Se amate la birra e soprattutto frequentate il suo mondo, vi sarete accorti che nelle ultime settimane si è sollevata una protesta piuttosto vibrante da parte dei produttori – e di conseguenza dei bevitori – a causa della decisione governativa che aumenta le accise su questa bevanda. Una crescita che porterà inevitabilmente o a un aumento di prezzo o a una diminuzione di margine per i produttori che, nel caso della galassia dei microbirrifici, è comunque un provvedimento fastidioso.
Per avere un’idea di quanto avverrà da oggi, abbiamo sentito Pietro Di Pilato del lodigiano Brewist, birrificio giovane e in espansione (ve ne abbiamo parlato qui), che nei giorni scorsi per protestare ha appeso fuori dallo stabilimento di Codogno un cartello eloquente che vedete nella foto qui sopra.
I NUMERI – Innanzitutto vediamo quali sono i numeri di cui stiamo parlando. Fino a ora l’accisa era calcolata ad ettolitro moltiplicando l’aliquota di 2,35 con il grado plato della birra in produzione (la quantità di zuccheri presente nel mosto prima della fermentazione). Ora l’aliquota passa a 2,66 con un aumento del 13% per finanziare il recente “decreto cultura” ma secondo quanto trapela questo valore arriverà sino a 2,98 entro gennaio 2015. In questo caso la birra potrebbe finanziare il “decreto scuola”, secondo le voci che si rincorrono. Tutto questo mentre l’Iva è appena cresciuta di un punto percentuale, arrivando a quota 22% come per tante altre produzioni.
SCORRETTEZZE – Due, in particolare, le cose che lo fanno arrabbiare. «Anzitutto in Italia, a differenza degli altri Paesi, non esiste un meccanismo a scalare che tuteli i piccoli produttori: l’aliquota è la stessa sia per un microbirrificio sia per una grande industria del settore. E poi si va sempre a colpire gli stessi settori: pensate che il vino non è sottoposto ad accisa e anche questa volta la fa franca. Basterebbe un’accisa minima, vista la maggiore gradazione dei vini rispetto alle birre (nella maggior parte dei casi), per recuperare quei fondi che invece vengono erosi al settore brassicolo». E secondo gli operatori, la “scusa” della tradizione vitivinicola non regge: «In Francia i produttori pagano l’accisa anche sui vini, qui no».
AL CONSUMATORE – Di Pilato (nella foto) è chiaro nello spiegare una cosa: «L’aumento dell’accisa, in sé, causa una crescita diretta molto ridotta del prezzo della birra, perché incide per pochi centesimi. Però è l’ennesimo costo aggiuntivo di cui qualcuno si deve fare carico, così come per l’Iva. Sul singolo litro di birra il ricarico non si dovrebbe sentire, ma cumulare questi aumenti può portare alla crescita dei prezzi al dettaglio. Secondo voi, quando ci sarà da fare un aumento, il litro di birra crescerà di pochi centesimi o di mezzo euro per volta? Tutto ciò potrebbe portare a una contrazione della domanda, cosa che si rifletterà su un settore che, per quanto popolato di piccoli produttori, in questi anni ha mostrato una crescita vivace e interessante. Poi potremmo anche discutere sul modo di spendere questi soldi, perché il decreto “Cultura” lascia tanti interrogativi, ma ovviamente qui si va su un discorso molto più ampio».Di Pilato (nella foto) parla apertamente di scorrettezze da parte dello Stato.
DIBATTITO E PETIZIONI – Nel frattempo il dibattito in rete e negli ambienti brassicoli si è infittito. Questo bell’articolo pubblicato su “Cronache di Birra” spiega perché sulla vicenda siano nate tre petizioni on line promosse rispettivamente da Assobirra (la “Confindustria” del settore, che comprende i grandi marchi: il presidente è Alberto Frausin della “nostra” Carslberg-Poretti), da Unionbirrai (che raduna i microbirrifici) e da Giovanni Puglisi. Assobirra ha anche creato una campagna e un sito ad hoc, “Salva la tua birra” per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica.
Una scelta che – come sottolinea il già citato pezzo di CdB – da un lato unisce e dall’altro frammenta ancora di più il panorama birrario nazionale. Le parole di Agostino Arioli (una delle voci più autorevoli) nella sua lettera intitolata “Sassolini nelle scarpe” pubblicata sulla pagina Facebook del Birrificio Italiano sono significative: da un lato c’è la necessità, in questo caso, di affiancare i grandi gruppi nella battaglia sulle accise, dall’altro però la rivendicazione di un lavoro – quello dei piccoli produttori – differente rispetto alle multinazionali. E anche Agostino (foto) punta il dito sulla mancanza della tassazione a scaglioni, quale “peccato originale” della tassazione in vigore.