Lo spezzatino vegano, quello reducetariano e l’acqua che si mangia (seconda parte)

stufato di sanato piemonteseL’aspetto dello spezzatino di seitan era davvero invitante, e il profumo carico di promesse gustative. Arpionavo una patata con la forchetta e ci scarpettavo un po’ di sugo a guisa di preliminare. Ottimo, sapido e stuzzicante. Senza ulteriori indugi puntavo allora un bocconcino, e lo addentavo.

Il primo impatto sulla lingua, mediato dal manto di sugo che subito si diffuse all’interno della bocca, fu piacevole, ma la successiva sensazione di aver ingollato un pezzo di caucciù mi colse impreparato. Preso dal panico lavoravo di mascella e saliva e riuscivo a macinare il boccone in un più deglutibile, si fa per dire, pugnetto di calcestruzzo. Mezzo bicchiere di Chateau De Fiates, chiamato d’urgenza a soccorso, sbloccava la situazione. “Perché non lo testiamo anche sui cani?” mi chiese perfidamente una delle mie cavie umane, passando un boccone all’incolpevole cagnetta Milla che però sembrò soddisfarsene. Il confronto immediatamente successivo con lo spezzatino tradizionale di sanato piemontese segnò la Caporetto, almeno in quella sede, della versione vegana.

Potevamo ora passare alla seconda fase dell’esperimento, lo spezzatino reducetariano. Il termine reducetarianesimo (dal verbo to reduce, ridurre), inventato dallo statunitense Brian Kateman,  è forse il peggior nome che si potesse trovare per definire una corrente di pensiero sostenibile che in verità riunisce sotto una singola denominzazione schiere di indecisi, edonisti gastronomici, shabby-chic e foodies. In sostanza sta nel mezzo, riconoscendo la non percorribilità della strada attuale del consumismo sfrenato, e senza arrivare ad eliminare del tutto la carne, si propone di ridurne semplicemente il consumo. Si evita così di allontanarsi troppo dalla propria identità culturale, legata alla nostra alimentazione. Si basa su tre principi, facilmente comprensibili da tutti:

  1. Un minor consumo di carne, in termini generali, è benefico per la nostra salute. Il mondo scientifico e la medicina concordano su questo punto.
  2. E’ facile. I reducetariani si prefissano degli obiettivi gestibili e raggiungibili. Ricordiamo che anche un piccolo miglioramento compiuto da molti può cambiare le cose.
  3. E’ moralmente buono, evitando la sofferenza e il sacrificio di molti esseri viventi.

In un certo senso, questa filosofia non è in contradizione con le tesi avanzate da movimenti che propongono un consumo minore ma di miglior qualità, come ad esempio Slow-Food.

Il concetto è “consumo carne meno spesso, ma di maggior qualità”, ove qualità è intesa anche come il tipo di allevamento, l’alimentazione, il rispetto dell’animale, delle tradizioni e dell’ambiente. Ecco quindi la mia versione dello spezzatino reducetariano, a base  di sanato piemontese “a filiera corta”, cioè selezionato in stalla, macellato e commercializato dallo stesso maestro artigiano. Nel mio caso l’amico Paolo, che conosceremo in una prossima intervista. Protagonista un vitello di fassona di 8 mesi in stabulazione libera, cioè senza catena e sulla paglia, allevato nella zona di Cavour ai piedi delle montagne del cuneese. Una delle carni più tenere, saporite e sane che possano esistere.

Una volta infarinata la carne, debitamente salata e pepata, la rosolavo nel coccio in olio e burro. Appena preso un bel colore, giuntavo carote e cipolla a mirepoix – un trito fine – due rametti di timo e una foglia d’alloro del giardino. Lasciavo ammorbidire e bagnavo quindi con vino rosso, unendo quasi subito passata di pomodoro, poi altro vino e brodo, fino a coprire a filo. Lasciavo allora sobbollire a fiamma lenta per quasi due ore. Poco prima di servire, univo patate a tocchi già cotte al vapore affinché s’insaporissero senza inamidare troppo il sugo. Spenta la fiamma, lasciai lo spezzatino riflettere e concentrarsi per venti minuti buoni per rendere piena giustizia ad uno dei pilastri più profondamente radicati nella nostra cultura, un intramontabile specialità delle nostre mamme e delle nostre nonne. Alla loro salute innalzammo i calici di Bordeaux, vino preferito di mia nonna Thérèse. D’obbligo la scarpetta.

 

Sul fronte del gusto ovviamente non vi fu gara: Vegani 0 – vitello piemontese 1, a mani basse!! Inoltre un chilo di questa carne unica al mondo mi è costato poco più di 15 euro, contro i 17 del seitan! Se si considera invece l’impatto sull’ambiente, c’è da calcolare il minor consumo di energia per la cottura dello spezzatinbo vegano: soli venti minuti a fronte di due ore buone per la carne vera. C’è poi la questione dei grassi animali e del colesterolo, a tuttoggi oggetto di accesi dibattiti. Mi ripromettevo comunque di ritornare sull’argomento, meglio equipaggiato culturalmente e dopo i debiti ulteriori accertamenti. Ad esempio mi accorsi che il seitan, essendo costituito praticamente da glutine puro – la proteina del frumento – non fornisce tutti gli aminoacidi necessari alla corretta alimentazione umana, e che occorre integrarlo con legumi o cereali, in particolare segale. Ecco perché molte ricette presenti in rete lo abbinavano ai piselli.

Del tutto prematura quindi una condanna, anche perchè, approfondendo l’argomento con l’aiuto di Segrè, scoprivo che in realtà nell’equazione relativa al modello alimentare del mondo industrializzato entrava pure un sovraconsumo di acqua dovuto al suo largo impiego nell’allevamento di animali da macello. In altre parole, quando parliamo di consumi di acqua, non teniamo conto di quella che “mangiamo” letteralmente! Per produrre una bistecca di carne rossa di 200g si consumano circa 3.000 litri di acqua tra l’allevamento dell’animale e la produzione del foraggio per la sua alimentazione. Ogni giorno, in una dieta carnivora, “mangiamo” così 3.800 litri di acqua, mentre per un vegetariano il consumo è di “soli” 2.300 litri (Andrea Segrè, il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua Edizioni Ambiente, Milano, 2012). Un argomento da trattare assolutamente in un prossimo incontro-intervista con Segrè.

Insomma la partita è ancora aperta, ma una cosa è certa, se vogliono avere successo, anche i reducetariani dovranno cambiare : il nome!