Dipingendo la guerra in Ucrania

Dagli anni 70 in qua ho disegnato e dipinto tante volte quella che credevo essere la ultima gerra: quella finale. Ma non é stata. Peró adesso si, pare che ci siamo, che stiamo assistendo tranquillamente e quasi con curiositá morbosa alla ultima guerra, e alla rispettiva nostra estinzione.
Uno dei quadri che credo siano piú attuali in questo senso l’ho dipinto negli anni 80 e si intitola “PELLEGRINAGGIO NUCLEARE”……

……una specie di calamita che attira i popoli verso questo idolo, il vitello d’oro della nostra epoca, creato dallo statunitense Aronne e dai suoi giornalisti per assoggettare tutta l’umanitá al Dio Mercato.

Sergio Michilini, PELLEGRINAGGIO NUCLEARE, 1980, olio su tela, cm86x71

Con tutti i governi occidentali e i loro mass-media lanciati a convincere che il cammino giusto é il vitello d’oro del mercato e della guerra, della ultima e definitiva esplosione.
Ma fortunatamente gran parte della umanitá rifiuta questa pazzia del piccolo e corrotto occidente (USA – NATO – UE) e lotta per uscire da questo perverso e diabolico disegno.
E se ce la facciamo ad “uscire dal mondo che con ottusità e violenza abbiamo costruito fin qui” come diceva il nostro caro Padre Ernesto Balducci…se riusciamo a salvarci, c’é tutto un cammino nuovo da intraprendere con entusiasmo, amore e fantasia: ce lo indica uno dei pochissimi italiani ormai che riescono a leggere la realtá con mente libera …e ad indicare un cammino possibile…il nostro grande RANIERO LA VALLE.
A completare il suo eccezionale articolo qua sotto pubblico un pensiero di DOSTOEVSKIJ sull’Italia e gli italiani, che potrebbero ridiventare, senza le catene USA-NATO, una locomotiva della nuova storia della umanitá.

GUERRA CIVILE, di Raniero La Valle

A questo punto della guerra d’Ucraina se ne può forse avanzare una lettura diversa da quella vigente fin qui. Nulla di ciò che con tanta sicurezza è stato affermato è infatti avvenuto. Quella che è in corso è in effetti una guerra efferata ma circoscritta, messa in scena come uno spettacolo, dove a contare non sono le tragiche moltitudini delle vittime, tranquillamente immolate da una parte e dall’altra, ma i primi attori solitari, i Putin, gli Zelensky, i Biden, gli Stoltenberg; è una guerra combattuta con altri mezzi, l’economia, l’Intelligence, le fake news, più ancora che con le armi; una guerra in cui le armi girano da un Paese all’altro, ma sono più propagandate come offerta di omertà e promemoria di sterminio, che destinate alla difesa e alla conquista; una guerra intesa a fiaccare un antagonista che si oppone a un potere mondiale esclusivo e a cacciarlo tra i paria, ma senza arrivare a distruggere tutto; una guerra preventiva fatta da un lato per fermare un cane al confine che abbaia ma non morde e dall’altro per rassicurare Paesi che nessuno minaccia.


Questi sono i fatti. Ciò che invece non è avvenuto è che l’Ucraina, gestita dalla NATO, riuscisse a difendersi e a vincere la guerra. Non è avvenuto che la Russia, accusata di voler invadere l’Europa dopo l’Ucraina, fosse sconfitta, umiliata ed esclusa dal mercato globale e dal mondo civile. Non è avvenuto che Putin, mezzo zar e mezzo pazzo, fosse rovesciato dai suoi e che la Russia fosse balcanizzata, ridotta a ranghi subalterni e pressoché dissolta. Non è avvenuto che Biden, dopo aver dettato la sua legge all’Europa, si volgesse a giocare il finale di partita con la Cina. Non è avvenuto che la guerra mondiale a pezzi diagnosticata dal papa si trasformasse in una guerra mondiale intera e totale, fino al ricorso alle armi nucleari, a cominciare dalle ormai demitizzate atomiche tattiche e di teatro.
Tutto questo non è avvenuto e non avverrà, perché questa non è una guerra tra due mondi estranei e nemici, ma è una guerra civile interna all’Occidente di cui la Russia di Putin, approdata al mercato neoliberale e sfigurata dagli oligarchi, ormai fa parte. In questo senso è una buona notizia: non è una guerra senza chiaroscuri e senza speranze, come ce l’hanno venduta gli analisti e i crociati nostrani, ma una guerra che ancora possiamo prendere in mano, arginare, far finire, riportare alla ragione.
Il precedente per capire questa guerra non è infatti la guerra nascosta nell’equilibrio del terrore del secolo scorso, ma è la guerra del Golfo in cui abbiamo dissipato il dividendo della pace che ci era stato offerto dalla caduta, o rimozione, del Muro di Berlino. Fu allora che perdemmo il patrimonio degli ideali e i frutti della rinascita seguiti ai conflitti mondiali del Novecento.

Quando la guerra del Golfo fu intentata ci volle molta fatica e un gran uso di menzogne perché le opinioni pubbliche, ormai persuase del ripudio e della irrazionalità della guerra ne accettassero il ripristino e il ritorno come indissolubile compagna dell’uomo nella storia. Padre Ernesto Balducci di cui a ragione si celebra ora il centenario della nascita, disperato al vedere lo scacco delle speranze di un mondo nuovo, scrisse che essa annunciava “il declino, anzi la fine dell’età moderna”, che voleva dire per lui “la fine dell’età dell’egemonia mondiale euro-atlantica”, cioè di quel sistema di legge e di mercato identificato con la coalizione occidentale che – diceva – “ha reciso nella coscienza profonda dei popoli del Sud la speranza di una conquista pacifica del diritto a prendersi in mano la propria storia”. Quei popoli che anche allora il conflitto in Medio Oriente aveva messo ai margini del sistema sono quelli stessi che oggi si sono rifiutati di schierarsi nella guerra che si combatte in Europa, gli 82 Paesi che non hanno votato per l’esclusione della Russia dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU; tra loro c’è tutta l’Asia, escluso il Giappone, gran parte dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente, una parte preponderante cioè della popolazione della Terra, che la Terra vorrebbe salvaguardare, conservare, difendere, il vero mondo che non va umiliato ed escluso, come invece l’America atlantica vuole fare della Russia.

A maggior ragione si può dire che la riesumazione della guerra in Ucraina chiude l’età moderna; ciò significa andare oltre un mondo fatto a misura dell’Occidente, secondo il modello economico, culturale, politico che per secoli si è imposto come normativo, eccelso ed atroce nello stesso tempo. La Chiesa cattolica, che a lungo l’ha fatto proprio , è giunta a prenderne le distanze: da quando nel Concilio Vaticano II il cardinale Lercaro e Dossetti sostennero che la povertà della Chiesa dovesse consistere anche nel distacco dalle ricchezze dell’ “organon” culturale dell’Occidente, fino a papa Bergoglio che ha messo la Chiesa “in uscita”. L’altro grande esodo in corso dalle strettoie dell’ideologia storicamente egemone, è quello dell’universo femminile, discriminato nella realtà e nel diritto dal privilegio maschile, come ci ha ricordato la lezione di Marina Graziosi che ci ha lasciato in questi giorni.

E allora è questo il vero cimento a cui siamo chiamati: chiudere la parentesi infausta che abbiamo aperto ripristinando la guerra dopo la fine dei blocchi, uscire dal mondo che con ottusità e violenza abbiamo costruito fin qui e intraprendere la ricostruzione della storia quale avevamo cominciato a concepirla nel Novecento: dalla Carta atlantica di Roosevelt e Churchill in piena guerra mondiale (niente a che fare col Patto atlantico) al pensiero politico nuovo di Gorbaciov; dalla Dichiarazione di Nuova Delhi per “un mondo libero dalle armi nucleari e non violento” alla Carta di Abu Dhabi che attribuisce il pluralismo delle religioni alla stessa volontà divina; dalle Costituzioni postbelliche all’ “uscita dal sistema di dominio e di guerra” dei convegni della Sinistra cattolica a Cortona; dal Progetto per un’etica mondiale di Hans Kung alla Carta di Algeri per il diritto e la liberazione dei popoli, dal Concilio ecumenico Vaticano II alla “Fratres omnes” di papa Bergoglio. Questo è il futuro, al netto della Bomba , a condizione cioè che la Bomba sia licenziata e interdetta, come già stabilisce il Trattato più importante e profetico che l’ONU abbia mai partorito.
(da “Il fatto quotidiano” del 4 giugno)

Dostoevskij sull’Italia

«Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale».

«I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano».

«La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour?

È sorto un piccolo regno dì second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, (…) un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unita mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!».

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

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