Tra Italia, Germania, storia e filosofia

"Il professore ha solamente vissuto di più rispetto ai suoi allievi”, così ci spiega il professore Riccardo Giandrini, classe 1973, docente di storia e filosofia del liceo Sereni

Da due anni fa il pendolare al contrario. Da Milano a Laveno e, da quest’anno, anche a Luino. Il professor Giandrini è un docente del liceo Sereni.

Da quanto insegna? Da quanto lavora in questo liceo?
Sono sedici anni che insegno, lavoro in questo liceo da due anni, questo è il secondo anno, prima lavoravo solo a Laveno, ora ho la cattedra anche qui a Luino.

Lei abita a Milano, come si sposta?
Sì, abito a Milano e mi sposto principalmente in auto, prendo il treno per raggiungere Laveno ma i collegamenti sono scandalosi

Quindi lei copre anche la sede di Laveno?
Sì, prima avevo molte più ore a Laveno, poi per una serie di motivi mi sono ritrovato ad avere più ore qui a Luino, che è un po’ scomodo sotto il punto di vista della gestione, ma, sotto il punto di vista di alunni e classi, mi fa piacere.

Perché ha scelto di diventare professore e perché proprio di filosofia e storia?
Perché metà della mia famiglia della parte novarese, quindi da parte di mia madre, era docente di materie umanistiche; dicevano che insegnare significava creare un rapporto con le persone, senza pensare di essere superiori.

La filosofia è una materia che ho sempre avuto dentro mentre storia, da un lato ha la cattedra insieme a filosofia, ma nonostante questo mi è sempre piaciuta; credo che sia la materia che spiega tutto, noi veniamo dal passato, quindi forse di un millimetro preferisco storia a filosofia. Quanto all’insegnare, è sempre stata una cosa che mi è piaciuta molto.

Ha lavorato in altri ambiti prima di fare il professore?
Sì, ho fatto un periodo in cui lavoravo, parallelamente, in un istituto per le indagini di mercato, mi occupavo della supervisione delle indagini in tedesco. Era un lavoro che mi piaceva, ma pensare di mantenere entrambi era impossibile e quindi ho puntato solo sull’insegnamento.

Quindi lei è di madrelingua tedesca?
No, io sono di madrelingua italiana. È stato mio padre, italianissimo, ma che ha vissuto in Germania, a provare a vedere se l’insegnamento del tedesco potesse funzionare per avere un qualcosa in più che ci legasse.

Quali sono stati i suoi percorsi di studio?
Io ho scelto di fare il liceo linguistico proprio per questo amore per il tedesco, poi ero incerto tra lingue e filosofia all’università, alla fine ho scelto l’ultima.
Però, appena ho potuto, ho fatto l’Erasmus in Germania, viaggio che sarebbe dovuto durare solo sei mesi ma che si sono trasformati in tre anni. Ho interrotto poi questo viaggio, mantenendo vivo il rapporto con la Germania.
Dal 2015 sto conseguendo un dottorato su Kafka all’Università di Colonia.
Ho sempre comunque lavorato con il tedesco insegnando le mie materie in lingua con il CLIL. Poi ho trovato questo professore che ha accettato il fatto che non fossi sempre “fisso” in Germania e ha puntato su di me.

 La si può definire come un insegnante ancora studente allora…
Beh si, perchè questo ci insegna che, nonostante tutto, non si è mai arrivati a un sapere completo e che comunque qualcosa da imparare ci sarà sempre. È bello vedere la doppia dimensione, il parallelismo tra studente e professore.

Cosa ama del suo lavoro?
Principalmente il rapporto con le persone perché credo sia la cosa che ti arricchisce di più.
Credo anche sia uno dei lavori più difficili, insieme al medico. Ogni individuo è diverso, così come ogni scuola, ogni classe, quindi anche le spiegazioni saranno diverse. Però è una cosa stimolante, anche stancante, ma comunque bella perché hai la sensazione di fare qualcosa per gli altri. Insegnare il rispetto, il fatto che nella vita non sempre si vinca, quelle cose che sembrano banali ma che comunque impari sulla tua stessa pelle.
Credo sia un onore insegnare, nonostante sia uno dei lavori che subisce più tagli insieme alla sanità, perché curare il corpo e curare la mente sono tra le cose più importanti.

Come crede che debba essere impostato il rapporto tra insegnante e studenti? Principalmente, su cosa basa il suo metodo d’insegnamento?
Sicuramente deve essere collaborativo e paritario, la cosa peggiore è quando c’è di mezzo la presunzione, pensare di valere più degli altri…
È chiaro che, in quanto insegnante, devi avere un ruolo da rispettare devi creare una separazione ma l’alternare la spiegazione alla battuta o alle chiacchiere su altri argomenti credo sia utile.
Bisogna basare i rapporti sulla modestia, rendersi conto che si può sbagliare, l’importante è riconoscerlo, anche scherzandoci sopra. Credo molto nelle ricerche individuali e di gruppo, non solo nella lezione frontale.
Il metodo d’insegnamento si basa sul far capire gli argomenti in maniere trasversali. Reputo gli interventi degli studenti molto importanti tanto per loro quanto per il professore stesso. La la cosa che non tollero sono le domande che mettono volutamente in difficoltà, perché vogliono volutamente dimostrare che non sai una determinata cosa- cosa assolutamente normale– mi fa perdere le staffe.

Ha degli interessi, delle passioni che coltiva?
Assolutamente si, credo che le passioni salvino la vita, amo viaggiare, adoro gli animali e lo sport in particolare calcio e basket.
Ho un debole per le squadre che non vincono mai come Genova nel calcio e Reyers nel basket.
Libri e cinema, i thriller e i tomi di filosofia e storia ma sicuramente prediligo la narrativa

Come riesce a conciliare tutto questo in una singola giornata?
Effettivamente  dormo molto poco, tento di conciliarle tutte ma è difficile, quindi un giorno ne faccio una un giorno ne faccio un’altra, cercando di organizzarmi

Irene Brioschi

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