Eccomi qua, dopo tanto tempo circa 6 mesi dal mio ritorno in Italia, torno a scrivere nuovamente su questa bianca pagina, dal lontano, oramai, sapore africano: un cocktail di deserti, savana, di sabbie gialle, arancioni, argentee e di larghe acacie verdi, dalle quali i lunghi e maculati colli delle giraffe, approdano, cibandosene, di spumeggianti e fresche onde malindine, di viaggi massacranti fisicamente e mentalmente, di animali autoctoni a volte nocivi (scorpioni, scalopendre, zanzare femmine portatrici di malaria) a volte mortali (vipera del lago Turkana, chiamata “inter nos”, ossia tra i locali, “pafadula”), di terre rosse e fertili e di aride rocce vulcaniche, del mastodontico traffico di Nairobi al surreale silenzio del mare di giada.
Pagine, inizialmente, di un semplice diario di bordo ma divenuto nel tempo, un sentito diario di famiglia, in cui annotavo paesaggi, incontri di persone, sia civili che tribali, tête-à-tête con selvaggi animali, dalle spaventose iene alle maestose e straordinarie chiazzate giraffe dai colli lunghi, alle elefantesse con al seguito i loro cuccioli, ai notturni leopardi mentre si cibavano di qualche animale, lungo il ciglio del sentiero sterrato nell’immenso parco naturale dei Samburu, i quali si dispersero all’arrivo dei luminosi fari del nostro toyota land cruiser, sotto un’incessante e gelida pioggia africana, fango mista a gelida acqua, finestrini appannati dal nostro turbato respiro, velati dal continuo rigagnolo d’acqua e nel mentre ritmi kenioti si diffondevano ad altissimo volume all’interno dell’abitacolo.
Dietro di noi, sotto la violenta intemperia le valigie legate saldamente con cordame di canapa dalla sapiente abilità nera.
Inizialmente preoccupato per esse, costituivano tutto ciò che possedevo, finii a preoccuparmi, solamente per me stesso.
Più volte finimmo in testacoda per l’assenza di attrito tra battistrada e superficie, un vero e proprio effetto aquaplaning, con secondi di panico, finimmo parimenti fuori strada, sbattendo l’alto muso del pick up, senza danni vitali per il potente 4.200 cc, nel burrone rasente il sentiero.
Sentiero cosi tante volte tramutato, nel corso del VIAGGIO.
Un iniziale via, voluta e fatta da noi, per risalire i ripidi pendii dell’indescrivibile lago Turkana, altrimenti detto “mare di giada”, per le sue innumerevoli tonalità di cui si colora, nelle diverse ore del giorno.
Un percorso difficile tra pietre, sassi, rocce vulcaniche, massi di tutte le dimensioni pensabili, per poi dopo svariati km, passare al cambiamento, terre rosse, terre feconde, cariche di vita. Clima mite e terreno prospero portano ad alberi da frutto, perlopiù gustosissimi manghi ed ortaggi, insalate, carote, patate, insomma un piccolo Eden nelle calde e rosse terre appartenenti alla tribù dei Samburu, di cui South Horr ne è l’unico agglomerato civile, dove la vita ruota intorno alla missione cattolica della Consolata, gestita da un prete locale e 3 sisters, tra cui la giovane e brillante, sr. Milly.
Lasciata alle spalle S.H. continuiamo il viaggio tra passaggi molto difficili, guadando fiumi fortunatamente non in piena, cosa successa una sola volta, in cui dovemmo aspettare che il livello dell’acqua scendesse e la furia delle acque si placasse.
Si giunge a Maralal, fermata d’obbligo per coloro che arrivano da così lontano.
Qui, father Thomas “Masino” Barbero, dà una caldissima accoglienza all’italiana, con un bel e tanto desiderato piatto di cibo caldo e se rimasto, un buon bicchiere di barbera rosso, accompagnato da frutta sognata per intere settimane, banane, manghi, arance, limoni, avocadi.
Tutte fibre vegetali, minerali, vitamine che al lago mancavano e, della loro assenza fisiologicamente, se ne avvertiva.
E non per ultimo in ordine d’importanza, ultimata la cena, poter sprofondare su un letto dalle fresche, pulite e profumate lenzuola dove, dopo pochi minuti, si può scaricare tutta la fatica e la tensione del difficile viaggio, abbandonandosi nelle braccia di Morfeo.
Gran bei momenti trascorsi con padre Masino, li ricordo come se fosse ieri, a parlare del + e del -, insieme, sotto la maestosa e fresca volta celeste africana, tempestata di miriadi di stelle, le quali, tutte quante all’unisono, porgevano il loro splendore alla tonda e chiara luna, che a sua volta, ogni notte, spandeva il suo caldo e morbido chiarore, sui nostri volti.
Gabriele