Agostino Arioli: “La nostra vocazione? Fare birre che non ti scrolli più di dosso”

Logo_SpecialeBA17«Personalmente credo che questi vent’anni siano serviti a me e a tutta l’azienda per diventare sempre più consapevoli della nostra vocazione. Quella di fare birre bevibili, equilibrate, che magari non colpiscono al primo assaggio ma che poi non ti levi più di dosso». Frasi interessanti, soprattutto se arrivano dalla bocca di chi, in vent’anni è stato tra i principali artefici della nascita, crescita e affermazione del movimento italiano della birra artigianale.

Nel 1996, infatti, Agostino Arioli era tra i pochissimi italiani che hanno avuto una visione poi rivelatasi azzeccata: quella di impiantare un piccolo impianto per la produzione della birra, affiancato da un locale – a Lurago Marinone, due passi da Saronno – che diventò presto un punto di riferimento per tanta gente. Un pubblico folgorato da malti e luppoli, utilizzati in maniera così differente rispetto a quel (poco) che si conosceva fino a quel momento. Ago da allora non ha mai mollato il colpo, continuando a proporre i suoi prodotti storici – una su tutte la Tipopils – ma anche ingrandendo il suo Birrificio Italiano, ampliando la produzione (ora spostata per la gran parte a Limido Comasco), cercando nuove vie ma mantenendo il solito, alto, livello di qualità. 

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Agostino, a sinistra, con i premi vinti a Birra dell’Anno 2016

Malto Gradimento ha “intercettato” Agostino al Beer Attraction di Rimini: lo abbiamo strappato per un quarto d’ora a un turbine continuo di saluti, brindisi, sorrisi, selfie, spiegazioni. E manifestazioni di affetto come quella che vedete nella foto sotto, quando Arioli ha dovuto dire «no» a una inattesa e goliardica “proposta di matrimonio” da parte di un appassionatissimo bevitore delle sue birre.

«Abbiamo sempre cercato di essere degli innovatori, e lo siamo ancora – prosegue Agostino – Non per il gusto di essere i primi a fare qualcosa, quello non ci interessa, ma perché ci piace realizzare i nostri pensieri, le nostre idee, specie se queste sono inedite. Con questa filosofia sono nati molti progetti del Birrificio Italiano, l’ultimo dei quali è Klanbarrique: uno spazio, in Trentino, con cento barriques, per percorrere strade nuove e che amiamo. Lontano dal mainstream».

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Il Klanbarrique – dalla pagina FB

Klanbarrique che doveva essere Barbarrique, nome poi variato per via di una minaccia legale da parte dei belgi di Lefebvre, detentori del marchio Barbar. Una vicenda superata («Abbiamo il nostro nuovo nome, mi piace, colpisce, va bene così») ma che lascia una punta di amaro in bocca, senza che questa volta centri il luppolo. «Mi è sembrata una protesta poco ragionevole, un gesto di spocchia nei confronti degli italiani, un’inutile prova di forza. Avremmo vinto davanti a qualsiasi giudice, ma per noi non aveva senso rischiare di imbarcarci in una contesa legale».

La rubricaGente di Birra

BERE LA BIRRA CHE SI AMA

Se il Birrificio Italiano è stato tra i primissimi (inteso proprio “uno dei primi cinque…”), ora il contatore dei produttori ha raggiunto e superato quota mille. Un mercato in continua evoluzione, e chissà dove andrà a finire. «La birra artigianale italiana sta attraversando la fase che Teo Musso definiva “adolescenziale”: è come un ragazzo che deve scoprire il mondo. Per questo si continua ad andare alle ricerca di birre sempre diverse: un fatto comprensibile ma che non è sintomo di maturità. Anche perché inventare e realizzare prodotti sempre nuovi è divertente ma è anche costoso. Io credo che si debba imparare anche a bere con maggiore stabilità la birra che si ama. Capisco che esistano i trend, ciò avviene in tutti i campi, ma se si segue soltanto la moda non si costruisce quella base solida che farebbe bene al movimento».

LA PERSONALITA’ DEL PUBLICAN

Anche per questo il Birrificio Italiano sta lavorando per fidelizzare publican e appassionati. «La nostra iniziativa “Cerchio B.I.” va in questa direzione: i gestori che propongono con continuità le nostre birre alla spina, ricevono da noi particolare attenzione, visibilità, ottengono bonus, merchandising dedicato e via dicendo. Io penso che per avere la propria personalità un locale dovrebbe garantire una serie di spine fisse – 6 o 7 su 10, per esempio – e poi usare le altre a rotazione per proporre qualcosa di nuovo».

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«Ago, ce l’hai una moglie? Ok, lasciala e sposa me»

QUELLA VOLTA CHE CHARLIE

Non potevamo però farci scappare l’occasione per un paio di domande più sentimentali. La prima è su qual è stato il momento “romantico” (riferito alla birra) che più è rimasto impresso nella mente di Agostino in vent’anni di storia. «Non posso fare a meno di ripensare a una degustazione condotta, qui a Rimini, da Charlie Papazian tanti anni fa, forse nel 1999. Charlie portò “cose” che mi sconvolsero la vita e mi aprirono prospettive incredibili, compresa una stout invecchiata al lampone, tanto per dirne una. E poi aveva con sé un kit di fermentazione sudafricano, di quelli chela gente dei quartieri poveri utilizzava per fare birra in casa: Papazian lo usò per preparare una birra in albergo, con grani insoliti, che ci sconvolse. Durante quell’evento nacque la mia amicizia con lui, una delle due persone che considero miei grandi maestri. L’altra è Gianni Pasa, l’attuale direttore della Pedavena. Ecco, se ripercorro questi vent’anni mi emoziono pensando a queste due figure. E nutro un grande affetto per chi ha imparato qualcosa da me».

Infine gli chiediamo: «Tra quelle italiane, c’è una birra che ti ha fatto esclamare: “Vorrei averla pensata e realizzata io?”».
«Bella domanda – ride – Potrei rispondere così: non è la “mia” birra a livello di gusto, ma credo che come invenzione la Xyauyù di Teo (Musso, di Baladin ndr) sia davvero geniale. Lo dico proprio a livello concettuale. Detto questo, più che per qualche birra specifica, continuo ad avere stima per alcuni miei colleghi birrai, davvero molto validi».

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