Spiegare l’attacco al “Charlie Hebdo” a una studentessa del Manzoni

Ciao studentessa del Manzoni,

ho letto con attenzione (e devo dire con piacere) la tua richiesta di informazione a proposito degli attentati di questi giorni a Parigi.

Una risposta esaustiva e definitiva credo sia impossibile darla; con ancora negli occhi i 2 milioni di Francesi e non che hanno sfilato oggi contro il terrorismo, la prima cosa che mi viene in mente è l’orrore provato quando sono giunte le notizie degli attentati.

Ma come, in Europa, nella civilissima Europa, possono accadere simili atrocità?
Un brusco risveglio per chi (dimenticati in fretta gli attentati di pochissimi anni fa di Londra e di Madrid) era convinto di vivere al riparo dal fanatismo. Tanto per dire, i media non fanno titoli a 9 colonne sulle stragi perpetrate dai terroristi di Boko Haram in Nigeria; eppure la matrice ideologica al-qaedista è la medesima. Fanatismo religioso che, guarda caso, colpisce indiscriminatamente con furia cieca i giornalisti laici ed irriverenti di Charlie Hebdo, gli ostaggi forse cattolici, gli ebrei e i poliziotti, tra cui il musulmano Ahmed.

Guerra di religione? Non credo proprio, per rendersene conto basta guardare le migliaia di musulmani che in tutto il mondo hanno manifestato in questi giorni esponendo cartelli con la scritta “NOT IN MY NAME” o la significativa presenza alla marcia di Parigi di Abu Mazen. E allora cos’è? Da dove prende linfa il califfato islamico?
Di sicuro non tra gli immigrati magrebini integrati: mi ha fatto impressione l’intervista ad un signore, figlio di algerini che orgogliosamente rivendicava di essere e sentirsi francese al 100%. Lo stagno in cui vengono reclutati i “martiri jihadisti” è quello del degrado sociale, economico e culturale, laddove non esiste alcuna possibilità né voglia di integrazione.

Ecco la parola risolutiva: integrazione (e qui, sono pienamente d’accordo con Matteo Renzi) è il contrario di disintegrazione. E allora ritorniamo ad un aspetto fondamentale della faccenda: integrazione significa educazione alla democrazia, lavoro, diritti ma anche quei doveri che sono alla base di una pacifica convivenza. E quando dico doveri intendo anche pretendere il rispetto delle Leggi del Paese in cui si vive: un conto è avere a che fare con dei cittadini a pieno titolo (credo proprio che sia ora di superare la diatriba tra lo ius sanguinis e lo ius loci), un altro è quello di ghettizzarli negando loro i luoghi di culto o magari portando i maiali ad urinare sui terreni dove dovrebbero sorgere le moschee. Pregare in uno scantinato o in un garage non è dignitoso. Bisognerebbe ascoltare un po’ più attentamente ciò che predica Papa Francesco quando parla del Dio da venerare. Senza dimenticare che la soluzione del nodo palestinese padre o madre di tutti i conflitti mediorientali sarebbe un fondamentale punto di partenza per iniziare una convivenza pacifica in quell’area. E non solo.

A tale proposito, cara studentessa, vatti a guardare la risoluzione dell’ONU del 30 novembre 1947 che divideva la Palestina in due Stati sovrani: spiega parecchie cose che si verificheranno “dopo”. E’ superfluo ribadire che la violenza debba essere rigettata con forza e che la libertà, figlia della ragione, dovrà essere tutelata e salvaguardata con ogni mezzo ma, francamente, immaginarmi orde di islamici assetati di sangue sul pianerottolo mi fa un po’ ridere: con la propaganda urlata e con l’incitamento all’odio razziale non si va da nessuna parte né si fa buona politica.

Concludo dicendo che a me (parafrasando Eduardo) “il Presepe piace”, con tutto quello che rappresenta.

Ti saluto con affetto culturale e ti auguro buono studio.

Gianni Barba