Gli agribirrifici: dalla terra al boccale

Chissà come si traduce “Prato Rosso” in giapponese? La domanda ci è venuta spontanea dopo aver ricevuto un paio di giorni fa un comunicato della Coldiretti Lombardia che raccontava l’esperienza di questa piccola azienda di Settala, Pratorosso appunto, che si distingue da altre esperienze artigianali per essere un agribirrificio. Un produttore cioé che non si limita a fare la birra ma che coltiva direttamente l’orzo utilizzato poi come materia prima per birre artigianali.

Pratorosso, di cui non abbiamo  assaggiato i prodotti (bene specificarlo), ha infatti un appezzamento di circa 8 ettari e produce, stando a Coldiretti, circa 70mila litri all’anno molti dei quali (e qui torniamo all’inizio) consumati nel Sol Levante. Tokyo e dintorni sono infatti meta delle spedizioni internazionali di bottigliette evidentemente ben gradite ai “samurai”, o almeno a quelli che frequentano i ristoranti italiani della capitale giapponese, principali clienti del birrificio di Settala.
La “agribirra” non è però prerogativa solo del Pratorosso: la stessa Coldiretti lombarda segnala per esempio l’esperienza condotta nel Pavese dalla Fattoria Oasi e dal Birrificio Rurale che ha sede all’interno della stessa Oasi. Qui si fondono didattica (la fattoria è aperta alle visite degli studenti), agricoltura e tecnica brassicola e a quanto pare da queste parti si fanno le cose per bene visto che la scura Castigamatt (nella foto) è stata premiata come “Birra dell’anno 2011” nella sua categoria.
La panoramica lombarda tocca anche il Mantovano con la Cascina Roveri di Monzambano; nei campi nascono le spighe d’orzo e frumento che si trasformano nella “Rustica”, una birra chiara poco alcoolica (5,5%) da gustare anche sul posto.
E se conoscete altre esperienze di questo tipo non fate i timidi: aspettiamo i vostri racconti.

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