THE LAST DAYS IN LOIYANGALANI

Giovedì 7 febbraio 2013

Jambo to everybody !

Scrivo questa ennesima pagina di diario durante questa tanto calda e tanto ventosa mattinata di febbraio, qui nella missione cattolica dello Loiyangalani, Lago Turkana.

Tanti sono i giorni passati senza sporcare d’inchiostro queste candide pagine ed altrettanto tante sono le esperienze vissute.

Prima di tutto però voglio ringraziare di cuore tutti voi che mi avete scritto con generosità e con sentita vicinanza riguardo alla oramai passata vicenda.

Voglio dire che io sto bene e la vita qui è già dura così che non posso permettermi il lusso di pensare oltre al dovuto alla cosa, volente o nolente ce ne si fa una ragione, come qualcuno mi ha consigliato di fare, ci si rimbocca le maniche e si va avanti.

Quindi grazie nuovamente ancora a tutti quanti, in particolar modo a don Maurilio per le importanti parole spese.

Venendo a noi, tanti i giorni passati senza aggiornare il blog, complice inizialmente il forte vento a cui anche le più vetuste palme inchinano il capo, capace di cancellare quel poco di network che si riesce a ricevere ed in seconda battuta il viaggio a Maralal.

Domenica sera intorno alle 22:30, Fr. Andrew mi invita scendere con lui, Scolastica e Nawapa a Maralal per il giorno seguente.

Sveglia ore 5:00, partenza prevista ore 6:00.

Mi ritrovo dunque al mattino presto a settare il progetto per la mia assenza d’un giorno.

In cucina verso le 5:30 parlo con Joseph per chiedergli di dare giusto un’occhio, in special modo al livello dell’acqua del container, accetta volentieri.

Ci si ritrova tutti quanti sorseggiando una tazza di caffe caldo intorno alla jeep, finendo di caricare le ultime cose.

Mi meraviglio nel vedere Nawapa e Scola, puri africani 100%, portare per un giorno uno zainetto col cambio d’abiti mentre io nel mio marsupio avevo appallottolato la mia unica maglietta rimasta.

Ore 6:30: partenza per Maralal.

Km da percorrere 220, tempo stimato 7 ore, tempo impiegato 10 ore.

3 ore in più in Africa non sono uno scherzo si fanno sentire e come.

3 i pneumatici bucati uno dopo l’altro, i primi due in mezzo alla savana ed il terzo, fortunatamente poichè avevamo finito le ruote di scorta, in un piccolo villaggio chiamato Marti.

Tempo di riparazione di un copertone con camera d’aria incorporata, 2 ore.

L’africa è un po’ come l’ospedale in Italia, sai quando entri ma non sai quando esci e così viaggiare in Africa, sai quando parti ma non sai quando arrivi.

Ogni piccola cosa in Africa può diventare un piccolo spettacolo.

Io, bianco e 3 africani con una jeep, nel bel mezzo di questo villaggio.

Villaggio che si potrebbe descrivere facilmente rievocando quei vecchi film western, in cui vicino al saloon, rotola una balla di fieno accompagnata da nuvole di polvere marrone che si sperdono sopra le teste degli spettatori che attendono desiderosi il tocco della campana per il mortale duello a fuoco.

Ecco così si presenta Marti, un’unica via centrale, il centro del paese per l’appunto, dove osano passare gli arditi avventurieri, al cui fianco sorgono piccoli negozietti dai muri dipinti con vivaci vernici, dal rosso, all’arancio, al giallo, al verde, col nome del locale e dei prodotti venduti, al di fuori piccole e strette panchette di legno sverniciate accolgono i più anziani del villaggio oppure chi come noi deve aspettare la tanto attesa riparazione di una gomma “questa è l’Africa” mi dice Fr. Andrew col suo tipico sorriso.

In pochi minuti veniamo circondati da molti bambini, usciti proprio in quei minuti dalla primary school che curiosi salutano col loro inconfondibile “Helllloooooooo” per poi chiederci caramelle o scellini.

Dopo la lunga attesa e dopo esser stati oggetto di curiosità dei più piccoli, solitamente poi, arriva la persona più autorevole e volenterosa del villaggio che dopo aver nutrito la sua forte curiosità sul nostro viaggio, domanda se abbiamo bisogno d’aiuto.

Da qui inizia una lenta processione di passaparola riguardo agli attrezzi necessari per riparare la ruota della jeep, chiamare il più esperto in materia con al seguito i suoi aiutanti, sotto, banale oramai dirlo, l’infuocato sole di mezzogiorno ed un vento fortissimo che ti manda quella finissima polvere sollevata nel paesino giù fino a saturare l’ultimo bronchiolo libero rimasto.

Intorno a noi ed alla jeep ci sono circa 15-20 persone, tutte ad assistere a questa maestosa opera di riparazione.

L’attrezzatura usata è veramente semplice, una specie di piè di porco, un asta cilindrica di circa un metro, una pompa da bicicletta, un sasso raccolto al momento, colla ed il mio coltellino svizzero.

Dopo la lunga attesa e cooperazione, è il momento di ripartire.

Occorre precisare che le strade, se così vogliamo chiamarle, sono veramente brutte in questa parte del Kenya, ricche di sassi e rocce di tutte le dimensioni possibili, buche, avvallamenti, canyon in caduta libera a due passi dal bordo, letti di fiumi in secca, ponticelli semiceduti, salite rocciose che mettono a dura prova la concentrazione  e l’abilità di climber di Fr. Andrew, soprattutto quando al rientro da Maralal abbiamo optato per la shortcut passando attraverso le alte e fredde vette dei monti adiacenti il paese che sorge a circa 2100 m.

Verso le 16:00 arriviamo nel cuore di Maralal, una graziosa cittadina, dal clima mite, ricca di vegetazione, verdura, frutta, capre, mucche, asini, galline, servita da corrente elettrica e da un buon segnale network.

Le abitazioni sono in cemento e mattoni, lontane sono le gialle magnatte del lago Turkana, simili a palle leggermente ovali radicate sulle roventi rocce.

Maralal, possiede banche e tutti i servizi necessari per una vita dignitosa, certo le strade anche qui non sono asfaltate e devi fare lo slalom tra grandi buche e alti dossi di terra, nonchè animali e pedoni che camminano tranquillamente sulla mezzadria.

Questo paesaggio non può che non farmi richiamare alla memoria le strade periferiche di New Delhi, nelle quali vacche, scimmie e pedoni si uniscono ingorgando le vie indiane.

Qui, si possono vedere i pastori della tribù Samburu, imbellettati con le loro collane dalle colorate perline, dalla preziosa ed elaborata capigliatura andare in bicicletta parlando al cellulare, donne Turkana, dalle pesanti collane colorate, trasportare grandi pesi sulla testa ed i Kikuio, vestiti più all’europea, fiutare i possibili affari nel centro della cittadina.

Dopo esserci fermati a mangiare della gallina arrosto e del chapati, entriamo nel Pastoral Center della Consolata, dove troviamo ad attenderci il padre missionario Masino, piemontese d.o.c.

Persona poliedrica, sanguigna, intelligente intrattenitore, amante di Guccini e profondo ammiratore di Don Milani.

Ci fermiamo una buona oretta a parlare del viaggio e cosi via, ci diamo appuntamento a più tardi per la sobria cena.

Visibilmente stanchi dal viaggio, ognuno di noi si dirige nella rispettiva stanza per riposare, io mi fermo qualche minuto a parlare con lui, nel suo ufficio, gustando con piacevole sorpresa la sintonia intellettuale che si instaura. Parliamo un po’ di tutto dalla politica italiana e delle imminenti elezioni politiche alla Divina Commedia ai progetti d’aiuto umanitario in corso.

Verso le 22:30 mi ritiro.

Martedì 5 febbraio

Da tanto non sentivo quel piacevole fresco che accompagna la notte ed il suo dolce sonno, cosi come il farsi una doccia con acqua calda per allontanare il freddo mattutino dal corpo.

L’avevo dimenticata, la sensazione del freddo.

Dopo colazione, Fr. Masino, mi invita ad accompagnarlo a promuovere alla radio locale SERIAN 88.9 fm, la nuova apertura del negozio di gelato e pane.

Ho sentito bene ? GELATO ?!

Ebbene si, dopo un primo momento di sbigottimento chiedo maggiori informazioni e mi accompagna, all’interno della missione, nel laboratorio del gelato, incredibile, davanti ai miei occhi si presentano due grossi freezer professionali, un mantecatore ed un pastorizzatore, con scatole di coni, coppette, palette ed attaccate sui muri varie ricette.

Domando ai due ragazzi e alle due ragazze, gelatai d.o.c., dopo aver seguito un corso su come fare il vero gelato italiano, se c’è del gelato da assaggiare, tenendo aperta la porta del freezer fanno uscire 6 cilindrotti metallici contenenti gelato al gusto:

  1. cioccolato
  2. limone
  3. mango
  4. ananas
  5. latte
  6. banana

Condividiamo tutti insieme la gioia di un bel cono con ottimo gelato italiano ma dai gusti africani.

Dopo aver fatto la promozione alla radio, scendo in città perché voglio vedere di persona il negozio, semplice, ordinato e pulito, incontro all’interno gli stessi ragazzi del laboratorio, faccio un altro assaggio, ma questa volta ho da attendere, c’è una lunga fila di golosi clienti fuori dal negozio.

Pensare di mangiare ottimo gelato italiano a Maralal, per chi non lo vede coi propri occhi può sembrare fantascientifico.

Questo è l’ennesimo progetto giovanile andato a segno con successo da padre Masino, complimenti.

Dall’altro fronte padre Andrew non conclude i suoi affari per un problema causato dai computer nella kcbank, la jeep nel frattempo è in manutenzione nel garage della Consolata.

Nel pomeriggio arriva la notizia che la jeep richiede più tempo di quanto previsto per le necessarie riparazioni e controlli, si decide dunque di rimanere un’altra notte.

Padre Giorgio, di origine colombiana ci invita a visitare le sue due green house, ed il suo ricco e tropicale orto, si trova di tutto dentro, sembra il giardino dell’Eden.

Secolari piante di banana, mango, papaia, avocado, piante di pomodori, sukumawiki, parimenti alle nostre coste, piante di peperoncino rosso, piante di tabacco, piante di arance e possiede perfino un pesco.

Scatto qualche foto ricordo.

La sera mi ritrovo con entrambi i padri a parlare dei progetti che decidiamo di portare avanti insieme: quello della torcia a ricarica elettrica tramite piccoli pannelli solari ed il progetto delle capre da latte.

Il mattino successivo mercoledì 6, dopo aver atteso le numerose saldature eseguite per sostenere il supporto di una delle sospensioni ed il cestello della batteria ed aver mangiato un gustoso cono gelato per pranzo, verso le 14:00, partiamo per lo Loiyangalani.

Portiamo con noi verdure, frutta, acqua, quintali di mais per la nursery school di sister Agostinella e per Nicolas, un ragazzo che a presto diventerà seminarista e che sta dedicando i suoi giorni nel miserrimo villaggio di Sarima, poco distante dallo Loiyangalani.

Mi confida che l’acqua proveniente dal pozzo scavato da una ong è di cattiva qualità, è salata, molti si stanno ammalando nel villaggio, forse la causa è da ricercarsi proprio nella composizione dell’acqua.

Ne porterò un campione a Nairobi per farlo analizzare ed insieme a padre Andrew ne seguiremo gli sviluppi.

Viaggiamo per ore ed ore, tanti i paesaggi che cambiano davanti al potente motore Toyota, un 4200 cc, che ci permette di affrontare, quasi per la maggior parte del percorso, serenamente i ripidi ed assai accidentati pendii e gli scoscesi canyons.

Incontriamo bara bara, strada facendo, il vescovo di Maralal, Virgilio Pante, trentino d.o.c., insieme a Paolo, un giovane ragazzo di Cuneo, che dopo essersi diplomato geometra, ha deciso di partire per aiutare chi è meno fortunato di noi.

Ragazzo assai intelligente e determinato, un vero piacere la sua conoscenza.

Arriviamo a South Horr, dove ritiriamo le uniforms per sister Agostinella, intorno le 20:00 per arrivare a Sarima verso le 21:30, dove troviamo Nicolas, seduto fuori dalla scuola-chiesa ad attenderci. Gli consegniamo verdure, frutta ed acqua di buona qualità.

Ci sgranchiamo, quel tanto che serve, le membra, ripulendoci con stracci trovati al momento le nostre facce, cambiate di colore per l’abbondante terra alzata dal fortissimo e caldissimo vento.

Viaggi del genere mettono a dura prova la mente ed il fisico.

Giungiamo finalmente in missione verso le 22:30.

Si cena tutti insieme a base di nalpash, l’ottimo pesce del lago Turkana, patate e carote, sapientemente cucinate da Joseph.

Ognuno si ritira nella sua branda e penso per chi ci avesse visto in quel momento, più che corpi umani apparivamo come zombie.

Nessuno di noi riuscì a riposare quella notte.

Progetto

Il progetto dei pomodori, è attivo, le piante sono verdi e rigogliose, ma i frutti tardano ad arrivare.

Sarebbe il momento dell’impollinazione dei fiori, ora, ad opera delle api, ma col forte vento sono rare. Attendo che la natura faccia il suo corso.

Ben maggiore soddisfazione mi sta dando la piccola shamba ossia il piccolo orto, coltivato con sister Guendalina, prima che si rompesse il femore cadendo dal letto, intorno a metà Novembre.

Si tratta di circa 3 m^2 di terreno, ben concimato con bolea, lo sterco di capra.

Piante di basilico, bietola, coste e cetrioli, hanno già dato i frutti, mentre la zucca sta fiorendo in questi giorni.

Così come, l’orto del padre, che abbiamo coltivato a cetrioli, watermelons, zucche, cetrioli stanno dando, positivamente, i frutti.

Questa mattina, venerdi 8 febbraio, abbiamo piantato piante di mango, papaia e guava, ci sono state generosamente regalate da padre Giorgio in Maralal.

Speriamo in bene, “hoc est in votis”.

Gabriele from Loiyangalani

3 pensieri su “THE LAST DAYS IN LOIYANGALANI

  1. Bravo Lele!
    Leggo le tue parole, chiudo gli occhi e mi sembra di essere lì con te.
    Sono contento che stia andando tutto bene, e che abbia superato l’infelice episodio di qualche tempo fa.
    Continua così, ti siamo tutti vicini!
    Un abbraccio forte.

    Simone

  2. Ciao Lele,
    sono contenta che ti sia ripreso. Complimenti per la bella descrizione di questo tuo nuovo viaggio. Siamo tutti con te, un abbraccio Mary

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