Scrivo questo articolo, per la prima volta dalla mia presenza qui allo Loiyangalani, fuori dalla missione della Consolata.
Questo è un dettaglio che volontariamente voglio sottolineare, dal punto di vista simbolico.
Fino ad ora ho sempre scritto cose positive inerenti: la mia vita vissuta qui allo Loiyangalani, in mezzo a questa popolazione mista di Turkana, Samburu, Rendille, El molo o che riguardavano l’impegnativo progetto di coltivare i pomodori in questa terra ricca di sole, vento e pietre oppure ancora sulla motivazione che mi ha spinto a raggiungere un luogo cosi ostile alla vita per seminare un po’ di bene ed un po’ di benessere.
Ma la cosa che mi è successa martedì 22 gennaio 2013 non doveva succedere.
Come tutte le mattine, mi alzo alla luce dell’alba che penetra dalle finestrelle della mia cameretta, che chiameremo guest house, intorno alle 6:30, dopo qualche minuto per riprendermi dalla scomodità del letto, causa alcune doghe rotte e districatomi dalla zanzariera, mi dirigo a darmi una bella rinfrescata.
Raggiunta, successivamente la cucina, dopo aver salutato Joseph, il cuoco e Scolastica, l’aiutante, faccio colazione.
Solitamente poi, vado a controllare e sistemare il progetto, per recarmi verso le 10:00 in dispensario per dare nel mio piccolo assistenza a sister Agnese e a Mourithi, il giovane, temprato e bravo infermiere keniota.
Quel mattino, c’erano due gravi casi di malnutrizione infantile, un bimbo di 3 settimane, dal corpo così piccolo ma dai lineamenti del viso così dissonanti da tutto il resto, che non poteva non suscitare in me ed in quanti lo vedono, un forte impatto visivo misto ad una forte impressione emotiva.
Alcune istantanee riflessioni sul grande mistero della vita e delle atroci e spietate leggi che regolano questo mondo, mi riempiono la testa.
Un altro bimbo più grandicello giaceva in grembo alla madre, lì accanto, ragionevolmente in apprensione.
Il bimbo dagli occhi rivolti al cielo, con la bocca mezza aperta tra il ronzio di queste così fastidiose mosche, era a combattere tra la vita e la morte.
I suoi occhi neri cosi strani, quasi ad indicare l’assenza da questo mondo, velati da un nonsochè di morte, ci davano la sensazione che forse da un momento all’altro ci poteva lasciare, rendendoci partecipi del suo ultimo spiro.
Tutti quanti eravamo stretti a queste quattro creature, alle due mamme con i rispettivi figli, quasi a formare, inconsciamente, con i nostri corpi un muro difensivo contro il male.
Tutto ciò che clinicamente si poteva fare, l’abbiamo fatto, la somministrazione di medicine, integrata dalla flebo contenente la soluzione nutritiva per ridare un po’ di energie a questi deboli corpi così duramente provati.
Infine si è cercato di dare la maggior comodità possibile alle madri, stendendo a terra le mcheche, le stuoie di palma.
Ad un tratto sento chiamare ad alta voce il mio nome, vedo con la coda dell’occhio Augostine, il ragazzo che ha portato, diligentemente e con buoni risultati, avanti il progetto idroponica, avvicinarsi a me, dicendo che mi vuole parlare.
Gentilmente gli chiedo di aspettare un momento, perché sto aiutando a curare le due giovani creature.
“Eccomi, dimmi tutto, sono qui !”, cosi mi rivolgo a lui, dopo poco.
Lui mi risponde che c’è una ragazza Karija, musulmana, che desidera parlarmi, ok no problem dico io.
Domando dove sia e lui mi dice che sta aspettando nella guest house.
“Augostine” gli dico, perché lì, se vuole parlarmi può benissimo farlo al gate, come oramai tutti quanti fanno.
Lui sorvola farfugliando qualcosa e cosi faccio anch’io, dato il rapporto instaurato in questi mesi, di reciproco aiuto e rispetto.
Va bene, andiamo a parlarci e vediamo un po’ cosa vuole.
Una volta raggiunta la guest house, solo ora col senno del poi, dico che ho trovato la situazione strana, impalpabile non chiara, dettata in primis dal comportamento di lei troppo silenziosa, un certo sesto senso non del tutto compreso mi ha fatto suonare un campanellino d’allarme.
La faccio, cortesemente accomodare sulla mia sedia, ed io mi accomodo per terra, porgendo la seconda sedia ad Augostine, che rifiuta con una risposta spiazzante, fuori luogo, mi dice che deve andare nel bush, nel boschetto lì accanto, a fare un qualcosa di imprecisato, allorché rispondo a lui “che vai a fare che siamo qui tutti e tre insieme, soprattutto io sono con questa ragazza che neppure conosco”, ma lui si incammina.
La mia attenzione torna su di lei, le domando perché voleva vedermi e cosa vuole da me.
“Voglio che tu diventi il mio sponsor, che mi paghi le cose di scuola”.
Dopo aver riflettuto un’attimo, le rispondo che non posso, perché ho già speso molti miei privati soldi per il progetto agricolo, indicandoglielo con il dito e che non posso sostenere una spesa simile ora come ora, mi dispiace.
Finita la conversazione, tutta racchiusa nella frase soprastante, la invito, educatamente, ad andare fuori dalla missione, dato il mio impegno con sister Agostinella, ad incontrarci nella cucina, per bere un fresco bicchiere d’acqua, tanto desiderato.
Cosi entrambi chi prima, lei, e chi dopo, io, prendiamo strade diverse, dopo averla salutata.
Mi incontro con sister Agostinella e dentro di me avevo un qualcosa da raccontarle, mi confido con lei riguardo a questa vicenda, più che altro per la pretesa che questa ragazzina di 15 anni, mi ha fatto, cercando in me denaro, in quanto uomo BIANCO e per la mia personale curiosità di capire cosa significhi essere sponsor per un NERO.
Senza troppo peso e dopo esserci dissetati e ristorati un momento, riprendiamo le nostre faccende.
La sister, in qualità di direttrice, ritorna nella nursery school, equiparabile alla nostra scuola dell’infanzia, dai 3 ai 5 anni ed io al mio progetto ed al mio bucato che mi attende.
La sera prima, lunedì 21, è arrivato un bel gruppo di 20 giovani, tutti locali della Caritas di Maralal, per passare 4 giorni di relax nella parrocchia dello Loiyangalani.
Giunge sera, dopo cena, mi unisco a loro nella piscina per trascorrere un po’ di tempo insieme al fresco, tra una chiacchera e l’altra.
Verso le 21:00 circa, Nawapa, il watchman notturno, accompagnato da due ragazzi in borghese, mi chiama in disparte, nell’angolo più solitario della piscina per parlarmi.
Lo raggiungo e i due uomini, mi invitano ad uscire per parlare di una certa ragazza.
Chiedo a loro di identificarsi, prima.
Due ufficiali della polizia della piccola stazione dello Loiyangalani.
Vero no, vero si, inizio a parlare con loro, inizialmente dalla piscina, basito per quest’incontro e per le prime parole che sento.
Nella mia mente, affiora in un flashback di pochi centesimi di secondo, ma che col passare dei minuti prenderà sempre più spazio, il racconto di una grave disavventura giuridica nonché burocratica di arresto accaduta ad un amico di Carlo, narratami da lui stesso a Malindi.
Vedendo che la cosa non si risolve velocemente e captando parole del tipo: ragazza, prigione, Marsabit, giudice, presto esco dalla piscina, assai preoccupato ed arrabbiato ed in quattro e quattrotto, mi levo il costume per vestirmi, pronto per affrontare questa sfida che la vita mi ha messo di fronte.
In me inizia la quadratura del cerchio del brutto scherzo tirato da Augostine e dalla ragazza.
Vedo Caesar, il seminarista ugandese, lo chiamo a me, mettendolo a conoscenza su chi siano questi uomini e con un fulminante riassunto, sull’episodio di questa ragazza, Karija.
Nawapa, si stacca dal gruppo per tornare al suo lavoro di guardiano e come quella sera per aiutare Akai, il collega, alle prese con l’ennesima riparazione del pick up del padre.
Chiedo di Fr. Andrew, il quale è di ritorno alla missione, dopo una breve uscita in città.
Dopo circa 30 minuti, ci accomodiamo, tutti quanti, nell’ufficio di padre Andrew per capire e comprendere, per me, l’inconprensibile, dettato dalla menzogna.
Per primo sono io che prendo parola perché voglio raccontare la storia di me, Augostine e di questa ragazza.
Con toni forti, decisi, senza dare spazio a nessun dubbio od interpretazione, descrivo quegli attimi, dettaglio per dettaglio, dal dispensario al congedo da colei.
Caesar e Fr. Andrew, attentamente ascoltano il tutto, i poliziotti sembrano disinteressati, quasi scocciati a stare seduti ad ascoltare le mie parole.
Si alternano momenti di kiswaili ed inglese, Caesar anche su mio invito, chiede gentilmente di parlare ai poliziotti in inglese, ma questi rifiutano con mio stupore, noto che Caesar non insiste ed io, gli butto un’occhiata come per dire non è possibile, non è giusto.
Se qualcuno fosse entrato in quel momento da quella porta di quel piccolo, afoso e sperduto ufficio nel nord del Kenya, sarebbe stato completamente pervaso da un’aria di estrema tensione, concentrazione, attenzione, di caldo avvilente, tra fronti sudate e fazzoletti pregni di passata stanchezza, illuminato dal debole chiarore di una nuda lampadina attaccata ad un filo.
Esattamente questo era quello che provavo, il mio destino era attaccato ad un filo di speranza, potevo finire in prigione a Marsabit la notte stessa, per un reato mai fatto, aprendo poi un contenzioso che chissà quanto tempo avrebbe richiesto per concludersi oppure finire il tutto in pochi giorni, chiaramente pagando chissà chi, chissà quanto, chissà dove.
Nella mia mente balenavano forti pensieri e forti sentimenti pulsavano nel mio cuore.
Ora, è il turno dei poliziotti, che riportano la versione dei fatti, secondo la ragazza.
Il più giovane dei due, prende parola.
Lo ascolto attentamente, per quel poco, che posso comprendere il kiswaili.
Caesar, finito il racconto, mi traduce quanto detto.
Questi i fatti secondo la ragazza:
dopo esser giunta nella guest house, è stata presa di forza e portata in camera, per poi riuscire a liberarsi e scappare.
Ora tutti i pezzi del puzzle mi sono chiari, come acqua cristallina sotto il sole di mezzogiorno.
Augostine e la ragazza, hanno organizzato, pianificando e attuando un complotto, contro la mia persona, per estorcermi, chiaramente, denaro.
Immediata la mia reazione di telefonare Augostine, proprio lui, a cui ho affidato il progetto, a cui ho affidato la mia fiducia fino ad ora rispettata, a cui ho donato una giusta ricompensa per il lavoro svolto, proprio lui a cui ho teso la mia mano per aiutarlo non solo economicamente ma anche con sentiti e veri suggerimenti, proprio lui mi ha tradito.
Anche il padre e Caesar, provano a contattarlo ma non c’è nulla da fare, il telefono risulta spento.
Che gran dolore che ho provato in quel momento, tante le riflessioni fatte e scalfita violentemente è la mia motivazione.
Caesar con maestria sembra addomesticare come si fa con i cani i due poliziotti che divengano mansueti e sembra anche più ragionevoli.
Caesar vuole andare a parlare con la famiglia della ragazza, scortato dai due poliziotti, chiedo se è bene la mia presenza, non tanto per parlare ma per guardare in faccia coloro sui quali la menzogna giace sulla loro lingua.
Partono senza di me, dopo che Caesar, prendendomi in disparte, mi rassicura dicendo che le cose sembrano andare per il verso giusto, sembra anche essere esclusa la presenza di recarsi davanti ad un tribunale per essere giudicato di un crimine mai commesso.
Tutto ciò è pazzesco.
Sono oramai circa le 22:00, l’appetito ha preso un’altra strada, sorseggio giusto un té caldo, circondato da Scolastica e Joseph, a cui racconto l’assurda vicenda.
Mi reco successivamente dalle sisters per metterle al corrente del bruttissimo scherzo tirato da Augostine, troppo grande per me, non doveva farlo.
Parlo con loro qualche minuto, sbirciando sempre dalla porta semiaperta, per vedere se giungono le luci del pick up di Caesar, portando con sé la tanto attesa notizia sul da farsi.
Dopo poco, mi congedo, sperando che tutto si possa risolvere nel più breve tempo possibile e in maniera positiva.
Ritorno a sedermi sulla panchetta di legno, sotto il porticciolo della missione, dove Joseph e Scola, mi domandano novità in merito, ma ancora nulla, tutto tace, pure il vento ha smesso di soffiare questa notte, rendendo ogni cosa ferma, immobile, in palpitante attesa.
Si sente, intorno le 23, l’inconfondibile rumore dell’apertura del gate, è Caesar che giunge a bordo del pick up.
Ci incontriamo a metà strada, noto il suo viso stanco ed esausto, illuminato dal chiarore della luna piena di quella notte, attendo che spontaneamente proferisce qualche parola, due visi e due corpi sofferenti uno dinanzi all’altro.
Racconta che sono stati momenti difficili, una volta giunto nella famiglia, la quale aveva messo in scena una pseudoassemblea formata da tutti i membri, pronti a scagliare insulti e a puntare il dito contro me, contro lui, contro la missione.
L’irrazionalità e la cieca ingordigia plasmava la mente di costoro, interessati ad un’unica cosa.
Ma tutto, seppur aveva richiesto molto tempo, era andato per il verso giusto, dopo aver pagato una piccola somma alla famiglia ed ai due poliziotti.
Potevo nuovamente, oramai a notte inoltrata, respirare a pieni polmoni il profumo della libertà e della forza della verità.
Seppur risollevato di morale non ero felice, in cuor mio risuonavano come forti squilli di tromba, una matassa intricata di sentimenti di rabbia, di forte dolore, di forte amarezza e pungente delusione come una grande onda in aperto oceano che si abbatte con tutta la sua forza, schiacciandoti in basso, nelle sue gelide acque.
Esausto mi reco a letto, pensando che fosse stato solamente un brutto sogno, trovo giusto ancora qualche energia per soffiare sulla debole fiamma della candela per poi cadere nel sonno più profondo.
Sento bussare alla mia porta, controllo l’orologio è mezzanotte passata, penso chi possa essere a quest’ora, trovo le forze di aprire gli occhi, alzarmi e aprire la porta, mi si presentano davanti agli occhi, suor Agnese, Agostinella e Lucimar con l’immancabile lanternina che rischiara il loro candido abito bianco.
Quanto ho apprezzato questo loro gesto di sentita vicinanza ed affetto nei miei confronti.
Vistosamente stanco, racconto a loro, lo scampato pericolo da questo complotto, per poi l’indomani descrivere i dettagli, sono troppo stanco, ripiombo nel letto.
Mercoledì 23 gennaio
Mi sveglio, un nuovo giorno ha inizio, incorniciato dal sonoro canto dei galli e dai caldi raggi del sol levante che tingono di calde tonalità le frasche delle palme più alte che circondano questa oasi.
Mi sciacquo la faccia con abbondante acqua ma niente da fare non mi sento bene, sono ancora scosso da quanto è accaduto il giorno precedente, soprattutto per la delusione provata.
Verso le 9:00 mi reco al quotidiano appuntamento del progetto, ma passo prima nello store dove ho riposto tutta l’attrezzatura necessaria per la manutenzione per prendere cacciavite, pinza e forbice.
Con mia grande sorpresa, non li trovo nel solito posto, cerco altrove, sopra, sotto a destra e a manca, ma niente non ci sono più.
Solo una persona conosce l’esatto posto dove li metto, una volta usati.
Un senso di profonda tristezza e di delusione umana mi colpisce in quel momento.
MADRE TERESA DI CALCUTTA
Dai il meglio di te
L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico
NON IMPORTA, AMALO
Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici
NON IMPORTA, FA’ IL BENE
Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici
NON IMPORTA, REALIZZALI
Il bene che fai verrà domani dimenticato
NON IMPORTA, FA’ IL BENE
L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile
NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO
Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo
NON IMPORTA, COSTRUISCI
Se aiuti la gente, se ne risentirà
NON IMPORTA, AIUTALA
Da’ al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci
NON IMPORTA, DA’ IL MEGLIO DI TE
Gabriele from Loiyangalani
Gabriele caro,
anche questo ti doveva capitare…anche se eri stato messo in guardia sulle difficoltà di vario genere che avresti potuto incontrare la delusione e il dolore
sono ugualmente grandi ! Forza e coraggio “sursum corda”
Con affetto 🙂 mamma
un abbraccio alla comunità tutta
Caro Lele,
sono davvero costernato per quanto accaduto. Mai avrei pensato potesse succedere una cosa del genere a un ragazzo come te, che stai dedicando la tua VITA ad aiutare la gente meno fortunata. Purtroppo il mondo nasconde queste brutte sorprese. Sei forte e saprai rialzarti ancora come in passato.
Un abbraccio
Simone
Si è comportato in modo abietto, e per quanto, come dici, certe cose non debbano succedere, succedono lo stesso che tu lo voglia o meno. E lo devi accettare, perché è una cosa che non puoi cambiare. Se vuoi riprenderti in fretta da questo tradimento forse la cosa migliore è che tu te ne faccia una ragione. Dopotutto, da quanto ho capito del rapporto che si era creato, forse è proprio la persona che avrebbe avuto più vantaggi dall’approfittare di te, quindi, se rifletti con calma, questo ti renderà più smaliziato in futuro. Coraggio, cerca di tornare sereno e torna a concentrarti sui motivi principali per i quali sei partito. Stai tranquillo, un abbraccio.
Ilario
Caro Gabriele ho letto con crescente apprensione l’accaduto. Immagino il tuo dolore e dispiacere per tutto ciò. Coraggio aggrappati alle persone che ti sono più vicine: suor Teresa, Agostinella, Lucimar e padre Andrew. Tra le tante frasi dette da Madre Teresa c’è anche questa:
Il giorno più bello? Oggi
L’ostacolo più grande? La paura
La cosa più facile? Sbagliarsi
L’errore più grande Rinunciare
La radice di tutti i mali? L’egoismo
La distrazione migliore? Il lavoro
La sconfitta peggiore? Lo scoraggiamento
I migliori professionisti? I bambini
Il primo bisogno? Comunicare
La felicità più grande? Essere utili agli altri
Il mistero più grande? La morte
Il difetto peggiore? Il malumore
La persona più pericolosa? Quella che mente
Il sentimento più brutto? Il rancore
Il regalo più bello? Il perdono
Quello indispensabile? La famiglia
La rotta migliore? La via giusta
La sensazione più piacevole? La pace interiore
L’accoglienza migliore? Il sorriso
La miglior medicina? L’ottimismo
La soddisfazione più grande? Il dovere compiuto
La forza più grande? La fede
La cosa più bella del mondo? L’amore.
Madre Teresa di Calcutta
Ti sono vicna un abbraccio forte zia Mary
da PensieriParole
Lele chan forza!
Caro Gabriele, so che adesso ti senti tradito, raggirato e che provi una gran frustazione per quello che è successo!! Anche a far del bene, a volte, si ottiene il contrario di quello che si vorrebbe, ma hai vicino delle brave e care persone che ti aiuteranno a superare anche questa chiamiamola disavventura.
Un abbraccio affettuoso Elda
Mio caro Gabriele
è solo l’Amore vero che convince le persone. Come Gesù, uno deve andare fino in fondo. La potenza di Dio supera anche il tradimento. Gesù chiama amico anche Giuda e gli offre un’altra possibilità. Nel Vangelo dice che alla Verità viene resa testimonianza dalla sue opere. Tu agisci nel giusto ed il bene trionfa sempre sul male. Li aiuti di più mostrando una vera umanità che non dando loro da mangiare. Hai anche questa possibilità e te la sei giocata bene. Diciamo Grazie al Signore e all’educazione che hai avuto dalla tua famiglia. Con affetto e ti affido nella preghiera al Signore potente perchè Risorto, don maurilio.
Caro Gabriele, apprendo con rammarico della tua ultima “prova”. La vita riseva di questa sorprese. Il tradimento di una persona in cui abbiamo riposta la nostra fiducia, sicuramente è un’esperienza molto dolorosa. Ti sono vicino e sono certo che troverai la forza per superare anche questi momenti difficili. Non scoraggiarti, il successo del tuo progetto sarà la prova tangibile del tuo impegno e ti ripagherà della delusione che ora stai vivendo.
Coraggio, un abbaccio caloroso. Pietro
Piccolo o grande che sia, il tradimento è sempre dolorosissimo ed ingiusto…ma ho sempre creduto che il perdono fosse la miglior medicina per guarire questo dolore profondo! Perdonare non significa certo far si che tutto torni come prima come se nulla fosse, perdonare vuol dire farsene una ragione, voltare pagina e continuare a camminare a testa alta!
Sono sicura che ci riuscirai!!!
Un abbraccio!
Mary