Ciao a tutti.
Scrivo questa pagina di diario, dopo qualche giorno di assenza.
Sono stati giorni impegnativi quest’ultimi.
Molte le cose che sono capitate, una partita di pallone nella parrocchia, il cavo per il progetto mai arrivato, due giorni di meeting per la pace pre-post elezioni, il viaggio a Moiti, la mia seconda caduta di salute.
Ieri mercoledì 21 novembre, non sono stato nuovamente bene, febbre a 38.0° e mal di testa forte, tutto ciò era già iniziato la notte passata, martedì 20 novembre.
Sentivo in me debolezza, pochissima energia, disidratazione completa e febbre alta.
Se ritorno con la mente a quella notte in cui sentivo freddo, mi viene da sorridere, perché qui le temperature non si abbassano mai al disotto dei 35 gradi circa.
Percepito dal mio corpo il forte calo di temperatura, ho pensato in quei pochi attimi di lucidità, che fuori ci fosse il diluvio universale, ma era il perenne vento che impetuoso soffia attraverso le numerose e secolari palme che circondano la camera dove alloggio.
Mi sentivo in quel momento come se fossi su una barca in mezzo ad una gran tempesta, dove ondate d’acqua mi sorvolavano la testa, l’imbarcazione completamente lasciata al suo destino e tutto era avvolto nel buio più profondo.
Il paracetamolo era chiuso nel cassetto di fianco al mio letto, con qualche sforzo sia fisico che mentale, l’avrei preso ma poi il pensiero di percorrere200 metriper giungere alla cucina, dove avrei potuto versarmi un bicchiere d’acqua per buttare giù la medicina, con il rischio di essere colpito da una freccia dalla punta che potrebbe uccidere tranquillamente un uomo, mi ha fatto passare tale pensiero.
Così, dopo aver rinunciato alla camminata notturna, ho cercato di trovare la posizione più comoda all’interno del letto, corto per la mia statura e col materasso bucato, per riprendere quanto più facilmente possibile un po’ di requiem.
Arriva il mattino di mercoledì 21 novembre, ore 5:00 e con esso la seconda giornata del meeting per la pace, organizzato da Fr. Oliver, irlandese ed il suo aiutante-volontario Paul, inglese.
Fr. Hubert, ovviamente non può non mancare a questi meeting o meglio in generale a qualsiasi news ed evento che capitano sulle sponde del lago Turkana, nonostante lui sia in carica a North Horr.
Così il suo forte “Good morning, habari aco ?” dal risvolto tedesco, risuona per tutta la guest house e cosi ha inizio la giornata per tutti quanti, tranne che per me, non mi muovo di un cm dal letto, nonostante tutta la mia volontà.
Troppo intensa è stata la mia nottata.
Solamente verso le 9:00, trovo le forze per andare in cucina a conquistarmi un bicchiere d’acqua e ingurgitare la pillola, dopo di che ritorno nuovamente a letto.
La vera Africa si paga.
Prima di mezzogiorno, dopo aver avvisato le suore, giungono a farmi visita, il loro arrivo viene anticipato dalle soavi parole “odi, odi” ed io “karibu, karibu”.
Racconto a loro il tutto, discutiamo sulle possibili cause, in primis si ripensa ad una ricaduta di malaria, nonostante abbia risposto in maniera positiva alle cure somministratemi in precedenza, in secondo luogo si pensa al viaggio a Moiti.
IL VIAGGIO A MOITI
Dopo alcuni giorni di preparativi per il trasporto del materiale a Moiti, si fissa la partenza per lunedì 19 novembre, dopo svariati rimandi e alcune problematiche superate.
Moiti è un piccolo villaggio di circa 500 persone a150 kmcirca a nord dello Loiyangalani.
Si decide, con l’accordo delle sisters, di portare in primis cibo, acqua e medicinali.
Il giorno prima abbiamo dovuto fare una modifica alla jeep toyota land cruiser 4200 cc, diesel, giallo panna.
Con un team di 10 persone, abbiamo tolto il tetto fisso in metallo, che copriva il dietro della jeep, troppo pesante per le nostre necessità.
Solo più tardi avrei potuto capire veramente cosa stavo facendo con quell’operazione, certo inizialmente ho pensato, abbiamo da portare molto cibo, molta acqua, due box di medicinali, il materiale per la costruzione della chiesa ossia sacchi di cemento, travi di ferro lunghe15 m, bacchette per saldare, utensili necessari per svolgere il lavoro etc. è chiaro che serve alleggerire quanto più possibile il mezzo e creare maggior spazio possibile.
Ma mai pensavo quello che avrei provato dopo nemmeno 24 ore.
Si fanno le 13:00 la jeep è carica e giunge l’ora del pranzo, mangiamo tutti insieme riso e tilapia, il tipico pesce del lago Turkana.
Chiedo a Jimmy con quante jeep andiamo, mi risponde con quella, indicandomela dalla finestra della cucina ed è proprio quella stracarica di merce, mà, tra me e me mi dico, certamente andremo con una seconda, forse non ha capito bene la mia domanda, proseguo a mangiare tranquillo.
Caesar, il diacono ugandese che dimora qui allo Loiyangalani insieme a Fr. Andrew, è alla guida, mama con figlio e l’infermiera Gabriela nella cabina di pilotaggio, ottimo pensai i posti in cabina sono finiti !
Domando allora a Jimmy: “Where we stay ?”, “Here”, che gran sorriso che feci, mi stava indicando il retro della jeep, dove oramai i posti stavano scarseggiando, ragazzi mai visti prima d’ora si erano già accomodati sul roll-bar interno della jeep, sistemati alla belle e meglio, non mi restava che arrampicarmi e trovarmi un posto, tra il poco spazio che rimaneva.
Sotto di noi, avevamo sacchi di farina americani, verdure, frutta, zaini con qualche vestito, tra cui il mio, contenitori d’acqua, fili metallici, una mama ed un ragazzino seduti sopra.
Il mio posto di viaggio era in prima fila, in piedi, vicino alla presa d’aria, queste jeep l’hanno alta in caso di off-road, circondato da un quadrato di tubo nero grosso, circa 50*50 cm, questo era il mio spazio vitale per il viaggio.
Caesar accende il motore, Pita non smette un secondo di parlare, forte e contagiosa è la sua risata, Jimmy appena può si siede tra le varie scatole, mi piacerebbe farlo ma non posso.
Non lasciamo neppure il perimetro della città Loiyangalani, che una prima bufera di polvere mista a sabbia, ci mette ko tutti quanti per qualche minuto.
Ci manca poco che il mio cappellino, unica difesa contro il sole equatoriale delle 15:00, mi vola via, dannazione e cosi anche i miei occhiali da vista, è un lusso che non posso permettermi.
Così mi barcameno tra il trovare una sorta di equilibrio-stabilità per la mia sopravvivenza senza essere sbalzato fuori ad ogni buca che inevitabilmente si prende e con una mano bloccare gli occhiali ed il cappellino.
Si percorrono i primi20 kmin circa 1 ora, subito mi rendo conto della difficoltà del viaggio, è stressante, duro, intenso, è una gran palestra per i miei nervi, continui sono gli sbalzi, continue le botte che prendo lungo i fianchi ed il sedere, il giorno dopo non riuscirò a sedermi e avrò lividi neri sparsi per il corpo, forte deve essere la presa sul tubolare, si formeranno vesciche sui palmi delle mani, forte è la disidratazione, la bocca diventa secca, durante le soste tutti quanti beviamo acqua e alcune sode che ho comprato dalla mama in town, il colore delle mie braccia cambia così il volto, forte è il sole che batte incessante sulle nostre teste, per un attimo ho avuto una sorta di mancamento, in quel momento Pita mi chiama ed urla, “What happens ?”, i reply “ It’s allright Pita, and smile again”. We carry on the travel.
Una volta ho pensato di volare giù dalla jeep, dopo un tratto veloce, sui circa 50-60 km/h, verso l’ora del tramonto, Caesar si accorge negli ultimi istanti di un dislivello di circa40 cm, lungo la via, cosi non gli resta altro che frenare bruscamente, talmente forte è la frenata che il mio corpo si accartoccia lungo il tubolare formando una C, nonostante la mia presa con le mani fosse ben salda sul tubo, non è servita a molto. In quel momento ho pensato che quello era stato il peggio e se non fossi volato giù in quell’occasione, avevo buone probabilità di arrivare a Moiti indenne.
Il viaggio è durato 4 ore per coprire150 km, sempre in piedi con tutti gli elementi della natura in quel momento a noi ostili.
Mi vengono in mente ora, i primi colpi di clacson strombazzati, perché suonare in mezzo al deserto mi domandai?
Poi dopo 5 minuti ho capito, alberi di acacia, disseminati qua e là lungo il bordo del sentiero, dove visibile, possono trafiggerti la carne con le loro spine di 3-4 cm, producendo un male ed un bruciore molto forti, se colpiti a forte velocità.
Così oltre a tutto il resto si doveva a volte fare i contorsionisti per evitare queste gran belle sorprese.
E’ stato un viaggio unico e molto intenso mai l’avrei immaginato.
Alle ore 19:00 arriviamo a Moite, il villaggio non è visibile per via del buio profondo, riesco a scorgere con la luce della torcia solamente una piazza con attorno delle costruzioni in muratura, si rivelerà essere la casa del padre e degli ospiti e più sotto, volte verso la sponda del lago intravedo le magnatta, le case capanna dei locali.
Siamo circondati da molti bambini incuriositi, mamme e ragazzi, quasi nessun uomo adulto e anziano.
In primis, mi disseto e offro qualche soda, quelle poche rimaste.
Mi sento fin da subito osservato soprattutto dai bimbi e ragazzini, non è cosi comune vedere un bianco in quelle parti e soprattutto che viaggia in modalità 100% africana.
Cerco un angolo e mi siedo, cercando di riprendere quel poco di forze sparse chissà in quale angolo del corpo, dopo 5 minuti, aiuto a scaricare tutto il materiale.
Ore 19:30, siamo pronti per il ritorno a Loiyangalani, mi informo se c’è un posto in cabina questo giro, Jimmy che guiderà la jeep, mi dà la risposta tanto attesa e desiderata.
Non potevo immaginare, quanto sia bello viaggiare, comodamente seduti su un sedile, mi sentivo come un re.
Al mio fianco c’è Sanita, un ragazzo della parish Loiyangalani, un gallo dai colori sgargianti, che potevo vedere solo illuminandolo col display del cellulare, verdone, blu e rosso, regalato a Caesar come simbolo di benvenuto ed accoglienza e poi Jimmy alla guida. Sul retro penso che abbiamo caricato circa 20 ragazzi, tra maschi e femmine, chi seduto, chi in piedi, chi a cavalcioni sul tubolare.
Altre 4 ore di viaggio ci attendono per il ritorno.
Subito, mi accorgo che qualcosa ai miei occhi non va, li sento bruciare e mi danno fastidio, solo più tardi verso le 24:00, una volta giunti a casa e specchiatomi li vedrò rossi.
A volte ci fermiamo, su indicazione di qualcuno nel retro per aspettare qualche amico o parente che si unisce verso la town, a volte arrivano a volte l’attesa si rivela vana e si prosegue.
Sanita si addormenta sulla mia spalla, Jimmy lo avverto è stanco, a volte sbaglia strada ed io sono stanco, esausto, dolorante.
Arriviamo sani e salvi intorno alle 23:30, il mio pensiero è quello di darmi una sciacquata e mangiare qualcosa di dolce , per riprendere un minimo di energia.
Noto, con gioia che la luce della cucina è accesa, buon segnale.
Fr. Andrew ci attende sdraiato sull’amaca, ci chiede qualche notizia e poi tutti quanti ci ritroviamo a mangiare, un piatto di riso con della carne, ugali un tipo di polenta e bere molta acqua.
Verso le 24:00 ci salutiamo tutti e ci scambiamo la buonanotte, lala salama.
Sento un fisiologico bisogno di farmi una doccia, sia per lavarmi sia per rinfrescarmi da questo lungo viaggio.
Asciugatomi, spengo la candela e sprofondo nel materasso in uno stato tra il cosciente ed il non cosciente.
Mi sveglio alle 7:00, distrutto, ossa e muscoli doloranti mi dirigo in cucina, la jeep non c’è più.
Jimmy è già ripartito per portare su altro materiale, sveglia ore 5:00.
Primo giorno del meeting per la pace, martedì 20 novembre.
Gabriele from Loiyangalani
…”con il rischio di essere colpito da una freccia dalla punta …”
ripeto la domanda di Pita: What happens?.-
Le soavi sisters cosa ti dicono con : odi odi, e tu cosa rispondi? Good morning Lele
giannina 🙂
Ciao lele ,io sono Gianluca l’amico di tuo papa’ Damiano (meccanico moto di sesto) fantastico tutto quello che state facendo complimenti ,stete trasmettendo alla perfezione le immagini ,i sentimenti ,le vibrazioni di una realta’ a noi quasi sconosciuta e ammetto tristemente e volutamente dimenticata .MA GRAZIE a persone come voi questa realta viene risvegliata e animata da i pensieri che prendono forma dopo aver letto i vostri racconti.
Una stretta forte e un saluto da tutti .Ciao
MESSAGGIO DAI NONNI
Ciao Lele ! È da un pó che non ti sento personalmente ma leggo di frequente il tuo blog…la nonna Giannina spesso chiedeva informazione su di te e perció le ho consigliato di scrivereti un messaggio che poi ti avrei fatto avere…te lo riporto qui di seguito :
Ciao Gabriele caro,ti penso ogni giorno e ti ringrazio per tutto il bene che fai.
Vedi come è diverso il mondo :chi ha troppo e chi nulla e per stare bene bisognerebbe aiutarsi l’un l’altro come state facendo voi volontari.Siete bravi e coraggiosi e il Signore sarà sempre con voi, non vi abbandonerà mai.
Mi piace il modo che hai di scrivere,perchè ci racconti un pó di tutto :ci fai sapere i progressi delle piantagioni e i lavori che richiedono;ci parli della natura così aspra;ci fai conoscere il cielo infinito bellissimo!…le tue lettere vanno a ruba tra i parenti,conoscenti e amici.
Ricordati di essere sempre molto prudente e pronto in ogni occasione.Prego sempre per te,i tuoi amici,i missionari,le suore bravissime che ti hanno guarito…e per i cari ragazzi che avvicini e dai a loro il tuo aiuto.
Io sto un po’ meglio e con tutti i miei cari aspetto tante belle lettere dal Kenya !
Un abbraccio nonna Giannina
24 novembre 2012-sabato-
Anche il nonno Vittorio teneva a comunicarti la sua vicinanza …ti riporto le sue parole :
Carissimo Gabriele,
Sono orgoglioso per la tua scelta di partire per il Kenya e lì dare una mano con gioia,entusiasmo,in barba ai pericoli,ai malanni e al caldo torrido che rende il respiro affannoso.
Ma sentiamo anche la tua gioia grande di faticare per chi realmente ha bisogno.
Noi con preghiera costante ti raccomandiamo a Dio e a tutti i santi.
Con grande affetto tuo nonno Vittorio
Lele i nonni sarebbero molto felici di una tua risposta !
Ciao dacci tue notizie
Umby
ciao Gabriele, ti auguro di cuore di rimetterti presto. L’Africa è dura ma penso che quello che ti porterai dentro per tutto il resto della tua vita ti ripaghera’ x tutti questi sacrifici. Un grande abbraccio. Lolli la sorella di Lilli 🙂