Attimi celebri

La tanto attesa pubblicità. Me la ritrovo davanti mentre mangio, per caso. L’agenzia ovviamente ha di meglio da fare che mandarmi un reminder con scritto “Marco-san, da stasera potrai vederti xy volte al giono in tv. Grazie della tua onorevole collaborazione”. D’altronde sono talmente gentili, come da copione, che avrei potuto quasi non essere stupito, nel venir contraddetto.

Godo i miei pochi (30?) giorni di impercepibile celebrità collaterale.

http://home.tokyo-gas.co.jp/pa-cho/tvcm/m2009_13_b.html

Ero consapevole della famosa capacità giapponese di pubblicizzare potenzialmente qualunque cosa, oltre ogni ragionevole logica, quando sono arrivato.

Ma non avevo la minima idea del motore instancabile che ci sta dietro. Centinaia di agenzie. Piccole come uno sgabuzzino, o palazzi di diversi piani. Casting, provini, audizioni. Per reclamizzare uno scaldabagno, una zuppa, una rivista; un pò come da noi, ma alla centesima potenza. Sugli schermi, sui cartelloni, bocche spalancate, sorrisi tiratissimi; nell’acquisto l’estasi suprema, l’apice del sogno giapponese.

O almeno era quello che mi veniva da pensare quando il regista mi diceva di sorridere DI PIU’!, e di sembrare più eccitato (per l’incredibile fornello a gas)

– Aprite di più la bocca, più stupore!. CIAK!

tsuma

Happy Thanksgiving.

Ho messo in pausa Tokyo per qualche giorno.

Allor scoccare del quinto mese la mia testa sembra sfiancata dal continuo switch linguistico, e ho avuto il bisogno di rifugiarmi nel più accogliente abbracio dell’ idoma inglese.

Da qualche giorno sono nell’Illinois. In California. In Texas.

Ovunque, ma non a Tokyo. Ovviamente ci sono ancora, ma non mi va di rendermene conto.

Kyl mi ha invitato a passare la cena del ringraziamento nel suo appartamento a Senzoku.

Festa “nuova” (per me). Facce nuove, un melting pot inatteso. Americani, Canadesi, più qualche “intruso” peruviano, inglese, e non meglio identificati. Qualche giapponese, ma tutti parlano in un inglese perfetto, e non si azzardano a ferire le mie orecchie con i suoni cosi’ ingegnosamente vocalici della loro madre-lingua.

Un sottobosco di culture che si sono amalgamate in modo diverso al congestionato brulicare della capitale dell’est; molti di loro non parlano troppo bene il giapponese, se non zero del tutto. Anche avendo vissuto qui per anni. Un lusso che ti puoi permettere solo in una megalopoli così stratificata, ma difficilmente nelle altre città del Sol Levante.

Qui puoi trovare ogni ingrediente. Oggetto. Liquido. Libro. Rivista. Vestito. Tessuto. Spezia.

Basta pagare.

In effetti ero solo parzialmente, ma terribilmente, stupito  nel vedere il tacchino entrare in scena in tutto il suo grasso, tras-lucente splendore. Nessuno o quasi mangia il tacchino qui, e nessuno lo vende, specialmente intero. I cranberries. Ogni altra cosa difficilmente concepibile ad una mensa giapponese.

-E’ bastato pagare tutto a peso d’oro!-

Kyl scioglie ogni mio dubbio.

Domani torno a Tokyo, promesso.

zen

Un ricordo in ritardo. E uno lontano.

Lo ricordo ancora bene, l’odore del Bar Clerici a Luino, circa vent’anni fa.

Quando era un po’ meno tirato a lucido, senza i “funghi” per il riscaldamento nel porticato, con i suoi tre cabinati con i tasti e gli stick spesso fuori uso.
All’apice del suo splendore.
Snow Bros. Final Fight. Street fighter 2.
Altri, a rotazione, hanno provato a prenderne il posto nella memoria, ma quei tre sono rimasti sempre lì.
Era la domenica che mi riempiva di gioia.
Portare pane secco per i cigni, che qualche volta mi hanno “morso”, al porto vecchio; poi un gelato al Vela, opure a quello che mio padre, con la testa ancora nei sessanta, chiamava ancora “al Varesina”.
E poi al Clerici.
2 gettoni, 4 se andava bene. Oggi, mentre li rigioco compulsivamente, e coi crediti infiniti in una finestra sul Mac, i miei favoriti non hanno che un briciolo di quella gioia da darmi. Ma non scappiamo nei ricordi.

Poi arrivarono le riviste.
O meglio, c’erano già, ma io fino ai 14 anni credo di non essermene accorto.
E arrivò, insieme, il Valhalla esotico del videogiocatore incallito, lo spettro sbiadito del Giappone.
Poco più in là, nel ’96, il Tokyo Game Show doveva essere migliore dell’eroina. migliore di qualunque orgasmo. Migliore di ogni possibile cosa che ancora non ero stato assolutamente in grado di provare. Ma migliore.

Non devo essermene reso conto, da subito.
Comedovecosaquando.
Parlavo del Giappone.
Di quelle immagini ricoperte di segni inconoscibili immaginando con gli amici , a caso e senza ragionarci davvero, da buon quattordicenne (ancora speranzoso), se i giapponesi stessi potessero capire la loro lingua. E non sapevo che una quindicina di anni più avanti quel dubbio me lo sarei portato ancora dentro, solo un po’ più a fondo.

Raddoppio i miei anni.
+14
Troppi 1up, avrei dovuto prenderne un paio in meno, forse.
Ma comunue alla fine ci sono. A Tokyo.

OMMMIioddDio! O peggio. Quello che avrei creduto di urlare sceso in quel del suolo nipponico, una volta atterrato.
Ma invece non urlo più.

26 settembre. Duemilanove.
Salgo su un treno. In un’ora abbondante sono al Makuhari Messe, a Chiba.
Da ragazzo, sulle riviste, non vedevo le code chilometriche. Non vedevo i coupon con cui attendere 3 ore per provare una beta.
La calca.
La disillusione.
Il TGS è piu’ o meno lo stesso, sono io che sono cambiato.

Torno a casa. Accendo il Mac.
Snow Bros è bello ancora come allora.

IMG_1203

snowbroscapture

Amare è sottrarre. Or: fun comes with strings attached.

Mi sono addormentato come accade di solito, sul pavimento della stanza di G.
Dopo un ramen di corsa a shibuya, per cena, e un kaki e un paio di daifuku mangiati sul tavolino pieghevole nell’angolo della camera.
Nella sua coperta ammuffita ma calda, e abbastanza spessa da non stare troppo male per terra.
Mentre in tv davano un film che di solito avrebbe destato il mio interesse.

Suona il telefono, è un messaggio del “caso umano”, cosi’ lo hai ribattezzato. Vuole scopare. Adesso. Devo andarmene.
Pare giusto, a ognuno il suo.

Oggi mi sono tolto l’anello che ti dà così fastidio. Tu no invece. Hai tolto la protesi, e ridendo mi hai detto che una parte di te non e’ mai cresciuta. “Cosi’ si puo’ essere bambini per sempre, almeno in parte”. Età apparente, anagrafica e mentale non sempre coincidono.

Tokyo, luci costanti, appariscenti.
Ma il buio dentro, quello rimane.
Il sole pallido che filtrava dalle tende oggi, ha fatto un po’ di chiarore. Credo.

Rich mi chiama da Londra. Un amico di un amico gli ha detto che ci ha visto in tv, nella pubblicità dove siamo apparsi assieme.
Ma niente.
La rete, così vasta e infinita, non vuole saperne di regalarmi un attimo di distrazione leggera, e del video nemmeno l’ombra.

Torno a letto. Nel mio, questa volta.

5 motivi

Per cui ne è valsa la pena.

Un tardo pomeriggio a Odaiba, con Richard.

rsz_img_1444

I fiori di Yoshi. Inaspettati. In mezza bottiglia di plastica sul mio tavolino sempre in disordine.

rsz_img_0386

Il rikugien. Malgrado la pioggia.

DSCN2675

Il chirashi a Tsukiji, dopo una notte al Karaoke.

rsz_img_1074

Gli amici.

IMG_0893

Essere “via”. La scimmia, il pullmino.

Mentre torniamo, la guida poco sicura dell’autista mi sveglia un paio di volte dal mio meritato sonno riparatore.

Un pullmino troppo carico di vestiti e di materiale scenico perde aderenza più volte sul ponte di Odaiba
Mi chiedo se le nostre carcasse di modelli, truccatori, parrucchieri, dilaniate dalle lamiere contorte, avrebbero comunque un profumo migliore di quelle delle persone “normali”, e una compostezza ad ogni modo molto stylish, e ritorno a Morfeo.

Maxx è di los angeles, studia economia a Tokyo e di solito fa il tuner di auto da corsa, ma ogni tanto anche il modello.
Ida di Stoccolma, ma vive a New York (o a Parigi, intercambiabilmente), e i suoi denti consumati dai succhi gastrici raccontano più di quanto faccia lei a parole della sua vita.

Pavel è di San Pietroburgo, dove non può tornare fino al duemilanonricordoquando, perché ha disertato il servizio militare; mentre vive a Londra con la sua famiglia (ma non ci vive mai, in realtà) gira il mondo per essere a tutte le “settimane della moda”.
Io sono il protagonista.

Non ho dormito ieri notte; almeno un’ora avrebbe aiutato.
Al mio “non risveglio” distolgo lo sguardo dallo schermo del pc, dalla pornografia random che mi ha tenuto compagnia. Spengo la sveglia, inutile, e mi domando se il mio pallore cadaverico e le mie occhiaie marcate saranno il mio tratto distintivo nelle foto che farò a breve.
Difficile, dormire.
nella mia testa solo J.
J.
J.
Decisamente troppe J.

Fa freddo, abbastanza da non voler stare una decina d’ore praticamente nudo a fare cambi d’abiti della collezione primaverile di non so quale nuovo brand in un parco di Chiba dove hanno allestito il set.
Magra consolazione le scarpe di Alexander McQueen che indossero’ in uno degli outfit. Per quanto bellissime sono un 42, io ho il 44, ma le hanno scelte e non ho possibilità di replicare. Edonistica autocontemplazione mista a dolore in vista.

Kudo-san, il direttore artistico che ha passato tutto lo shooting a dirmi quanto che fossero erotici e sexy i miei peli del petto, togliermi e mettermi i vestiti e stare molto attento che fossero sistemati bene, lisciandomeli bene addosso, mi lancia in rapida successione un guinzaglio e la mia nuova amica, l’accessorio da set che ha reso se non altro la giornata più movimentata.
Una piccola scimmia tropicale, in contravvenzione a non si sa bene quali norme sanitario/eco/deontologiche, e ci assicura che è tutto in regola.

PAP_0005

Mentre indosso solo le mie mutande verde speranza e provo camicie e pantacollant improbabili, suona il mio telefono.
J.
Che gradisce in seguito la mia mail con le foto del primate, e mi fa notare la sorprendente somiglianza tra sé e la scimmia.
E’ terribilmente vero, e mi piace ancora di più ora.
Vuole rivedermi. Il mio incarnato ne acquista in freschezza.

Passano le mie undici ore. Mi piacerebbe rubare un paio di cose. Sarebbe terribilmente facile, ma di sicuro non una buona idea.
Comunque sono a casa, ma con la testa non sono tornato a Tokyo, sono in Lombardia.
A. è dall’altra parte del telefono, e sua madre sotto i ferri.
Lotto con i miei occhi per tenerli aperti, il mio corpo è a puttane, 4 ore di sonno in 40 ore sono poche. Lo lascio dopo una prima chiamata, con la promessa di risentirlo dopo un’ora.
Cazzo. Mi stavo dimenticando della nostalgia? A., così poco bravo nel dimostrare sentimenti in maniera diretta, così bravo ad essere un amico fedele in tutti questi anni. Mi manca Il tuo odore. I tuoi abbracci incerti.
Vorrei piangere e invece mi addormento, più dell’ora pattuita.
MI risveglio 3 ore dopo nello stato in equilibrio precario in cui sono ora, e leggo il tuo:
– la stanno chiudendo. questo è quello che so. il chirurgo parla a monosillabi.
adesso viene la parte peggiore. –

Meglio dormire, a domani Ciccio.

Praying mantises – Incontri che lasciano il segno

Masa è tornato dopo due giorni.
Non sembra felice, sembra solo distante, disallineato dallo spazio reale della nostra piccola cucina-salotto, se così si può chiamare.
Nel suo italiano molto migliore di quanto lo sia il mio ambiguo giapponese mi dice soltanto, in risposta al mio -Come è andata?-
-Non lo so. Credo di Morire. Sono solo molto stanco.-

Decido che non è il caso di fare altre domande, perchè anch’io mi sento così, oggi, e certe cose si capiscono meglio senza le parole.

Ieri, un incontro speciale, quello con una mantide, è stato la rivelazione.
e, in fondo, se in Giapponese “mantide” si può scrivere anche con i caratteri di “falci affilate” un motivo ci sarà.

rsz_img_2142

J. era la mia mantide per ieri sera.
In quell’abbraccio senza tregua, tagliente e profondo, calore e ferite, nel sapere che quell’abbraccio non è solo mio.

Certi incontri, se fanno male, lasciano il segno.
E a me i segni piaccono molto.

rsz_img_2131

Asakusa ti rimette in sesto, forse.

Intro – Partiamo dal fondo.

Ma partiamo, in qualche modo.
Una giornata quasi perfetta, dopo alcune di fila particolarmente poco azzeccate, mi piove addosso quasi inaspettata, e infonde un po’ d’aria fresca nel guazzabuglio dei miei pensieri.

Dopo una cena offerta(mi), un paio di regali ricevuti, circa 200 foto fatte, sono a casa sul mio futon.
Mi butto al computer (il mio fido MacBook).
Passano 5, 10 minuti.
Il mio coinquilino bussa alla porta della mia camera trafelato. Il suo ex moroso lo vuole vedere SUBITO (è quasi mezzanotte, e tra poche decine minuti l’ultimo treno per Shinjuku potrebbe fare un ciao beffardo a Masa, senza permettergli di ricongiungersi col suo motokareshi, ovvero ex fidanzato) e gli serve il mio phon.

Part one: Decostruire la giornata

Junko, un’ amica che di mestiere fa l’infermiera, ma che nella mia testa vende palloncini colorati o confettini di zucchero, qualunque cosa tranne che il suo vero lavoro, mi ha chiesto di andare con lei, “Jakomo” e la sua amica Nakagami-san ad Asakusa, uno dei quartieri più caratteristici di Tokyo, per il Tori no Ichi, un mercato-festa tradizionale che si tiene due volte l’anno.
Io, che sottosotto sono un pessimista introverso e tendente al nichilismo oggi proprio non ce la faccio, e mi lascio andare al pensiero-positivo, e cedo, cedo all’allegria e alle bancarelle con ogni ben di Dio (ma non il “nostro”, di Dio..);
cedo al “lancia una moneta, tira la corda della campana e prega perche’ il desiderio si avveri”

La felicità va costruita.
Dopo anni è il massimo che sono arrivato a capire.
Ho chiesto solo un po’ di forza in più.

Part two: chi cosa dove

Ho ventotto anni, studio a tokyo, nonhoancoracapitobene cosa, ma in teoria cerco di migliorare il mio giapponese, e di fare un po’ di ricerca.
non ho mai “tenuto” un blog.
Sono incostante, testardo, irrazionale (a tratti), ma in fondo un “buono”
La mia Italia… E’ in sospeso
Per ora cerco me stesso, lontano da Varese, lontano da tutti, e cavo alcuni ragni da buchi oscuri, se mi riesce.

Yoroshiku onegaishimasu

rsz_img_1869_2