Diego, l’unico italiano nel “sancta sanctorum” della mitica HB di Monaco

Viaggiare verso la Baviera per partecipare all’Oktoberfest è una cosa comune a tanti italiani (vale anche per chi scrive su Malto Gradimento…). Per tutti, o quasi, la partecipazione alla grande festa monacense è fine a se stessa: birra, divertimento e quindi ritorno alla vita quotidiana. Ma c’è anche chi, all’Oktoberfest, ha trovato la vocazione: non parliamo di sacerdozio ma di scelta professionale, ciò che è accaduto qualche anno fa al protagonista di questa intervista.

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L’ingresso di una storica birreria nel centro di Monaco, la seconda patria di Diego Bernori

Diego Bernori, veronese di classe 1968, un passato da pallavolista capace di arrivare fino in Serie A, trovò la folgorazione proprio in occasione di un’Oktoberfest di tanti anni fa: si innamorò di Monaco e della birra bavarese a tal punto che divenne il suo lavoro, prima in Italia e poi in Germania. Ciò gli ha permesso di arrivare a sedersi a pieno titolo in un particolare “olimpo” dove sono ammessi pochissimi stranieri, come vedremo. Abbiamo incontrato Diego a Varese nei giorni scorsi, durante una degustazione guidata di birre franconi (Krug) organizzata da “Luppoli e Uva” al “Romagnam” di via Dazio Vecchio. 

diegobernoriDiego, per lei la birra è una passione diventata lavoro. Qual è stato il suo percorso?
«Nel 1988 andai per la prima volta all’Oktoberfest, con mio fratello e i suoi amici, e restai subito colpito da Monaco di Baviera. Sono tornato più volte in città e oltre alla festa ho iniziato a girare per i paesi, a scoprire i birrifici della zona, piccoli o grandi che fossero. Naturalmente, quando decisi di aprire un locale a Verona, volli una birra bavarese di quelle che nessuno aveva: così mi rivolsi ad Auer con cui nacque un legame che dura ancora oggi. Cominciai con il comprare la birra e portarmela in Italia con il furgone, poi l’importazione divenne ufficiale e infine, quando lasciai il bar, iniziai a lavorare per il birrificio stesso. Un rapporto professionale che dura ancora oggi».

Reportage – MG alla Schlossbrauerei Auer – ARTICOLOVIDEOINTERVISTA

In Baviera, oltre a trovare lavoro, ha anche accresciuto la sua preparazione birraria nel modo più “raffinato”.
«È vero: nel 2009 il prestigioso istituto Doemens aprì per la prima volta i corsi di beersommelier in italiano grazie a un docente, Stefan Grauvogl, la cui madre ha origini nel nostro Paese. Fui uno dei primissimi a partecipare e mi si aprì un mondo: gli insegnanti del Doemens sono quasi tutti “ingegneri birrari” con una preparazione mostruosa e sono onorato di aver iniziato a collaborare con loro, dapprima come assistente e poi come docente, proprio nel corso per italiani di cui sono stato pioniere».

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Diego, a destra, impegnato al suo “stammtisch” (con un bicchiere insolitamente piccolo)

Spariamo il pezzo da novanta: lei è l’unico italiano ad avere un posto assegnato a uno dei tavoli della mitica HB, in centro a Monaco. La domanda è ovvia: come ha fatto?
«Faccio parte di uno stammtisch dal 2011 ma l’inizio della storia risale al 2006, quando mi trovavo all’HB con alcuni conoscenti e strinsi amicizia con Ludwig, il più anziano del gruppo e quindi il “capo” del tavolo. Portai loro del vino della Valpolicella e mi invitarono alle riunioni del venerdì, poi mi regalarono un classico boccale di ceramica dandomi la possibilità di riporlo in un armadietto. Infine, appunto nel 2011, a mia insaputa venne votata all’unanimità la possibilità di ammettermi tra i membri dello stammtisch, che si chiama Wuide Rund’n, “Giro Selvaggio”: da allora ho anche la chiave di una delle tradizionali cellette dell’HB dove i clienti abituali possono depositare il loro boccale. Ogni venerdì, salvo impegni pressanti, sono chiamato a partecipare – vestito con il costume tradizionale – alla riunione settimanale: si comincia nel pomeriggio a mangiare, bere, discutere e divertirsi insieme».

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Il castello sede della Auer Brauerei, l’azienda per cui lavora Bernori

Dalla sua postazione privilegiata, ci spifferi qualche nome di birrificio interessante a Monaco.
«Tra i grandi birrifici, solo HB e Augustiner sono oggi autenticamente monacensi e proprio Augustiner propone diverse alternative interessanti. Dalla nuova birreria di fronte al duomo, luogo in cui sorgeva il monastero dove prese il via la storia del marchio, a un altro locale sempre nei pressi del duomo dove la birra è spinata direttamente dalla botti di legno, fino alla birreria interna alla fabbrica, in LanzbergerStrasse. Però, se devo indicare una bella novità, cito Giesinger, l’ultimo nato in città, fondato in uno scantinato e oggi, nei nuovi spazi, divenuto locale di culto con tanto di impianto a vista. E poi, ci sarebbe da parlare di Franconia e dintorni».

Parliamone.
«Beh, chi ama la birra deve prevedere qualche tappa anche in quella regione. Bamberga, innanzitutto, è città vocata alla birra, in particolare quella affumicata, ed è comunque un borgo turistico molto bello. Da lì, spostandosi a Est, si può raggiungere la zona dell’Oberfaltz dove la tradizione dei locali che producono e servono la propria birra è antica e fortissima e dove sono attive ancora le common brauerei, birrifici di uso pubblico. Lì si può scoprire un “vero artigianato”, nel senso che le operazioni sono fatte ancora a mano e per l’ammostamento il fuoco è alimentato a legna o a carbone».

A proposito di artigianato, come giudica il movimento craft italiano?
«Innanzitutto è un bene il fatto che il movimento abbia creato grande curiosità e aumentato la conoscenza del mondo brassicolo a ogni livello. Ci sono diversi birrai molto bravi, soprattutto quelli che hanno avuto l’occasione di migliorare con il tempo e magari di perfezionarsi all’estero, nei luoghi giusti, compresa Monaco. Purtroppo vedo anche molta improvvisazione che porta a commercializzare prodotti non all’altezza, magari poco costanti nel tempo. Ritengo positivo il fatto che si sia arrivati a una legge che metta alcuni punti fermi sulla birra artigianale: ora però credo sia il momento di crescere ancora, lavorando sulla formazione e la professionalità di chi vuole fare il birraio».

Ci lasci con qualche nome italiano che le piace.
«Ripeto, ce ne sono diversi bravi, e non a caso i risultati di molti si vedono anche all’estero. Visto il mio percorso personale e la vicinanza geografica, cito Batzen di Bolzano che anche di recente ha ottenuto una medaglia all’European Beer Star che si è svolto proprio in Baviera». (QUI i risultati degli italiani ndr)

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