Chiuso in casa

Ebbene sì. Anche qui ce l’ho fatta a chiudermi in casa per qualche settimana per recuperare il tempo passato e perduto in vista degli esami, alcuni già affrontati, altri che si avvicinano. L’unica variante, o se si vuole l’unico svago, alle mura dell’appartamento per qualche giorno è stata l’affollata biblioteca della facoltà.

Così da qualche settimana son state poche le occasioni di vivere la vita di Malaga: giusto per accorgemi che le vie del centro sono meno affollate del solito, sarà il “freddo” o il periodo di esami; che in qualche periodo dell’anno nel Guadalmedina, il fiume che passa per la città, si può vedere l’acqua scorrere, così raro che non a  caso viene chiamato “rio seco”; o essere sorpreso da una pioggia fitta, chiedere un passaggio verso casa ad una signora e ascoltarla lamentarsi per tutto il tragitto del clima e del freddo, mentre i vetri si appannano senza che lei riesca ad impedirlo: “es una locura!”. “E’ un’assurdità, con questa pioggia e questo freddo non si può lavorare!”  dice lei. Fuori intanto 15 gradi.

Quindi mentre fuori la vita continua è arrivato finalmente anche il tempo di piegare la testa sui libri. Perchè l’Erasmus fortunatamente e giustamente non è una vacanza. E’ o quanto meno può essere un esperienza fantastica, sicuramente importante per la propria crescita e per confrontarsi con sè stessi, comunque vada. Si può decidere di condurla in modi diversi: spesso da queste parti può tentare la cultura del “No pasa nada, estoy en Erasmus”. Che fondamentalmente significa: non fa niente, non importa, sono in Erasmus e mi godo la vita, quella più facile diciamo. Il rischio in effetti c’è: tanti ragazzi da tutto il mondo, tante occasioni di divertimento, tante feste a casa di persone che non hai mai visto prima. O qualche distrazione spiritualmente più alta: tante cose nuove da scoprire e conoscere, vivendo una vita e un paese che non è il tuo. Così alla fine la vittima può essere quello per cui teoricamente sei partito: lo studio.

Ora io non mi metto tra gli studenti modello, anzi ne sono ben lontano. Diciamo che tiro a campare, vado avanti senza troppa gloria, ma vado avanti, E così anche qui: di certo non sono finanziato nè dall’Unione Europea nè dall’Università Insubria e ancor meno dai miei genitori per fare un anno di vacanza. Pertanto cerco di fare il mio dovere e di non allungare  quella che è la già  lunga carriera  dello studente di medicina.

Ciò nonostante penso ancor più di quello che già faccio normalmente: come sarebbe meglio impiegare il mio tempo? Domanda che non avrà mai risposta lo so, suppongo non esista. Ma quello che intendo è in questo caso: ho la fortuna di trovarmi in un paese  che non è il mio, di conoscere molte persone con le loro storie tutte diverse, di vedere paesaggi mai visti, di vivere atmosfere, situazioni e culture sconosciute. E’ mio dovere, oltre a quello vero che è lo studio, sfruttare questa occasione? Di certo penso vorrebbe dire sprecarla se mantenessi tutte le stesse abitudini che ho a casa. Da un lato si può pensare: non importa se ci metto un anno di più a finire l’università, avrò molto tempo da dedicare al lavoro, sfruttiamo quest’occasione che non mi capiterà più. Dall’altra: sono fortunato, non ho avuto bisogno di lavorare grazie alle condizioni di benessere in cui vivo e che qualcuno attraverso sacrifici mi ha dato, giusto è che io ripaghi adempiendo all’unico dovere che ho senza perdere tempo e mi renda utile anch’io in questo mondo.

In questi mesi ho visto studenti Erasmus che hanno deciso deliberatamente di vivere quest’anno a Malaga come un anno di vita extrascolastica, chiamiamola così, mentre altri chiusi in casa o perennemente in biblioteca ligi al proprio dovere di studente.

Forse la soluzione sta nel mezzo, come spesso accade. Le due cose, con un minimo di intelligenza e con qualche rinuncia, possono coesistere. Nel frattempo sacrifico ancora per qualche giorno il caffè per le vie del centro con gli amici per rimanere sugli amati libri, facendo qualche passo verso il mio futuro, si suppone, di medico.