I publisher non moriranno

Il nome publisher viene spesso associato a quelle persone cattive che costringono gli sviluppatori di videogiochi alle angherie: cancellano i progetti, rimandano i giochi, decidono i DLC e riscrivono in gran segreto i final di Mass Effect 3. E’ vero, avendolo vissuto sulla mia pelle, i publisher sono spesso costretti a fare scelte impopolari, ma non sono così cattivi. E’ anche grazie alle scelte dei publisher che esistono giochi come Assassin’s Creed, GTA, Fifa e molti altre serie famose.

Quello che in realtà fa un publisher è intuire il potenziale di un progetto (spesso su carta o in demo, quindi ancora in fase embrionale) e farlo diventare un gioco finito. Si occupa anche della commercializzazione e della pubblicità e di molte altre cose. Per rendere l’idea è quello che farebbe un editore di libri come Mondadori o Feltrinelli: uno scrittore sottopone il suo manoscritto all’editore che valuta una eventuale pubblicazione, se il libro è valido o ha un buon potenziale di vendita. Talvolta succede anche il contrario: l’editore cerca qualche bravo scrittore che possa sviluppare un libro su una idea (ad esempio per una nuova linea editoriale) o una licenza (come libri tratti da film, fumetti o videogiochi) o anche una semplice tendenza di mercato (ora vanno i vampiri, pubblichiamo anche noi il nostro romanzo sui vampiri). Dato il via libera alla pubblicazione, si sceglie quindi data, copertina, tipo di pubblicità e strategie di comunicazione da adottare e tutto il resto. Insomma l’editore rende presentabile per la vendita in libreria, persino curandone la distribuzione. Alla stessa maniera lavorano gli editori di videogiochi, con la differenza che, se per scrivere un libro basta una persona, per fare un videogioco serve almeno un piccolo team che talvolta va finanziato fino alla fine del progetto, come molti publisher fanno.

Grazie al successo degli store digitali, sia per PC che per piattaforme mobili, molti piccoli e medi sviluppatori si lanciano all’assalto di questi negozi virtuali, eliminando la barriera intermedia del publisher e vendendo direttamente il loro prodotto. Alcuni hanno anche un discreto know how su come pubblicare un videogioco e abbiamo assistito a casi di successo come Braid o Angry Birds. Alcuni sviluppatori arrivano a dichiarare entusiasticamente che i publisher non servono più, saranno i giocatori a scegliere i giochi da finanziare con il crowdfunding (tramite siti come Kickstarter) o da acquistare scaricandoli direttamente.

Falso. Quello che divide un flop da un successo, l’essere notato e comprato rispetto al passare inosservato spesso è un dettaglio. I publisher ricercano a fondo la soluzione migliore per lanciare un gioco. Scelgono ad esempio una data iconica, come nel caso dell’ultimo Uncharted o di Skyrim (1.11.11 il primo, 11.11.11 il secondo). Scelgono il miglior modo di comunicare il mood del gioco, puntando su qualcosa di particolare: non so se vene siete accorti, ma gli ultimi giochi di Suda 51 sono sempre stati lanciati facendo vedere interviste al designer che il gioco stesso. Oppure puntando su aspetti di contorno, come lo humor nel caso di Naughty Bear, un gioco mediocre ma che al lancio ha venduto molto per la sua bellissima campagna pubblicitaria. Spesso è anche per questo che devono prendere decisioni impopolari, modificando parti del gioco perché siano appetibili a tutti i giocatori e guidando gli sviluppatori al miglioramento di un prodotto.
Oppure pensate al finanziamento un gioco in crowdfunding: parte lo sviluppo, il team però ha problemi ed il progetto viene abbandonato. Oppure il videogioco è brutto o pesantemente ridimensionato rispetto alle promesse iniziali. Se LA Noire fosse stato sviluppato attraverso in crowdfunding probabilmente non avrebbe mai visto la luce.

I publisher sono una specie di “guardiani“. Potete giudicarli buoni, come nel caso di Nintendo per i suoi fan, o cattivi, come per EA, i signori del male, ma se esistono e resistono al tempo un motivo c’è.

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