente riceveranno anche molto sostegno attraverso gli aiuti umanitari, perché in caso contrario sarebbero in totale isolamento dal mondo esterno, guardando in Internet a parte un puntino sulla mappa, viene dedicato ben poco spazio a questo paese e ai loro abitanti, ed è veramente assurdo, perché qui ci vivono uomini, donne e bambini che meriterebbero d’essere riconosciuti per la loro capacità giornaliera di adattarsi e di vivere bene anche con poco.

“nihil difficile volenti” (“nulla è arduo per colui che vuole”). 

Non sapendo con precisione il percorso da prendere abbiamo chiesto informazioni e un ragazzino si è offerto di accompagnarci fino al principio della strada per Southor, dopo avergli lasciato la mancia per l’aiuto, abbiamo rivolto un saluto pensoso a  Kargi e siamo ripartiti.

Avvicinandoci alle colline di Southor, ci siamo dovuti fermare per controllare lo stato della strada perché apparentemente sembrava pericolosa per il fango.

Tutto ok, cognato Tony ha detto: “Hakuna Shida, bara bara ico poa” – (nessun problema la strada va bene). Ho pensato: “Meno male visto che il sole sta tramontando, ho un tubo piantato nella gamba e uno scatolone tenuto saldo con la  nuca”, mi mancava solo di dormire così! Attraversata la fanghiglia siamo arrivati al bivio di Southor , che ci avrebbe permesso di prendere la strada per il Lago Turkana. Una volta immessi nella giusta direzione ci siamo fermati a riposare qualche minuto, e a scattare qualche foto che finalmente non sarebbero risultate mosse!

Dopo la meritata e ristoratrice sosta siamo ripartiti verso la nostra meta.

Ma questa è un’altra storia… per oggi il nostro viaggio finisce qui!

Grazie a tutti perché il ripercorrere con voi questo Safari mi fa tornare alla mente tantissimi particolari che mi sarebbe dispiaciuto dimenticare.

 Un abbraccio buona serata

Lilly

Fr. Hubert and me

Ciao a tutti quanti,

scrivo dallo Loiyangalani.

Le mie condizioni di salute stanno migliorando poco a poco, certi giorni mi sento più in forze altri meno, penso che questo stato di salute sia dovuto allo strascico delle medicine che ho preso da un lato per curarmi dalla malaria dall’altro per curarmi dalla forse infezione intestinale avuta. Dico forse perché qui la strumentazione tecnica per una, seppur abbozzata diagnosi sanitaria, non esiste e nel contempo mi domando come si fà.

La struttura lontana da me circa 500 metri, chiamata dispensario, l’unico nella zona che copre non so quante centinaia di km di vite umane non possiede nemmeno un seppur semplice strumento diagnostico, sante suore mi viene da dire.

Ho ancora qualche residuo di dolore generalizzato alle gambe e alla schiena, senso di debolezza e un leggero senso di disorientamento, spero possano passarmi il prima possibile.

Lo Loiyangalani non ammette persone deboli.

Qui la vita è dura così come il clima e solo persone sane, in forte salute possono resistere, in questo posto spietato, al confine tra la vita e la non vita.

Questa mattina Father Hubert, di origine tedesca, è partito.

Abbiamo passato insieme 2 giorni piacevoli, sai quando arriva una persona europea o comunque un muzungu è sempre piacevole poter scambiare qualche parola insieme, sapere il motivo che l’ha spinto fino a qui, quanto tempo si fermerà e cose di questo tipo.

E’ una novità.

Fr. Hubert abita a North-Horr oramai da 20 anni, completamente integrato nella società di cui è padre spirituale, conosce molto bene anche tutto il territorio limitrofo al lago Turkana.

Cosi ieri pomeriggio, mi ha chiesto se andavamo a visitare un suo amico tedesco, che possiede un lodge, non lontano da qui, l’Oasis Camp, costruito negli anni ‘70 e ristrutturato negli anni a seguire più volte.

Dopo aver pensato un’attimo al mio stato di salute, non del tutto buono, accetto comunque l’invito.

Cosi sedutomi sulla sua verdone land rover defender  partiamo.

Dopo 10 minuti di strada, arriviamo a questa immensa tenuta immersa nell’oasi dello Loyiangalani, incantevole, da rimanere senza parole.

Partendo dalla vastità del verde del giardino, all’architettura tipica locale, usano per la maggior parte palme, corde di canapa e ferro, ai dipinti e suppellettili vari sparsi qua e là, alle due vasche per la piscina, alle statue di legno raffiguranti uomini e donne impilate nel terreno per poi concludere con la vista mozzafiato che si ha sul lago Turkana.

Non puoi che rimanere a guardare, meravigliato.

In questo posto sono stati girati alcuni film, Le montagne della luna, il Cospiratore, The Constant garden, mai sentiti prima d’ora ma ritornato in Italia mi piacerebbe scovarli.

Alquanto particolare il proprietario di tutto questo, un uomo sulla 70ina, capelli grigi bianchi di media lunghezza, barba sfatta, pantaloncini beige-marroncini corti, petto nudo.

Al suo fianco la bottiglietta da ¼ di Gin con un rosso thermos contenente acqua fresca.

Osservo un libro sui grandi generali militari-dittatori dell’epoca, Hitler, Mussolini ed un altro che non riconosco bene, forse Rommel.

Quando gli pongo una domanda su di esso, borbottando prima in tedesco poi in inglese risponde, parole, parole, parole, penso sia meglio cambiare argomento ed ordiniamo una soda lemon ed una tusker beer.

Stiamo a chiacchierare per una buona mezzora, più loro che io, in tedesco.

Dopo averlo sentitamente salutato e ringraziato per l’ospitalità, decidiamo di partire per una visita al lago.

Risaliti sulla jeep, Fr. Hubert gira la chiave di accensione ma questa decide di non partire.

Prendiamo la tool-box ed iniziamo a fare un check alla batteria, si presenta subito molto sporca, piena di polvere marrone, rossa con gli elettrodi incrostati.

Si decide per la messa in moto manuale, cosi in quattro più uno zoppo, decidiamo di spingerla giù da un piccolo declinio, parte al terzo tentativo, ci dirigiamo subito a fare assistenza in missione.

Dopo circa una ventina di minuti di pulizia dei contatti, la jeep è come nuova.

Decidiamo nonostante l’ora, circa le 17:30 di partire per il lago.

Qui il sole cala alle 18:30 e diventa buio pesto se non vi è la luna a rischiarare la terra.

Prima di arrivare al lago ci fermiamo in un piccolo agglomerato di capanne dove vive una famiglia.

Veniamo accolti a braccia aperte.

Ci scambiamo i saluti ed i nomi per poi entrare nella capanna, costruita con legno e fango.

Mi stupisco di quanto sia pulita, nemmeno un sassolino sul pavimento e le pareti divisorie cosi lisce e ben fatte che mi lasciano stupito. Noto anche delle tendine colorate che fungono da finestre interne.

Dopo questo mio iniziale momento, ci accomodiamo ed iniziamo a pregare tutt’insieme, circa una dozzina di persone, intonando anche un canto tipico.

Riprendiamo il percorso.

Il padre mi porta in un posto mai visto prima, il fishing camp.

E’ per cosi dire il grande magazzino del pesce, dove i pescatori vendono il pescato della giornata, i proprietari del camp lo fanno seccare o su griglie lasciate al sole oppure su griglie scaldate dai carboni roventi.

Da qui una volta confezionato e stoccato viene spedito per barca e camion alle principali città, Marsabit, Kisumu sul lago Vittoria, Nairobi, etc.

Scattata qualche foto ricordo, anche al padre, ci dirigiamo verso l’estrema punta del lago, è il momento del tramonto.

Tutto sembra un bellissimo dipinto, solo un’immagine può rendere descrittivamente il posto.

Alle mie spalle erge potente e con tutto il suo verde il monte Kulal, alla mia destra una distesa pianeggiante spazi quasi infiniti dalle mille sfumature pastello, marroncino, giallo, ocra, verde chiaro, verde acido, sulla mia sinistra l’acqua del lago mi avvolge, con le sue onde increspate sulla riva causate dalla brezza che inizia a spirare e più in là scorgo i pendi lasciati dai crateri vulcanici di un lontano passato, oramai è divenuto terreno per muschi e vegetazione che trova difficoltà ad avere il suo spazio.

Davanti a me uno spettacolo unico, rappresentante la magnificenza del creato.

Dopo aver goduto di questa meraviglia, ognuno di noi è rimasto solo con se stesso per meditare, per riflettere, per pregare come fossero bisogni fisiologici ispirati da questo paesaggio così suggestivo.

Verso le 19:00 siamo ritornati in missione, dove ci aspettava la cena a base di riso, pesce e anguria.

Nel primo pomeriggio ho dedicato il mio tempo ad aiutare le suore, redigendo i report governativi relativi a tutti i pazienti che sono stati visitati e curati nel dispensario.

Va da sé che sistemo anche i laptop migliorandone le performance ed eliminando programmi del tutto inutili a loro.

In questi giorni a pranzo e cena si parla molto delle notizie che giungono da Baragoi, non lontano da qui. Ci sono scontri armati tra Samburu e Turkana per il possesso del bestiame.

48 il numero totale dei poliziotti uccisi, intervenuti per sedare la guerriglia.

Si pensa che il peggio sia passato.

Un abbraccio a tutti quanti

Un caro saluto da Gabriele

Loiyangalani

Happy tuesday from Loiyangalani

Scritto lunedì 12-11-12 pubblicato martedì 13-11-12

Buongiorno a tutti e buon inizio di settimana a tutti quanti.

Vi scrivo da sotto il porticato dove alloggiano i visitatori dello Loiyangalani, quei pochi che riescono a giunger fin qui.

E’ una giornata stramba splende come sempre il sole ma diversamente dagli altri giorni ci sono molte nuvole promettenti pioggia. Inoltre soffia un vento molto forte, capace di piegare come fossero fili d’erba le cime di tutti gli alberi, acacie, palme secolari, toothbrush tree.

Nonostante questo le mosche non mollano il colpo, onnipresenti. Pazienza, mi consolo col fatto che non pungono.

La mia salute sta migliorando, sento ancora un po’ i lasciti della malaria, ma sto bene.

Rispondo ora ad alcune domande che mi sono giunte via mail riguardo alla profilassi antimalarica.

L’antimalaria certamente è una di quelle profilassi fortemente consigliate prima di partire per paesi tropicali, per chi viaggia come turista per un periodo massimo di 90 gg, concomitante con la durata del visto.

Dato il mio personale soggiorno superiore a tale range nel caso in cui avessi seguito tale profilassi avrei detto addio al mio fegato.

In Italia indicano il Lariam come cura preventiva ma sopratutto va detto che va bene per alcuni ceppi di malaria ma non per altri ceppi e dato che i medici italiani non conoscono cosi dettagliatamente la tipologia di ceppi nazione per nazione è tutto un po’ un terno al lotto.

Un’amica nonostante abbia assunto il Lariam prima dell’arrivo in Kenya, si è presa dopo pochi giorni la malaria.

Io consiglio nel caso la prendeste di curarvi col Co-falcinum 20/120 Artemether 20 mg + Lumefantrine 120 mg.

Voglio riportare, di volta in volta, alcuni stralci, a mio parere interessanti, del libro che personalmente mio nonno Vittorio insieme a mia nonna Giannina e lo zio John, mi hanno consegnato prima della partenza per l’Africa.

Buona lettura a tutti voi.

 

C’è invece una verità che richiede coraggio; quella sola merita pienamente questo nome. E’ la verità che si trasforma in programma di vita, che magari costringe al cambiamento, all’autocritica, a una speranza impegnativa. La verità che richiede coraggio è quella che mette in discussione tante illusioni e svela le inquietudini più profonde dell’uomo.

La verità quando non è più cercata, viene sempre sostituita -consapevolmente o meno- da un surrogato. Quando l’incertezza e il dubbio diventano fitti, e la strada per uscirne appare troppo lunga e faticosa; quando viene a mancare il coraggio della ricerca paziente, onesta, perseverante, e viene meno l’impegno della libertà, allora fatalmente ci si rifugia in qualche pregiudizio collettivo, capace di dare temporanea sicurezza e di esonerarci dal rischio personale.

Ci sono tante bandiere dietro le quali arruolarsi, ci sono tanti gruppi nei quali rinchiudersi. Una volta che hai scelto una bandiera e un gruppo, hai dei compagni, un linguaggio, la sensazione di avere trovato un mondo in cui si può vivere, hai un giudizio pronto su tutto.

Basta allora scegliere: e allora la “verità” diventa quella del gruppo o del partito a cui appartieni.

Proprio perché molte delle verità che circolano sono di questo tipo, accade che nessuna comunicazione sia possibile. Rimane spazio solo per la lotta senza quartiere, oppure per il compromesso equivoco in nome del principio  del vivere e lasciar vivere.

Per comunicare infatti occorre credere nella verità, nella sua possibilità di imporsi con una forza che non è quella del numero, e neppure quella della prepotenza o addirittura delle armi.

Occorre avere delle ragioni, e non solo prendere decisioni. Altrimenti il dogmatismo diventa la regola; facile, arrogante e sempre pronta è la rozza schematizzazione di ogni idea diversa dalla propria.

Contro questa  tentazione di fanatismo privo di ogni capacità critica è necessario ritrovare il coraggio della verità.

Questo tradimento della verità può esser dettato dalla paura della solitudine. Per essere accolti in una comunità, in un gruppo, in un giro di amicizie, si è costretti spesso a essere falsi e a recitare una parte che non è la nostra. A poco a poco la recita si confonde con la realtà, e noi non sappiamo più distinguere le due cose.

Il coraggio della verità non è semplicemente l’impegno di una ricerca intellettuale faticosa, è prima di tutto il coraggio di guardare a noi stessi con schiettezza, senza rifugiarci in fretta nell’accusa degli altri per giustificare le nostre mediocrità e i nostri sotterfugi. Non è possibile la veracità nei confronti degli altri senza questa preliminare opera di ricostruzione della nostra veracità interiore.

Il vero “uomo maggiorenne” è colui che non si affida all’opinione comune o alla semplice tradizione secolare come a una norma infallibile di verità, ma su tutto si interroga, ogni parola ascolta, nella ricerca attenta e appassionata d’ogni briciola di verità.

From Loiyangalani

Gabriele

IL VIAGGIO (parte prima)

Come vi avevo anticipato oggi inizieremo a raccontarvi con più dettagli il viaggio verso il Lago Turkana, descrivendovi alcune tappe importanti che abbiamo fatto.

Buon viaggio, buona lettura e buona visione!!!!

Siamo partiti all’ alba da Isiolo lasciandoci alle spalle una leggera frescura mattutina, dopo un’abbondante colazione, perché il prossimo pasto sarebbe stato chissà quando!

La macchina era completamente carica rimanevano solo i sedili vuoti, io ed Erunye eravamo incastrati tra file di tubi e sei pannelli solari (questo è ciò che comporta l’essere minuti), Simone alla guida con accanto suo cognato Tony e in mezzo Gabri e Tony.

 

Siamo andati parecchio spediti fino alla prima fermata Sereolippi (traduzione dalla lingua samburo: “il fiume sterile” – questo perché l’acqua è sotto di un metro rispetto al letto del fiume, per cui invisibile), ma durante il tragitto mi ha colpito il cambiamento di alcuni paesi che molto velocemente stanno subendo l’ondata del progresso, un paese in particolare Acher’s Post. La prima volta che mi recai in quel piccolo villaggio nel 2008 con Simone, per portare un desalinatore d’acqua, era un paesello composto da pochi negozietti e qualche capanna e fino al 2010 non era cambiato molto, oggi ai mie occhi si presenta con distributori di benzina, negozi in muratura, una moltitudine di persone e tanto cemento… è strano vedere la metamorfosi di un luogo e quello che può rappresentare e provocare lo sviluppo economico, non so se la rapidità è la soluzione migliore e cosa comporterà, se sarà positivo o negativo, comunque staremo a vedere!!!

Dopo circa un’ora e mezza di percorso siamo arrivati a Sereolippi e qui abbiamo bevuto un buon caffè nella Missione di Padre Pedenzini, che sfortunatamente non era presente ma che abbiamo poi rivisto al rientro dal lago. Durante la breve sosta siamo però riusciti ad assistere all’ uccisione di una gallina e alla cattura di alcuni pesci, nello specifico Tilapia. Anche questa Missione è isolata non esistono mezzi di comunicazione se non a piedi o in auto, per cui se hai qualche emergenza bisogna armarsi di pazienza e sperare di raggiungere al più presto un luogo dove c’è linea telefonica o trovare la prima auto disponibile a darti un passaggio, piuttosto che cercare risorse utili a tamponare anche la più semplice delle emergenze. Il viaggio fino a Sereolippi è molto piacevole qualche mese fa hanno terminato di asfaltare la strada per cui è scorrevole e da la possibilità di ammirare con tranquillità il paesaggio, che dalla savana passa a verdi montagne con picchi di rocce rosse che vorresti toccare con mano da quanto sono perfette.

Superata Sereolippi abbiamo abbandonato la strada asfaltata e ci siamo diretti verso Laisamis dove ci aspettava la visita all’ ospedale per verificare le condizioni della struttura e del personale. Penso che sia stato per me un momento di estrema impotenza, vedere i pazienti e parlare con giovani medici ed infermieri che si dedicano con passione e volontà al proprio mestiere, in condizioni davvero complicate, ti fa capire che la dedizione verso una passione a volte è più importante di qualsiasi mezzo, per cui ho pensato che se avessero i mezzi per lavorare, operare e visitare in maniera salutare potrebbero raggiungere uno straordinario risultato.

Appena arrivati il medico che ci ha accolto e la capo infermiera hanno accettato di farsi intervistare, dopo l’autorizzazione delle suore che quel giorno non erano presenti,  abbiamo proseguito con l’intervista e  la visita all’ interno della struttura, ci hanno mostrato il dispensario, la sala visite e le sale operatorie (i cui macchinari non sono attivi a causa della mancanza di elettricità), la sala parto che mi ha fatto riflettere parecchio e infine l’incontro con un paziente che qualche giorno prima era stato morso da un serpente; non dimenticherò mai la sua stretta di mano e il suo sguardo e penso che nemmeno gli altri riusciranno a cancellarlo, io sono uscita da quella stanza con un nodo alla gola e ho pregato in silenzio affinché quel ragazzo si riprendesse.

Durante l’intervista ci hanno raccontato le difficoltà che giornalmente devono affrontare e sentirsi dire che non hanno acqua, energia e mezzi di trasporto lascia un po’ di amarezza, perché sapere che esiste una struttura che potrebbe essere in grado di curare, assistere, soccorrere e anche salvare esseri umani non può essere lasciata in quelle condizioni, anche se la realtà è questa, ma hanno una grande fortuna perché come ho anticipato prima sono organizzati bene per i pochi mezzi a loro disposizione e ogni giorno hanno il coraggio di non mollare!

(n.b. l’intervista verrà pubblicata successivamente perché in fase di lavorazione).

Per oggi termina qui il nostro viaggio, spero che in qualche modo vi siano arrivate le nostre emozioni, grazie a tutti per il continuo sostegno sapere che ci siete rende forte la nostra voglia di continuare questo cammino!

 Buona notte un abbraccio

Lilly

RITORNO AL FUTURO…

Buonasera a tutti vi scrivo dalla ormai nota ROOM 21 di Malindi, siamo arrivati questa mattina alle 5.30 dopo un viaggio durato parecchi giorni e che ci ha prosciugato da ogni energia.

Abbiamo lasciato il magnifico Lago Turkana venerdì mattina e siamo arrivati nella fiorita Isiolo la sera, ci siamo riposati un giorno e ieri mattina alle 8.00 un Matatu ci ha portato a Nairobi e da lì la sera abbiamo preso un pullman con direzione Malindi, sono sconvolta ma lo rifarei perché la bellezza di quel luogo rende piacevole anche il più pesante dei viaggi.

Quando siamo arrivati al lago un incantevole tramonto ci ha accolto lasciando che i nostri occhi lo ammirassero. Anche l’accoglienza in Missione è stata molto generosa da parte di padre Andrew e degli altri membri, diciamo che per tutta la permanenza è stato un ottimo “padrone di casa”, comunque dopo aver cenato in maniera sublime abbiamo deciso di andare a fare un bagno “rinfrescante” nella piscina della missione, peccato che appena entrati ci siamo sciolti perché l’acqua arriva da una fonte termale per cui è bollente! Tutto è caldo aria, terra, cibo, acqua, corpi ma soprattutto i materassi!!!! Da quella sera è iniziato il progetto vi allego alcune immagini che finalmente daranno una forma agli articoli di Gabriele.

 Ogni giorno vi racconteremo una parte di questo viaggio e del progetto ricco di dettagli e nel contempo vedremo crescere insieme le piantine!

 Volevo inoltre informare i famigliari di Gabriele che ho parlato con lui poco fa e mi ha detto di stare tranquilli che si sente meglio.

Un abbraccio a tutti

Lilly