Il neige sur le Lac Majeur

Forse non tutti i varesotti sanno che il nostro Lago Maggiore è conosciuto oltralpe soprattutto per via di questa canzone di Mort Shuman, cantante, compositore (e pure attore!) di origine americana, ma che non disdegnava di cantare nella lingua di Molière. Questo pezzo, di dubbio gusto per il sottoscritto, è composto nel 1972. Si rivelerà uno dei maggiori successi di Shuman, restando impresso nella memoria di moltissimi francesi. Il signore che me l’ha fatta conoscere è nato negli anni ’60 e mi ha confessato che sua nonna gliela cantava prima di dormire..

Il testo trasuda mestizia da tutti i pori, e il ritornello fa pressapoco cosi: “Ho completamente dimenticato cos’è la felicità / Nevica sul Lago Maggiore”.

…e per chi mastichi un po’ di francese e voglia dilettarsi nella lettura del testo, voilà:

Il neige sur le lac Majeur
Les oiseaux-lyre sont en pleurs
Et le pauvre vin italien
S´est habillé de paille pour rien…
Des enfants crient de bonheur
Et ils répandent la terreur
En glissades et bombardements
C´est de leur âge et de leur temps
J´ai tout oublié du bonheur
Il neige sur le lac Majeur
J´ai tout oublié du bonheur
Il neige sur le lac Majeur.

Voilà de nouveaux gladiateurs
Et on dit que le cirque meurt
Et le pauvre sang italien
Coule beaucoup et pour rien…
Il neige sur le lac Majeur
Les oiseaux-lyre sont en pleurs
J´entends comme un moteur
C´est le bateau de cinq heures
J´ai tout oublié du bonheur
Il neige sur le lac Majeur
J´ai tout oublié du bonheur
Il neige sur le lac Majeur.

Les chauds italiens

Nelle terre della vodka e delle salsicce affumicate, il maschio italiano è basso, tarchiato, perennemente abbronzato e un po’ cialtrone. Ma prendiamo ora i “cugini” francesi : complice la vicinanza geografica e un certo mescolamento avvenuto nel corso dei secoli, non si stupiscono più di tanto se scoprono che quel freddo sosia di Dolph Lundgren con il quale stanno  amabilmente discorrendo si rivela essere un italiano. Lo stereotipo francese sull’uomo italiano è centrato infatti principalmente sugli attributi caratteriali. Per prima cosa, l’uomo italiano è un dragueur, ovvero un dongiovanni. È sorprendente e fa anche un po’ sorridere vedere con quale forza questi luoghi comuni siano radicati nella testa di persone così culturalmente vicine a noi, e che magari nella loro vita  hanno potuto studiare, viaggiare, conoscere.
Ma l’esperienza più sorprendente è avvenuta la prima settimana di Giugno, quando sono stato in un liceo della regione a parlare di mobilità europea, portando la mia esperienza tra i giovani. Memore dei tempi nei quali anch’io scaldavo un banco e una sedia, ero mentalmente pronto a fronteggiare orde di alunni chiassosi, schivare oggetti, essere sbeffeggiato per via del mio accento. Contrariaramente anche alle mie più rosee aspettative, il discorso si è rivelato semplice e privo di intoppi: è come se mi fossi preparato ad entrare in un covo di hooligans per finire invece nel bel mezzo di un circolo letterario di signore di mezza età, sorseggiando del thé. Per tutto il tempo del mio intervento gli studenti sono rimasti immobili, un po’ annoiati ma comunque attenti. Hanno anche fatto qualche domanda. Prima di andarmene non ho potuto evitare di palesare tutto il mio stupore a una delle professoresse presenti. Lei sorride, annuisce amabilmente mostrando di aver ben compreso il motivo del mio sbigottimento e mi spiega come mai i suoi alunni non si sono comportati come mi sarei aspettato : « On est des français…on n’est pas chauds comme vous ou comme les espagnols ! » Traduzione : siamo dei francesi…non siamo caldi come voi o come gli spagnoli.
Caldi! La professoressa (di non so quale materia) ha detto proprio così. Caldi! Provate ad immaginare quante e quali immagini evoca tale parola se associata al carattere di una persona. Immaginate ora quale visione questa professoressa potrà avere dell’uomo italiano, se per descriverlo usa la parola caldo : un dongiovanni, un dragueur, abbronzato, chiassoso,vendicativo, che corre dietro ad ogni sottana mangiando nel contempo una mozzarella con le mani o addentando un succoso polipo crudo, come in una nota pubblicità di qualche anno fa. Si potrebbe proseguire per ore, in una girandola vertiginosa di luoghi comuni e immagini al limite del grottesco. La scelta delle parole tradisce ciò che si pensa, e mi sembra che nella visione dello straniero lo stereotipo la faccia da padrone. Incontrastato.

Binari d’oltralpe

La mia condizione di volontario quasi nullatenente non mi permette di possedere una vettura e così, per i miei irrinunciabili spostamenti fuori città (“città” è forse una parola un po’ grossa ) posso scegliere tra l’autostop, il covoiturage oppure il classico treno. Le prime due opzioni, e soprattutto la prima, sarebbero indubbiamente da preferire quando il portafogli piange…tuttavia l’idea di potermi ritrovare nella morsa di un qualche maniaco o, peggio ancora, di una donna-al-volante, mi spinge sempre a scegliere la terza ed estremamente cara opzione. Tra l’altro, ho sempre amato muovermi su rotaia: il soporifero sferragliare, le dolci frenate e le lente ripartenze, le ampie vetrate che permettono di rimirare il paesaggio, i “portoghesi”. Insomma, non sono per niente d’accordo con quel filosofo di Danzica che affermava che il solo beneficio arrecato dall’invenzione della ferrovia è stato quello di risparmiare «un’esistenza disgraziata a milioni di cavalli da tiro». Ma ritorniamo sul pezzo.

Come ho già accennato, i treni francesi sono estremamente cari. Per quanto mi riguarda, ho il diritto a possedere una carta sconto per giovani fino a 28 anni che permette uno sconto dal 30 al 40% su quasi tutti i viaggi. Ma anche con l’aiuto di questa tessera magica i prezzi, se comparati con quelli italiani, rimangono estremamente cari.

Un’altra peculiarità dei treni francesi è la loro estrema puntualità. Ora, il mio articolo può sembrare il solito intervento infarcito di luoghi comuni, in cui i tedeschi arrivano sempre in orario, gli spagnoli sono calienti e le donne del sud hanno i baffi. Eppure fino ad ora la puntualità é sempre stata un elemento distintivo dei miei costosi viaggi francesi; anche in passato. Mai un minuto di ritardo e la sicurezza di non perdere mai una coincidenza, anche se molto ravvicinata.

Con tutto ciò bisogna dirlo: questa precisione toglie un po’ di pathos al viaggio, e i pendolari varesotti che usufruiscono di quell’innominabile compagnia ferroviaria per recarsi giornalmente nella grande mela lombarda lo sanno bene. Chissà quante amicizie, se non addirittura amori, sono germogliate su quei vagoni, nate dalla solidarietà reciproca che avvicina le persone a fronte di una comune sventura. Nulla di tutto ciò potrà mai accadere su quei freddi treni d’oltralpe, precisi ma privi di anima! (Sono proprio le stesse identiche parole che avevo in mente questo Dicembre, mentre riflettevo su come avrei potuto colmare quei 164 minuti che mi separavano dall’arrivo del mio agognato convoglio per Milano..)

E che dire dei controllori ? Il loro incedere unito alla loro rinomata fiscalità genera sempre nella maggior parte dei viaggiatori (me compreso) una sorta di vaga paura e conseguente sudorazione fredda. Imperturbabili e avari di emozioni avanzano tra i corridoi, e a differenza della maggior parte dei colleghi italiani non perdono il loro cipiglio nemmeno quando si trovano a dover controllare il biglietto di qualche giovane e avvenente passeggera. Nati per punzonare.

Ultimo ma non ultimo, nei week-end la frequenza dei convogli diminuisce vistosamente, e a farne le spese è soprattutto chi, come me, deve servirsi di linee minori. E così se il sabato o la domenica volessi farmi un’ottantina di chilometri per recarmi nella grande città la più vicina a me, vale a dire Bordeaux, questo sarebbe un grosso problema. Infatti il primo treno per Saintes (la città dove mi toccherebbe per forza cambiare) parte alle 13.39. Ma non è finita qui: una volta arrivato a Saintes dovrei aspettare 1 ora e 54 minuti (sì, un’ora e cinquantaquattro minuti!) la coincidenza per Bordeaux. Risultato: arriverei alle 17.17. Ma le ferrovie francesi offrono ampie possibilità di scelta al fortunato viaggiatore, e così se dovessi per forza arrivare a Bordeaux prima dell’una del pomeriggio potrei optare per la pratica opzione che prevede la circumnavigazione della regione Poitou-Charentes : partenza ore 07.27, due cambi (Niort e Poitiers) e arrivo a Bordeaux alle ore 12.32. Niente male!

 

Penitenziario

Un pomeriggio, terminato il giro nei centri per fare le ultime foto, mi è stato proposto di andare nel carcere di Manakara per dar da mangiare ai detenuti.

Ho accettato…

Premetto che ovviamente non mi è stato possibile documentare nulla di questo con foto.

La struttura è davvero piccola, divisa in 5 stanze di diverse dimensioni in cui sono stipati circa 300 uomini (tra cui anche un vahaza francese).

All’ interno delle stanze non ci sono letti, cuscini o coperte, ma chi ne ha una, possiede una stuoia di paglia su cui dormire. Su di esse, durante il giorno, si “organizza” una specie di mercato interno al penitenziario in cui si vendono sigarette, carne e pesce essiccati e qualche vestito.

La vita lì dentro deve essere davvero dura, anche perché lo stato non si preoccupa di fornire viveri e medicinali (questo viene fatto dai diversi centri delle suore), ma non si preoccupa neppure di dare un processo ai prigionieri e quindi, come in una buona storia kafkiana, molti di questi uomini passano anni della loro vita, senza colpe, chiusi in 50 m², mangiando (quando c’è) un tozzo di pane e 2 banane.

Ovviamente per questo non esiste una mensa con tavoli e panche, ma tutti i detenuti si mettono accovacciati in fila in cortile in attesa del loro rancio.

Negli ultimi anni l’associazione ha messo a disposizione dei fondi per portare avanti alcuni processi e il risultato è stato che su 100 persone, 85 sono uscite di prigione perché innocenti o perché avevano già scontato più della loro condanna.

In tutto questo però devo dire che negli occhi dei detenuti non ho visto disperazione rabbia o cattiveria ma, appunto come nel processo di Kafka, una serena rassegnazione al loro destino…

Sarà un bene o un male???

Gli Erasmus non fanno niente.

Eh già: gli Erasmus non fanno niente. Ma nel mio caso, da quando sono tornata dalle vacanze di Natale non sto facendo niente di quello che dovrei fare!

Maledetto inverno, maledetti esami. L’unica cosa, utile ed interessante per me, ma abbastanza triste per chi si aspetta altro, è che ho scoperto alcune biblioteche che mi stanno salvando la vita!!

Per prima cosa, perchè non sono mai stata abituata a studiare a casa, poi perchè almeno posso farmi una passeggiata ogni giorno ed evitare di fossilizzarmi sulla sedia per ore ed ore. In entrambi i casi, si tratta di biblioteche che pensavo esistessero solo nei film.

La Conde Duque, che è quella che frequento di più, dato che è più vicina a casa mia, si trova in zona Plaza de España, in un complesso enorme che sembra una fortezza e che ospita anche un centro ricreativo per i bambini. Le stanze sono molto grandi, i tavoli sono ampi e c’è molta luce: è l’ideale per studiare, anche perchè l’ambiente è molto tranquillo. C’è anche la possibilità di noleggiare cd, dvd, libri e spartiti musicali e c’è davvero una vastissima scelta! Peccato che sia aperta solo dal lunedì al venerdì..ma non temete: durante il weekend ho trovato una degna sostituta!

La biblioteca della Facoltà di Filosofia della mia Università è aperta tutti i giorni quando ci sono le sessioni di esami, pensate, fino alle 22!! Oltre ad avere questo lusso, direi che questa biblio è davvero, davvero stupenda: è enorme, con centinaia di posti, completamente arredata con sedie e tavoli colorati dell’ Ikea, ultra moderna..Addirittura ci sono quelle poltrone-dondolo che sono spettacolari, ma che sono pericolosissime dopo pranzo ( l’ho provato sulla mia pelle.. ).

Beh, dopo queste informazioni da studente sotto esame, spero davvero di tornare presto a raccontare cose carine su questa città..intanto siamo a -3, eddaaaiii!!!

22 dicembre: un giorno importante in Spagna

La fine del mondo? L’ultima, disperata corsa ai regali natalizi?

Macchè, la preoccupazione più grande di tutti i madrileñi in queste ore è quella di riuscire a comprare in tempo il biglietto della lotteria di Natale!

Domani, come ogni 22 dicembre, ci sarà la tanto attesa estrazione  di quello che sarà l’ultimo jackpot  milionario esente da imposte!

Ci sono dei meccanismi complicatissimi, da quanto ho capito, dato che non funziona come la lotteria italiana. Si comprano decimi, non numeri, e ogni decimo costa 20 euro.

Per intenderci, ogni  numero da 0 a 99.999 è diviso in decimi e ogni singolo numero ha 1800 quote (un numero ha 180 serie e ogni biglietto ha 10 quote).

Ovviamente si possono scegliere le combinazioni: quest’anno, per esempio, vanno per la maggiore quelli con i numeri 21,12,.. quelli legati alla data della fine del mondo, insomma.

Il premio più grande che si chiama El Gordo, “il ciccione”, da 4 milioni di euro e poi ci sono altri migliaia di premi, sempre meno sostanziosi ( c’è anche il “rimborso spese” dei 20 euro per un decimo ).

Di fatto, qui in città sono tutti impazziti e, anche se in realtà è da settembre che vedo ambulanti in Puerta del Sol sgolarsi per vendere ‘sti benedetti biglietti, da circa due settimane la ricevitoria più conosciuta, Doña Manolita, è stata letteralmente presa d’assalto.

Ci sono code interminabili dalle 7 di mattina e persone disperate che passano interi pomeriggi in attesa di ricevere il proprio bigliettino.

Del resto questa è molto più di una lotteria: si parla di una vera e propria tradizione che si ripete dal 1812.

Ho letto che addirittura un anno nella prima metà del XIX secolo, sotto il regno di Elisabetta II, il vincitore del Gordo, tale Santiago Alonso Cordero, vinse una cifra talmente spropositata che il Ministero del Tesoro non poteva pagare.

Si decise che, in cambio del pagamento di parte della vincita, il Governo dovesse cedere al vincitore un immenso terreno, da poco divenuto proprietà dello Stato.

Il signor Cordero accettò l’offerta e costruì un enorme complesso di appartamenti, tra Calle Mayor e Puerta del Sol: la Casa del Cordero, appunto.

Beh, spero che quest’anno non accada una cosa del genere e che, soprattutto, la Dea bendata baci qualcuno che abbia davvero bisogno di una vincita alla lotteria!

Toledo

Chiunque si trovasse a Madrid e volesse fare una gita fuori porta in giornata, dovrebbe fare una tappa a Toledo: raggiungere questa città partendo dalla capitale spagnola è facile ed agevole, sia con il treno che con l’autobus.

Io ho scelto di andarci in autobus, mezzo più economico e meno vincolante: è possibile fare il biglietto in stazione ( Plaza Elíptica, sulla linea 6 della metro ) , il viaggio dura un’ora per tratta, il costo è di 9,20 euro A/R  ed è possibile tornare a Madrid quando si vuole, in quanto gli autobus partono ogni mezz’ora e l’ultimo è alle 21.

Una volta raggiunta la stazione di Toledo ( che si trova a valle, fuori dalle mura della città ), si può scegliere se fare una passeggiata fino al centro storico, attraversando la Puerta de Alcántara, oppure prendere una navetta fino a Plaza Zocodover.

Lo sforzo di farsi un km buono di salita è ripagato da un panorama molto suggestivo; oltre al fatto che, durante il tragitto, è possibile farsi un’idea di ciò che ci si può aspettare da questa visita.

Quella di Toledo è, infatti, una storia di continui passaggi di testimone tra cristiani ed arabi e il suo aspetto multiconfessionale, nonostante le continue distruzioni di monumenti nel corso dei secoli, si coglie ancora oggi per la presenza di innumerevoli sinagoghe e moschee, accanto alle chiese, prevalentemente gotiche.

Ne è un esempio la Cattedrale, nella quale è possibile ammirare le opere di Goya, Tiziano, Raffaello, Van Dick e del Greco, artista che visse per trent’anni in questa città e al quale è stato anche dedicato un museo nella stessa Toledo.

Un altro simbolo di Toledo è l’Alcázar: un’ antica fortezza araba, che poi divenne la residenza reale di Carlo I, quindi Accademia militare. La “ fortezza ” ( dal nome arabo al-qasr ) fu danneggiata durante la guerra civile e venne fatta ricostruire da Franco per ospitare il museo militare, ancora oggi esistente.

Meritano attenzione anche la piazza che ospita la cattedrale, Plaza del Ayuntamiento; la Mezquita del Cristo de la Luz ( un’antica moschea convertita in chiesa ) e la Sinagoga del Tránsito.

Il modo migliore per concludere la visita a Toledo è sicuramente entrare nella Iglesia de San Ildefonso: una chiesa gesuita dalle cui torri, accessibili attraverso delle vertiginose rampe di scale, è possibile godere di uno spettacolare ed indimenticabile panorama della “ città delle tre religioni ”.

Una serata sotto casa

L’arrivo in questa nuova realtà è stato a dir poco travolgente. Le prime cose che ho notato, e inizialmente sentito come estranee sono le dimensioni impressionanti di Londra e l’apparente inesistenza di un “centro”. Apparente perché in effetti, a parte il “centro turistico” di Westminster & co, ci sono decine, se non centinaia di “centro-città” a sé stanti, con identità e atmosfere differenti.

Io vivo in Bow, nell’East End, zona storicamente piuttosto povera, che adesso sta (lentamente) risalendo il mercato grazie alle recenti olimpiadi e ad una serie di discutibili manovre di riqualificazione edilizia e sociale portate avanti a partire dagli anni ’70-’80 dalla famigerata Lady di Ferro. Questa zona è uno dei centri più spiccatamente multiculturali di Londra: procedendo a est della City i vari Starbucks, Subway, Costa, Café Nero etc. lasciano gradualmente posto a negozietti di pietanze indiane, arabe, pakistane. Passando per l’immenso mercato di strada di Whitechapel Road e di fronte alla Moschea di East London si attraversa una delle zone meno battute da turisti, che è ricchissima di gallerie d’arte e chicche di ogni genere nascoste nelle vie più piccole.

Per farvi un esempio venerdì sera io e il coinquilino britannico non avevamo voglia di arrivare alle zone di vita notturna e siamo scesi sotto casa per passare la serata al café Muxima che di tanto in tanto organizza piccoli concerti ed esposizioni. L’atmosfera al nostro arrivo è estremamente rilassata, il locale, accogliente e abbastanza piccolo è popolato da una trentina di persone, che sorseggiando cocktails, birre e vino, chiacchierando tra loro. L’ambiente è ricavato da uno dei pochissimi spazi industriali rimasti intatti nella zona e alle pareti grezze dipinte di bianco sono appesi pupazzetti, specchi un po’ rovinati e mensole ricavate da bancali. Anche il Bar è un bancale riassemblato. Una serie di divani, poltrone e tavolini visibilmente rimediati qua e là formano dei piccoli salotti negli angoli.

Prima che gli Eclectiv inizino la loro esibizione scambio quattro chiacchiere con Lewis, che scopro poi essere la supporting act. Purtroppo sono arrivato tardi e ha già suonato, ma suonerà di nuovo in giro per Londra, e mi riprometto di andarla a sentire quanto prima.

Ma torniamo agli Eclectiv: sono in cinque (voce, chitarra, batteria, viola, clarinetto alternato a pianoforte). Spaziano dal jazz, al folk, con qualche nota di bossa. Il risultato è piuttosto interessante, e, nonostante l’impianto audio da brividi e qualche momento di sconcerto dovuto alla scomparsa alternata di suoni (sempre dovuta all’impianto agghiacciante), la musica è godibile e avvolgente. La voce morbida e ricca è perfetta per accompagnarsi ai fraseggi pungenti del clarinetto. Una peculiarità molto interessante è l’uso della viola, che in più di un brano è pizzicata e svolge la funzione del basso andando ad accompagnare le melodie. Spesso in situazioni derivate dal folk gli archi fanno la parte del leone aggiudicandosi parti soliste: in questo caso non è così e il risultato è ottimo.

Un altro elemento estremamente gradevole degli Eclectiv è l’intesa visibile, la scioltezza che mostrano nel rapporto con il pubblico: non c’è nulla di sopra le righe e allo stesso tempo non c’è la minima traccia di imbarazzo. Anche quando l’impianto audio fa del suo peggio scherzano, sorridono, e trovano un modo per farsi sentire.

Alla fine dell’esibizione riprende il chiacchiericcio, e in una delle zone con meno cose da fare di Londra si aspetta il DJ Set di chiusura, sorseggiando birra e parlando con le persone attorno. Niente male.

[Una serata degli Eclectiv al Café Muxima, video]

 

Prima gita fuori porta: San Lorenzo de El Escorial e Valle de los Caídos

Decidendo di sfidare il sonno e la pioggia ( sì, perché a Madrid piove gente e anche tanto! ),  io e altri tre coraggiosi Erasmus, invece di trascorrere un altro weekend in pantofole e pigiama, ci siamo svegliati di buon ora e siamo partiti alla volta dell’ Escorial.

Si tratta di un paesino in montagna a nord ovest di Madrid, in cui si trova il Real Monasterio de San Lorenzo, un meraviglioso palazzo monastero che è stato dimora dei reali spagnoli a partire dal regno di Filippo II e che dal 1984 è diventato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

L’edificio di questo palazzo è immenso ed è stato demolito e ricostruito più volte per poter ospitare i giardini, la basilica e il monumentale pantheon, con le tombe di principi e re dei casati degli Asburgo e dei Borbone.

Nelle stanze del palazzo è possibile inoltre visitare la Real Biblioteca, chiamata anche  la Escurialense o la Laurentina, oltre che ammirare l’importante collezione di arazzi e dipinti degli artisti più famosi dell’epoca, persino quelle di Tiziano e del Tintoretto!

La visita è stata lunga ed interessante, ma abbiamo dovuto soffermarci meno tempo del dovuto, perché subito dopo pranzo ci aspettava il pullman che ci avrebbe portati al Valle de los Caídos: il monumento più controverso che mi sia capitato di visitare!

Voluto da Francisco Franco per celebrare i caduti della Falange spagnola durante la guerra civile ( tra questi spicca la figura del dittatore degli anni ’20 José Antonio de Rivera ), divenne poi, per decisione dello stesso caudillo,  un monumento per ricordare i morti dei due opposti schieramenti.

La costruzione della basilica, interamente ricavata dalla roccia di una montagna, si è protratta dal 1940 al 1957, anno in cui divenne patrimonio nazionale spagnolo e, successivamente, venne consacrata nel 1960 da Giovanni XXIII come basilica minore.

Sinceramente non ero a conoscenza dell’esistenza di questo monumento. Sono contenta di averlo visitato, anche se ne sono uscita un po’ stupita e un po’ spaventata: ancora oggi ci sono fiori freschi sulle tombe di Franco e di Rivera e il 20 novembre ( anniversario della morte di Franco ) i nostalgici del franchismo si riuniscono per ricordare il dittatore spagnolo.

Devo ammettere che anch’io, così lontana da questa ideologia e da qualsiasi ideologia ad essa affine, sono rimasta impressionata dall’imponenza della struttura e dalle inquietanti e colossali statue di bronzo: all’entrata si trovano infatti due statue di otto metri raffiguranti due angeli armati di spade e ad abbracciare l’altare con le tombe dei due dittatori spagnoli, le statue di quattro arcangeli guerrieri,  quasi come severi guardiani di un luogo solenne, da contemplare con timore reverenziale.

Per non parlare della croce di centocinquanta metri d’altezza e quarantasei di larghezza, che svetta sopra la basilica: la più grande croce cristiana esistente al mondo!

Ho lasciato questo tempio franchista con mille domande e mille considerazioni che riportano alla mente questioni storiche, politiche e religiose talvolta così lontane, altre ancora così tanto attuali.

Lo scopo principale della visita per me era conoscere. E questo implica sicuramente il fatto di trovarsi di fronte a qualcosa che la maggior parte di noi vorrebbe dimenticare; ma che invece, proprio per quello che ha significato ed implicato, va ricordato. E questo l’ho voluto fare strappando qualche foto: per ricordarmi di questa esperienza, che sicuramente ricorderò per tutta la vita, ma che credo di non ripetere mai più.

¡De tapas en todo el mundo sin salir de Lavapiés!

“ Mangiare tapas in tutto il mondo senza uscire da Lavapiés! ”.

È questo lo slogan adottato dagli organizzatori del Tapapiés: un’ iniziativa già sperimentata l’anno scorso, che unisce la tradizione spagnola delle tapas alla caratteristica peculiare del quartiere di Lavapiés, la multiculturalità.

Quest’anno ognuno dei  47 locali partecipanti ( l’anno scorso erano 31! ) ha proposto una tapa alla modica cifra di un euro, con la possibilità di aggiungere, con un euro in più, una bottiglietta da 20 cl di birra Estrella Damn, sponsor del Tapapiés.

Le tapas erano più degli assaggi, ma io e i miei amici abbiamo trovato l’iniziativa così originale e divertente, che alla fine ne siamo usciti tutti sazi e soddisfatti!

Purtroppo non siamo stati tra i fortunati che nei primi giorni sono riusciti ad aggiudicarsi la mappa con indicati tutti i locali con le corrispettive tapas, né tantomeno le tesserine con i codici per votare la tapa migliore: sì, perché delle 56 tapas, di cui 23 di nazionalità diverse e 15 di province spagnole,  alla fine sarà eletto un vincitore!

Ancora non si sa quale sia stato il locale con la tapa più votata di quest’anno;  l’anno scorso ha vinto La Otra Casa, con la sua specialità Doblez De Berenjena.

A me è piaciuta molto la Ovni Noruego, del locale La Inquilina: una tartina di salmone affumicato, formaggio cremoso con noci, salsa di soia e sesamo!

Link:

sito iniziativa: www.tapapies.com

edizione 2012: http://www.tapapies.com/template2012/plano.pdf

edizione 2011: http://www.tapapies.com/index2011.jsp