Siamo in preda alle manie di grandezza. No, non mi sto riferendo ai maschietti che ci tengono alla loro virilità, bensì ai videogiochi (visto che tralaltro questo blog parla di videogames…).
Ho l’innata senzazione che i produttori non facciano altro che sfornare kilometri di mappe, anni di vita e storie infinite, come se per vendere sia importante avere i numeri grossi dalla loro, sempre accompagnato da una buona campagna marketing che ne esalti le qualità numeriche. Ma in quanti hanno deciso di giocare, rigiocare e riterminare Fallout 3, comprensivo di DLC che aggiungono altre mappe e altre missioni? In quanti hanno effettivamente attraversato le 9 ore di territorio dell’isola di Skira in Operation Flashpoint Dragon Rising? In sala credo che in pochi alzerebbero le mani.
Quantità al posto di qualità? Non fraintendetemi: gli esempi sopra citati sono titoli di ottima qualità, ma quello che mi chiedo deriva da un pensiero ben preciso sulle storie che rappresentano i videogiochi. Un videogiocatore acquista e fruisce un titolo per sentirsi raccontare una storia e arrivato in fondo se vuole sapere come prosegue, è obbligato a comprare il seguito: è lo stesso meccanismo delle serie televisive, che però hanno capito il corretto meccanismo. Pochi effetti visivi, giusto dove serve, e una storia alla base da urlo garantiscono un successo mondiale.
Perchè lo stesso discorso non lo si può applicare ai videogames? Sono pochi i titoli che lo hanno capito e che seguono questa strada: uno tra tutti è il titolo di prossima uscita Heavy Rain (Quantic Dream), per capirci è la stessa casa che nel 2005 ha creato il meraviglioso Farenheit che ha venduto 800.000 copie in tutto il mondo. La formula è corretta, la gente compra e gioca con una naturalezza tale che gli sforzi vengono subito ripagati.
Forza publisher di tutto il mondo, datevi da fare.
Luca “Loco” Locorotondo
Consulente Informatico Locotek
Speaker Radiofonico (Loco) Fanbit