GREEN DOMESTIC
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L'insostenibile leggerezza del tonno

inserito il 23/3/2009 alle 11:32

I tonni dei nostri mari, orgoglio e vanto di una cucina mediterranea che ha conquistato il mondo, sono sempre più "leggeri", ovvero sono sempre più piccoli, sempre più giovani. Gli esemplari adulti, rossi giganti dei mari siciliani, venduti a peso d'oro sui mercati giapponesi, stanno diventando un vago ricordo. Ora imperversa la varietà pubblicitaria del "pinne gialle" proveniente principalmente dal Pacifico, in verità ben meno nobile ma sdoganata magistralmente a colpi di spot. Anche quest'ultima specie è però a rischio. Non solo, nel Mediterraneo sono calate spaventosamente le popolazioni di pesci spada, orate e branzini. Negli altri mari, in pochi anni, si sono fatte fuori sistematicamente tutte le riserve naturali di merluzzi, naselli e platesse. Sembra così che il mito dell'indissolubilità del connubio tra "naturale" e "sostenibile" debba crollare. A mettere in discussione il dogma, radicato anche a livello intuitivo in ognuno di noi che vuole che una cosa "naturale" o "selvatica" sia per forza benefica per l'ambiente è stata la poca immaginazione gastronomica delle centinaia di milioni di consumatori che, grazie anche ai consigli per gli acquisti di qualche barbuto capitano televisivo, si sono fissati per quelle poche specie di facile acquisto e preparazione. Ma perchè ostinarci a consumare solo quei pesci, dov'è finita la ricchezza straordinaria delle cucine marinare locali? E' oramai un luogo comune, la cultura gastronomica tradizionale si sta perdendo. Il problema è che si tratta di una tradizione prettamente orale, tramandata all'interno delle famiglie attraverso i riti ancestrali dell'aggregazione intorno al focolare. Il momento tipico del "passaggio" culturale da una generazione all'altra è quello del pasto familiare e della sua preparazione. Purtroppo il modello di vita attuale delle società cosidette sviluppate, cioè quelle del benessere e quindi quelle dei "consumatori", è cambiato radicalmente, e viene a mancare questo elemento fondamentale per la trasmissione del sapere culinario. Quest'ultimo è stato rimpiazzato dal ben più efficace modello del "tutto pronto senza spine". La FAO ha lanciato l'allarme da tempo, pubblicando già nel 1993 dati più che preoccupanti sulla spaventosa diminuzione delle riserve ittiche, aggiornati poi in peggio in un rapporto del 2005. Nei ristoranti statunitensi, specie quelli californiani, è scattata la moda del pesce sostenibile: vengono cucinate e servite solo specie riconosciute come non-a-rischio. Alcuni ambientalisti consigliano invece un consumo responsabile e consapevole di pesce allevato, specie se erbivoro. Dopo tutto l'acquacoltura si praticava già ai tempi dei romani e si può considerare una pratica tradizionale a basso impatto ambientale. Altri non sono d'accordo con questa interpretazione e mettono in guardia contro danni all'ambiente che potrebbero essere ben peggiori di quelli che si vogliono sanare. Scende in campo anche Slow Food, irriducibile difensore del "tutto naturale" ma che stavolta preconizza una salomonica soluzione di "acquacoltura sostenibile" a mediare le due posizioni. Difficile districarsi e formarsi un'opinione, salvo diventare divoratori di bistecche, ma in questo caso si cadrebbe dal "pesce in padella" alla "carne alla brace" vista l'ancor più animata controversia sui consumi di carne.

 

 

 

 

 

 

FOTO: in alto Tonno ; qui sopra la trota di Diego degnamente approntata per la cottura

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