Nairobi, febbraio 2013

Eccomi qua,

seduto in questa piccola ma essenziale camera del Flora Hostel a Nairobi, scrivo in questo mite sabato sera della capitale keniota.

Dallo Loiyangalani a Nairobi, in un unico viaggio.

Viaggio, forse è la parola che ho utilizzato di più durante questa mia ricca esperienza africana.

Ho viaggiato tanto, in tutte le condizioni possibili, sia, in un primo tempo da passeggero e sia in seguito come driver.

Viaggiare in Africa percorrendo lunghe distanze è quasi un must.

Ma andando in ordine temporale degli eventi, che tanti si sono succeduti, menzionerei in primis,

l’attesa decisione di padre Andrew di partire in tempo per Nairobi per la celebrazione del Deaconate Ordination di Caesar, il seminarista ugandese con la quale ho condiviso molte giornate allo Loiyangalani.

Partenza fissata per mercoledì delle ceneri 13 febbraio, dopo la celebrazione della funzione liturgica di rito, per le ore 22:00.

Messa da me saltata a piè pari, per l’ennesima avventura accadutami.

La mattina dello stesso mercoledì, sister Lucimar si reca per organizzare l’uscita programmata, out of reach, per portare le vaccinazioni ai bimbi di Larash, villaggio poco distante dallo Loi.ani.

Un villaggio che si trova tra valli sassose, dove il caldo è opprimente, pochi gli arbusti che sopravvivono ma nonostante tutto ciò, vi abita l’uomo.

La stessa mattina, recandomi in town, vedo un camion pieno zeppo di ascari, la polizia locale armata tutto denti.

La sera prima, martedì 12, è scoppiata l’ennesima guerriglia tra Samburu e Turkana, motivo, lo scippo di animali da parte dei Samburu a danno dei Turkana, tre i morti, sparati a fuoco.

Mi informo sul luogo, la maggior parte mi indica il monte Kulal e i suoi verdi pendii, altri dirigono il loro dito indicandomi in linea d’aria, Sarima e Larash.

Primo fattore da considerare i continui spostamenti di questi pastori con al seguito i loro preziosissimi greggi o mandrie di bestie, dunque nessuno sa veramente dove si sono ficcati.

Sister Lucimar difronte al padre, chiede l’orario della partenza e il driver, il padre mi nomina driver per Larash per le 13:00.

Accetto.

L’imprevisto impegno, ha fatto si di anticipare il bucato, impegni vari ed una sorta di preparazione bagagli.

Finito pranzo, verso le 12:30, aiuto sister Lucimar a caricare i bagagli contenenti medicinali, vaccini, attrezzatura varia, dal peso non indifferente, per esaminare i bambini.

Mi accompagna una ragazza del gruppo di supporto hiv, parla poco l’inglese, da quanto capisco vuole salutare alcuni parenti nel villaggio.

Passiamo a prendere l’infermiere del dispensario governativo, dove carichiamo altri vaccini, per poi raggiungere la casa di Gabriella, infermiera del dispensario cattolico con la quale ho lavorato molto.

Gabriella non è ancora pronta, sono le 14:00, scendiamo dal pick up in sua attesa.

Questo è stato il punto di non ritorno, l’altra infermiera viene a conoscenza della sparatoria nei pressi in cui dobbiamo andare, intavola un’accesa discussione.

Giace insicurezza sul volto di Gabriella, partire o non partire ?

Faccio notare che più si discute senza prendere una decisione più tempo passa e più velocemente troveremo il buio davanti a noi, allora si che saranno problemi, soprattutto per me, in quanto non conosco la strada e preferirei guidare alla luce del sole.

Le mie parole vengono comprese, si decide di partire accompagnati da un escort, un PKR, ossia Police Kenian Reserve, un ufficiale della polizia armato con un fucile da 50 bullets, con opzione tiro singolo o tiro multiplo.

Si fanno le 14:45, partiamo.

La strada inizialmente è facile se non per qualche breve tratto, a metà percorso cambia nettamente, si viaggia solo su grandi pietre, rocce, sassaiole nelle quali le 4 ruote sprofondano pericolosamente.

Ma il bello deve ancora arrivare, si procede lentamente, visivamente pianifico la salita che ho davanti, scalo, seconda, prima, il motore si spegne a metà salita.

Freno a mano, malfunzionante, il pick up, scivola, lo tiro al massimo del leveraggio,  niente da fare, l’ascari smonta dal vano posteriore, mentre gli grido stone, stone, dopo un po’ capisce, blocchiamo il mezzo con 4 grandi pietre dietro le gomme, le donne nel frattempo escono, senza alcun timore.

Mi rimetto al volante, avvio il motore, ma niente anzi più provo più la batteria si esaurisce.

Dopo svariati tentativi, mi rassegno.

Cerchiamo soluzioni alternative.

Controllo il vano motore, l’olio c’è, il diesel seppur poco ce n’è quanto serve, fili batteria collegati ed integri, noto la pompa di mandata del diesel che non si indurisce pompando manualmente, forse è questo il problema.

L’unica soluzione è spingerla, è assai difficile perché siamo in mezzo a pietre di diverse dimensioni, a rischio delle nostre caviglie, ma non possiamo fare altrimenti.

Svuotiamo il vano portaoggetti dai pesanti contenitori e proviamo, ma niente, il tipo di strada non ci aiuta, tantomeno il pesante mezzo e l’estremo caldo.

Le donne decidono di andare a piedi per raggiungere il villaggio.

Io e ascari stiamo insieme.

Si decide di chiamare soccorso.

Tiro fuori il cellulare per telefonare, no network, nessun segnale.

Ascari mi indica una grande roccia in mezzo alla vallata, ci incamminiamo, forse là troveremo il segnale.

Rendo pubblica la mia paura di eventuali serpenti e scorpioni, nascosti tra questi caldi sassi e secchi arbusti rasenti il suolo, preciso che non parla inglese, quindi il tutto trova un spiegazione mimata con un’unica risposta “pole, pole”, ossia “piano, piano”, iko sawa.

Raggiungo la grande roccia, non credo ai miei occhi, 1 linea bianca di segnale compare sul cellulare, non perdo tempo, compongo il numero di fr. Andrew, il quale è in macchina che sta viaggiando verso le pendici del monte kulal, in poche parole riassumo la difficile situazione in cui siamo, le donne a piedi verso Larash, la macchina kaput, tutto ciò sotto un sole cuocente.

Ripeto più volte di portare con sé i cavi della batteria e gasolio.

L’acqua nel frattempo è finita.

L’aspetto positivo in tutto ciò è nel constatare che non vi è nessun uomo armato nelle vallati che ci sovrastano.

Dopo 2 ore arrivano i rinforzi, la jeep della missione, la stessa della manutenzione di Maralal, Akai e David, il driver.

In contemporanea arrivano le donne, Gabriella tiene sulla schiena una bianca capretta, l’unico essere animato trovato a Larash, oramai divenuto villaggio fantasma.

Colleghiamo una pesante catena di acciaio al pick up e la trainiamo fin quando il motore non ruggisce nuovamente, si danno un paio di profonde accelerate al motore mentre dal tubo di scappamento nere nuvole di fumo fuoriescono.

Sono le 18:00.

Con i motori accesi accanto ai nostri disidratati corpi, facciamo dietrofront, puntando il bianco cofano del pick up verso la grande distesa d’acqua, il lago Turkana.

Il paesaggio è mozzafiato, siamo sugli alti colli che fanno da cornice al mare di giada durante il tramonto, i raggi del sole si scindono in indimenticabili tonalità di arancio, giallo e rosso, mi fermo ad immortalare l’attimo.

Il pick up sale e scende di giri, rpm, sgaso per ravvivare il motore.

Accompagno per prima Gabriella, arrivati davanti casa, scendo per salutarla e tac, il motore si spegne.

My God, again !

Gli uomini mi aiutano a spingerla più volte, ma nonostante il loro generoso aiuto, il motore non si avvia.

Stanco, assetato e provato, alzo i finestrini, chiudo a chiave le due portiere, prendo la valigetta più preziosa e pianto l’auto sul ciglio della strada.

Nella mia mente solo il fresco termos pieno d’acqua compare, nulla più.

Disto circa 1 km dalla missione, inizialmente cammino poi i miei piedi spontaneamente aumentano il passo, fino a mantenere una leggera corsa.

Corsa che incontra sul suo cammino, l’uscita di una moltitudine di gente accomunata da una striscia grigiastra sulla loro fronte. Tra me e me, penso, “Dannazione, non sono arrivato in tempo”.

Arrivo in missione, Nawapa, Sannita, Akai, già arrivati con l’altro mezzo, sbigottiti mi guardano arrivare a piedi e mi domandano “Ancora ?”, “Yes, again” gli lancio le chiavi, dicendogli dove si trova il pick up.

Sapalanco la porta della cucina, afferrando il fresco termos, che in pochi secondi finisce, sotto lo sguardo di Joseph, il cuoco.

Mi siedo, tiro un sospiro di sollievo e gli racconto in due parole  l’accaduto, mi risponde “I knew it, pole sana”.

Trovo un po’ di relax nella piscina.

Ma la lunga giornata non è ancora conclusa, ho da preparare i bagagli, salutare le sisters, cenare, caricare la jeep, intanto, si fà buio pesto, ore 19:00.

Mercoledì 13 febbraio, ore 22:30, partenza per Nairobi.

Arrivo a Nairobi giovedì 14, ore 18:00.

Viaggio diretto, con due brevi soste alle 8:00 e alle 13:00.

Venerdì giornata di riposo, dopo ben 35 ore senza dormire, prendo il solo impegno di recarmi ad Accra road, lo stage dei matatu, per prenotare il biglietto del bus per Malindi.

Sabato 16 febbraio 2103:

Deaconate Ordination at 10 am in Allamanno House, Karen Nairobi.

Lungo, è l’aggettivo che meglio si addice per definire la celebrazione dei 5 diaconi e 2 preti.

Iniziata alle ore 10:00, si è conclusa alle ore 16:30, dopo una interminabile serie di balli, canti, raccolta fondi, rituali vari, etc.

Seppur la lunga durata della cerimonia, è stato un evento unico nel suo genere, ricco di colori, di belle, vivaci ed umane parole del missionario Virgilio Pante, nonché vescovo di Maralal.

Ringrazio Caesar per l’invito.

In attesa del nuovo viaggio.

Gabriele,

Nairobi, domenica 17 febbraio 2013

3 pensieri su “Nairobi, febbraio 2013

  1. Dear Gabriele,
    un altro bel racconto, vissuto sulla tua pelle , grazie!
    Mi auguro che tu abbia potuto scattare anche qualche foto !
    Un abbraccio 🙂 mamma

  2. Ciao Gabriele, avventure su avventure, e vere per giunta, ci sarebbe da stampare il tutto e farne un libro!!! Chissà….
    Arrivederci Elda

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