«Preparazione, fantasia, duro lavoro e… tanto freddo: così abbiamo scosso il mondo della birra inglese»

Inglese lento e perfetto, da uno abituato a girare il mondo e parlare con chiunque, barba a incorniciare un viso tondo e rubizzo, battuta pronta in perfetto stile british. Rod Jones ha passato mezza vita a creare e produrre birre che hanno cambiato un panorama fino a quel momento piuttosto piatto, e ora veste con piacere i panni di ambasciatore del marchio Meantime, quello che ha contribuito a far diventare grande.RodJones1
È in questo ruolo che abbiamo avuto l’occasione di incontrare Rod, chiamato a presenziare a un evento organizzato a Gavirate (da Di.Be., azienda che sta per iniziare a distribuire Meantime nel Varesotto) e disponibile a una chiacchierata per Malto Gradimento. Meantime appunto: vale la pena ricordare che il birrificio londinese ha seguito un percorso paragonabile a quello dell’italiana Birra del Borgo. Innovatrice, rivoluzionaria, capofila di un’ondata rilevante nella propria nazione e infine inglobata da una grande azienda del settore (SAB Miller prima, Asahi poi, nel caso di Meantime).

La rubricaGente di Birra

Meantime è stata fondata alla fine degli anni Novanta e in poco tempo ha lasciato un segno profondo sul panorama britannico. Quando ripensa al passato, che immagini le passano davanti agli occhi?
«Se torno indietro agli inizi mi ricordo soprattutto un gran freddo. Iniziavamo a lavorare in birrificio alle 6 del mattino e in inverno si congelava: era dura, affrettavamo il lavoro per arrivare al più presto alla cotta e usare quel liquido caldo come una specie di colazione. All’inizio non c’erano grandi guadagni, però fin da subito abbiamo scelto di percorrere nuove strade e offrire una birra diversa rispetto a certe piatte birre inglesi tradizionali o alle lager straniere e industriali. Il panorama era moscio, lo abbiamo vivacizzato». 

Qual è stata la chiave del vostro successo?
«Il fondatore di Meantime è stato Alastair Hook che prima di dare vita al birrificio ha avuto una formazione unica, per quei tempi. Alastair è mezzo scozzese e mezzo tedesco, e questa sua seconda origine (e il fatto di parlare bene il tedesco) è stata importante perché ha potuto studiare a Weihenstephan, sede dei corsi birrari dell’Università Tecnica di Monaco di Baviera. In Germania Alastair ha imparato il rigore dei mastri birrai tedeschi, poi è volato negli USA dove ha incontrato la prima ondata della rivoluzione craft americana e ha sperimentato la libertà e la fantasia applicata alle birre di quel periodo. Quando è tornato in Inghilterra era il birraio più completo sulla scena, e le sue competenze si sono riflesse nei nostri prodotti».

Quando avete capito di essere sulla strada giusta?
«Come dicevo prima, a cavallo del 2000 le proposte dei pub inglesi erano abbastanza stantie. Alcune birre nazionali, alcune buone e altre meno, spillate a pompa, qualche rubinetto di grandi marchi come Heineken o Carlsberg, piuttosto standard. Noi iniziammo a produrre una gamma più varia, interessante: alcune birre negli stili tedeschi che Alastair aveva studiato in Baviera, alcune rivistazioni di grandi classici britannici come le porter e così via. Un lavoro di rottura, duro, che però ci ha permesso una crescita rapida: andavamo nei pub in cui era servita Meantime e iniziavamo a vedere gente stupita, sorpresa, felice di bere qualcosa di differente. Ecco, quello è stato un periodo eccitante che, inoltre, ci ha stimolato molto per proseguire sulla nostra strada».

Franz_Rod

Dal 2015 però Meantime è diventata parte di una multinazionale. Questo non ha cambiato la filosofia del birrificio e il suo modo di lavorare?
«No, non è così. Non è così (è l’unica risposta secca e seriosa dell’intervista ndr). Le cose non sono cambiate, Alastair, io e gli altri abbiamo la stessa visione di un tempo e lavoriamo nella stessa maniera. E vi posso garantire che anche le ricette sono le stesse, anche i tempi di realizzazione, perché la multinazionale non ci ha mai chiesto di velocizzare i processi per fare più birra e vendere di più. Se c’è una differenza, sta nel fatto che abbiamo le possibilità economiche per avere gli ingredienti di qualità maggiore e per migliorare macchinari e processi produttivi».

Rod, cosa pensa del movimento birrario italiano?
«Conoscere la vitalità del mondo della birra artigianale in Italia è stata per me una vera, grande sorpresa. Mi è capitato, in particolare, di prendere parte a un festival in Sardegna: ho assaggiato birre di molti diversi produttori, non tutte perfette ma senz’altro con una qualità media elevata. Ho visto tanta gente arrivare da lontano al festival, investire tempo e passione per essere presenti e provare i prodotti, ho visto davvero tanto entusiasmo e credo che in questo momento l’Italia sia un paese leader per il mondo craft. Pensate solo all’immobilismo di tanti Paesi in cui la birra fa parte della tradizione, che oggi faticano a trovare entusiasmo: l’Italia in questo senso è sorprendente ed entusiasmante».

Andiamo sul personale: quale birra preferisce? E quanta ne beve al giorno?
«Quando il dottore ci chiede quanta birra beviamo, noi diamo una risposta e lui la moltiplica per due… Ne bevo ma non così tanta! Per quanto riguarda la prima domanda, essere mastro birraio è come essere una mamma: non puoi avere una birra preferita. E come diceva Michael Jackson, se hai una birra preferita, tu non ami la birra».

Chiudiamo con una vostra birra tra le mani. I primi termini che mi vengono in mente sono “originale” ed “equlibrata”.
«Sull’originalità ne abbiamo parlato all’inizio: la lunga formazione di Alasteir ha dato un’impronta particolare alle birre di Meantime. Sull’equilibrio sono perfettamente d’accordo: se c’è una parola che definisce i nostri prodotti è proprio balance. Siamo stati innovativi ma non certo estremi o troppo modaioli. Ricordo quando studiavo, a Birmingham: c’era un locale dove era possibile mangiare il curry “più piccante al mondo”. Qualcuno ci provava e ci riusciva, ma sbuffando, sudando e urlando di dolore: a noi non interessa causare queste reazioni, vogliamo fare birre che piacciano alla gente. Mettiamola in musica: il punk duro e puro è arrivato sul mercato, ha fatto furore per qualche tempo “spostando” e togliendo spazio al rock. Ma chi ascolta punk duro e basta per tutta la vita? Pian piano il suo spazio va a ridursi, e il rock più tradizionale torna a riempire quasi per intero la scena…».

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