(Il)logica di mercato – parte seconda

Nintendo voleva dimostrare con Wii e DS che chiunque, potenzialmente, è un giocatore. I “non-giochi“, partendo da Brain Training e arrivando a Wii Fit e passando per Nintendogs, hanno permesso al mercato dei videogiochi di proliferare, avvicinando migliaia di nuovi utenti (o addirittura milioni), che hanno acquistato la console per poter giocare questi software. Ma Nintendo ha dimostrato soltanto che chiunque può essere in grado di comprare una console, non di diventare un giocatore. Le console Nintendo sono molto vendute, ma hanno un attach rate basso (per ogni console vengono venduti pochi giochi): la media è penalizzata da quelle persone che comprano la console per giocare quei pochi software d’intrattenimento (i “non-giochi”), ma difficilmente diverranno giocatori e acquirenti fissi. I giochi presentati questa settimana per il lancio di Wii U sono un esempio di come Nintendo voglia riconquistare i giocatori che contano.

In questo modo si distingue il giocatore casuale, o casual gamer, dal giocatore vero, (qualificato dall’aberrante locuzione creata da Microsoft di) hardcore gamer, ma sarebbe più corretto dire semplicemente “gamer”. In questa definizione di casual gamer ricade anche chi, ad esempio, compra la console per un singolo gioco o serie (in Italia abbiamo i fan incalliti di calcio che comprano una console solo per Fifa o PES, ad esempio), ma anche i geek, cui piace provare le ultime tecnologie, o i “graphic whores”, i giocatori che comprano il gioco per vedere la strabiliante grafica, in pratica tutti gli acquirenti emozionali.
Lo shopping emozionale fa leva su una cosa che piace al cliente e la lega al prodotto.
Non tutti però possono permettersi una console e qui entrano in gioco Facebook, i free-to-play e gli smartphone, che offrono giochi interi gratuitamente o quasi, prendendo dalla loro tutti i giocatori casuali che non possono concorrere al mercato delle console, mentre viceversa, chi può permettersi console e relativi giochi al momento ha poco interesse nelle console e nei giochi di questa generazione, preferendo, ad esempio, il PC o altre piattaforme.

Il punto della questione è: questi acquirenti sono necessari al mercato? Necessari no, ma utili sicuramente. Come dimostra Steam, ci sono giochi molto interessanti realizzati anche a basso e bassissimo costo (Minecraft, Braid, Dear Eshter, Bastion per fare alcuni nomi) in grado di vendere milioni di copie, ma senza gli acquirenti casuali le grosse serie, come Call of Duty o Assassin’s Creed, che attirano anche i casual gamers non sarebbero certamente progetti hollywoodiani da milioni di dollari con così tante risorse per ricerca e sviluppo e realizzazione. E’ questa la logica del mercato dei videogiochi foraggiata dalle grandi case e dai produttori di console, che vuole che i soldi debbano circolare: più acquirenti significa più soldi e più progetti. Senza possibilità di tornare indietro o di diversificare gli investimenti: le grosse case producono sempre meno giochi tripla A, gli investimenti sui giochi si fanno sempre meno rischiosi prediligendo brand famosi e a farne le spese sono gli impiegati licenziati e gli studi di sviluppo chiusi. Un circolo vizioso con una logica perversa da cui è difficile uscire.

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Una risposta a (Il)logica di mercato – parte seconda

  1. Loco scrive:

    la storia di nintendo nell’ultimo ventennio è ricalcato di alti e bassi che hanno messo l’azienda più volte sull’orlo del fallimento. Le vendite gli hanno dato ragione a Wii e DS… secondo me con WiiU piscia fuori dal vaso, non può tornare dagli hardcore gamer come se nulla fosse!

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