All’improvviso, in tutto il mondo, si è tornati a utilizzare il termine “trappista”. Il motivo è semplice e riguarda l’importantissima scoperta scientifica annunciata dalla Nasa, secondo la quale una stella lontana 80 anni luce dalla Terra avrebbe attorno a sé sette pianeti con condizioni di temperatura e luce simili al nostro, e per questo motivo potrebbero conservare riserve di acqua (e quindi di vita, per come la intendiamo noi umani).
La stella in questione – una “nana rossa” – si chiama per l’appunto “Trappist-1”, perché è stata scoperta utilizzando un telescopio chiamato “TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescope–south”. Nulla a che vedere direttamente con la birra o con i monaci trappisti, anche se il fatto che dietro a questo delicato strumento ci sia anche l’Università di Liegi ci fa sospettare che gli scienziati abbiano comunque in qualche modo omaggiare uno dei prodotti alimentari più famosi del proprio Paese.
Benvenuta quindi Trappist-1, grazie alla quale cogliamo l’occasione per ricordare quale sia il corretto uso dell’aggettivo “trappista” in campo birrario e non solo, visto che spesso si utilizza questo termine con un’accezione troppo ampia.
Innanzitutto per “trappisti” si intendono i monaci cistercensi della stretta osservanza, ordine che segue – lo dice il nome – un’applicazione piuttosto severa della Regola di San Benedetto tant’è vero che nel corso dei secoli si sono differenziati dai cistercensi “semplici”. Tradizionalmente, anche per sostenere i propri monasteri, i trappisti si sono dedicati all’agricoltura e al confezionamento di prodotti alimentari, alcuni dei quali – a partire dalle birre – sono diventati alquanto famosi.
LE BIRRE TRAPPISTE
Quando però parliamo di birre trappiste non ci riferiamo a tutte quelle genericamente prodotte all’interno di un’abbazia, belga o di altre nazioni. I soli prodotti che possono fregiarsi di questo termine sono, appunto, quelli dei monaci cistercensi di stretta osservanza, devono rispettare una serie di regole e ricevono il marchio di “Authentic trappist product” sintetizzato nel famoso (per chi beve birra…) fregio a forma di esagono gestito dall’ITA, l’associazione internazionale trappista.
Per ottenere il marchio esagonale (utilizzato anche per formaggi, vini e altri prodotti), un’abbazia cistercense di stretta osservanza deve
– Produrre la birra all’interno delle mura del monastero, con i monaci che devono lavorare alla produzione o almeno sovrintendere alle operazioni (sono ammessi quindi birrai laici, alle dipendenze dei monaci).
– Produzione, scelta dei processi produttivi e orientamento commerciale devono dipendere dalla comunità monastica e devono essere subordinate al monastero (la birra non dev’essere la principale attività).
– I ricavi della produzione di birra devono essere diretti al sostentamento dei monaci (e del monastero) oppure avere finalità sociali e caritatevoli o destinate a persone in difficoltà.
Tra tutte le comunità trappiste sparse nel mondo, soltanto venti aderiscono all’ITA. Di queste se ne contano dodici autorizzate a produrre birra anche se alcune hanno ottenuto questa possibilità solo di recente.
I BIRRIFICI AUTORIZZATI
Le birre trappiste più note, antiche e diffuse sono quelle dei sei monasteri del Belgio: in ordine alfabetico si tratta di Achel, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren. A queste si è prima aggiunta l’olandese La Trappe e, in tempi più recenti l’austriaca Engelszell, l’olandese Zundert, la statunitense Spencer e un’abbazia italiana, quella di Tre Fontane a Roma (ne abbiamo parlato QUI). La comunità monastica francese di Mont des Cats “firma” invece una propria birra che viene prodotta da Chimay.
Per concludere, è bene specificare un’ulteriore informazione: il termine “birra trappista” (come del resto “birra d’abbazia”) non indica uno stile birrario preciso. Diverse birre trappiste, per ragioni storiche, sono particolarmente alcoliche e hanno diversi tratti comuni, ma spaziano tra vari stili. Ci sono birrifici che commercializzano diverse specialità (Chimay, per esempio, ne distribuisce quattro, a partire dalla “Dorée” che ha una gradazione di solo 4,8%), altri come Orval che si dedicano a una sola birra (e che birra!), altri ancora (come Westvleteren) che producono più tipi di birra ma ne mettono in commercio al pubblico uno soltanto. Però, lo ripetiamo, parlare di “Birra Trappista” non significa identificare uno stile univoco.
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Mmm ho sempre utilizzato il termine in maniera impropria… ora cerchero’ di essere scientifica!!! 😉 Ma teoricamente in Italia oltre a 3 Fontane ci potrebbero essere altri monasteri che hanno i requisiti per produrre birra trappista e che semplicemente non hanno aderito a ITA?