(d. f.) Restiamo in Germania per l’autobiografia birraria di Alessandro “Ale Div” Cappelletti: dopo il gigante Hacker-Pschorr, il suo racconto tocca due realtà grandi ma, lo spiega bene, lontane dal mondo industriale. Ayinger e Aktien, marchi bavaresi ben conosciuti anche da noi per la loro qualità e fedeltà ai precetti brassicoli di quelle parti. Siete pronti? Ein prosit!
Episodio 4 di 10 – Ayinger und Aktien
Sulla Gazzetta Ufficiale del 10 agosto del 2016 viene pubblicata la modifica del comma 4 dell’articolo 2 della legge 16 agosto 1962, n. 1354, che ora recita così:
«4-bis. Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà’ immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità’ di birra prodotte per conto di terzi».
I due birrifici di cui vi parlerò oggi, quindi, sono artigianali a tutti gli effetti (lo sarebbero anche per la legislazione italiana, insomma…) e sono quelli che hanno anche occupato prevalentemente le spine della mio vecchio locale.
Quando nel 2010 ho aperto il Binario Zero, il fenomeno “birra artigianale” era ancora in fermentazione, avrebbe inondato come uno tsunami i pub di tutta Italia solo un paio di anni più tardi, all’incirca, così come le furibonde e noiosissime discussioni tra le varie confessioni dei micro e dei macro brewers. Io appartengo alla vecchia scuola di chi considera “artigianale” la birra non filtrata e non processata con metodi di pastorizzazione e quella era l’unica regola che valeva per le birre del mio locale. In realtà distinguo tra birre buone e brodaglia per il lavandino. In ogni caso, con Ayinger e Aktien mettiamo d’accordo gli ortodossi e i protestanti e accomodiamo per un attimo in panchina i monaci paolini. Faccina che ride.
Dalle fonti che sono riuscito a reperire in rete, infatti, sia il birrificio privato Ayinger che l’altrettanto privatissima Aktien Brauerai producono rispettivamente 140.000 e 100.000 litri di birra all’anno. Quindi, siete pronti? Siete già caldi? E allora appoggiamo il nostro boccale sotto al beccuccio del rubinetto, impugniamo la manopola, tiriamola con decisione verso il basso e facciamo tanta schiuma! Lasciamo riposare per qualche minuto, ripetiamo l’azione per altre due volte e completiamo facendo sollevare dai bordi dei nostri bicchieri una morbida nuvola bianca da cui si sprigionano i profumi e gli aromi delle nostre birre. Faccina che sbava.
Il catalogo di Ayinger e Aktien è tradizionale che più tradizionale non si può: troviamo solo i classici stili bavaresi, ovvero Helles, Pils, Weisse, Dunkel, Munchener, Keller, Marzen, Lager, insomma quella roba lì che negli ultimi anni è un po’ uscita dai radar, soprattutto a causa di birracce commerciali che affollano i banchi dei supermercati e le spine più commerciali, ma che meritano di essere riscoperti perché in Germania c’è ancora gente sotto ai tini e davanti ai forni di torrefazione che sa regalare gradevolissime emozioni.
Partiamo da Ayinger, di proprietà della famiglia Inselkammer da 130 anni. Il loro cavallo di battaglia è sicuramente la Kirtabier, o comunque così ho deciso io, una stagionale che compare poco dopo l’Oktoberfest. E’ un’ ambrata a bassa fermentazione, un po’ keller un po’ marzen, brassata con tre malti diversi e una miscelazione combinata a infusione e decozione. La prima volta che ho avuto l’onore di averla nei miei rubinetti, mi colpì un particolare: la scadenza era a meno di sei mesi dalla produzione! Quell’anno i miei clienti non l’hanno capita un granché, forse il colore li spaventava pensando che fosse una rossa doppio malto (sic!), nel corso degli anni ha avuto, però, un bel crescendo fino a non vedere nemmeno le festività natalizie! Per iniziare la bevuta, però, suggerisco la Jahrhundertbier, una lager da esportazione, quindi leggermente più alcolica del normale, morbida e delicata, con aromi mielati e floreali e una gradevole spruzzatina di amaro a bilanciarne il gusto. In base alle stagioni dell’anno, possiamo optare successivamente per una invernale Weizenbock, una birra di frumento prodotta con 4 malti e separazione di mosti, capace di ammaliare anche chi non ama il genere. Oppure la Frühlingsbier, la birra di primavera, amabilmente amarognola e salutare perchè, cito dal loro sito, «dal punto di vista nutritivo il contributo fisiologico che questa birra può dare all’organismo attraverso il lievito ricco di vitamine e minerali è significativo». Come diceva Arbore, qualche anno fa? Chi beve birra, campa cent’anni, ora sappiamo anche il perché! Peccato dobbiate aspettare l’inizio di marzo dell’anno prossimo…
Più vicina, nel calendario, la Winterbock, scura, corposa, caramellata e pure una bella mazzata di alcol! Se non siete ancora cappottati dalla sedia ma volete lo stesso imitare il grande Alberto Tomba, possiamo finire in bellezza con una Celebrator, una classica Doppelbock che è diventata a sua volta un classico del genere, oppure quella gran traditrice della Maibock: mi ricordo ancora quella volta che, seguendo scrupolosamente i precetti del maestro “Giorgione orto e cucina”, feci il test di qualità. Era una giornata calda e la magia del gusto maltato e dei luppoli Hallertauer di questo capolavoro erano una combinazione perfetta per rimettere in equilibrio i liquidi persi dopo una giornata di lavoro. Laida e corrotta! Ho scoperto solo alla terza media che faceva 7 gradi alcolici! Fortunatamente abitavo esattamente dietro al locale. Il tempo “sul giro” è stato comunque degno di nota… Faccina che fa la linguaccia con gli occhi chiusi.
Lasciamo Aying e dirigiamoci a Ovest, a Kaufbeuren, altro ridente paesello della Baviera, nel distretto di Svevia. Forse è un po’ tardi per partire, ma vi consiglio di visitare questa località nel periodo della “Tänzelfest”, una sfilata rievocativa in abiti rinascimentali, di cui si fa risalire l’origine al 1497. Si tiene ogni anno dal 9 al 20 luglio. In alternativa, potete andarci anche nel periodo natalizio, con le immancabili e pittoresche bancarelle e magari qualche fiocco di neve che vi darà la scusa per bere una santa Urbayerisch, un gioiello di avera maestria creato nelle stanze dell’Aktien Brauerei, tutto da scoprire. Si tratta di una Dunkel elegante e watery, come dicono gli inglesi, ma con un retrogusto che si impadronisce del palato e lo seduce lentamente per non lasciarlo più. La suggerisco a tutti gli homebrewer come esempio di sublime capacità tecnica: la Urbayerisch è una birra rosso rubino, ha l’aspetto di una dopplebock ma è leggera come una piuma, solo 5 gradi, e 20 miseri punticini di IBU. Vengono utilizzati luppoli Hallertauer Herkules, Hallertauer Select, (e mecoj**i nun ce lo volemo aggiungere?!) ma è nella lavorazione dell’orzo, la vera magia. Per ottenere quel colore profondo e scuro, infatti, il malto d’orzo viene torrefatto quando è ancora umido. In questo modo, si riesce anche a sprigionare il gusto tostato di noci e caramello che caratterizzano questo stile antichissimo. Non ho informazioni precise, al riguardo, ma presumibilmente per la Urbayerisch viene usato il Munchener, tutt’al più il Crystal. Non è tra le mie preferite in assoluto, sono uno da IBU urticante, ma quando la trovo, purtroppo raramente, non me la faccio scappare: ogni volta che ne bevo un sorso, penso a quanta arte secolare ci sia dietro questa birra.
Dal menù prendiamo ora la mia pils preferita in assoluto, la ABK 1907, erbacea, amarognola, fresca e di gradazione moderata e poi passiamo alla Buronator, un’altra doppelbock dai profumi di caramello e cioccolato irresistibile. E non dimentichiamoci assolutamente la Steingadener, una weizen fruttata ma meno dolciastra e bananosa rispetto allo standard, che può quindi essere approcciata anche da chi, come me, non sopporta questo genere in nessuno modo. O per lo più, per l’appunto.
Negli anni ho imparato a distinguere gli stili di Ayinger e Aktien, il primo più sbarazzino, il secondo di eleganza femminea. Entrambi i birrifici lavorano in casa orzi e luppoli del circondario ed entrambi sono visitabili, un’esperienza che consiglio a chiunque, soprattutto a chi ha iniziato a produrre birra in proprio, per capire e carpire le tecniche, toccare e annusare i luppoli e bere direttamente dalla produzione, cosa che fa sembrare buone perfino la Guinness e la Heineken (e sto parlando di assaggi fatti rispettivamente l’anno scorso e tre anni fa)!
Aying si trova a 20 km da Monaco di Baviera e ci si arriva in metropolitana, dal capoluogo: la fermata è quella successiva all’area dell’Oktoberfest. Kaufbeuren, sfortunatamente, è un po’ nel mezzo del nulla: dalle nostre terre prealpine, può essere raggiunta con un viaggetto in macchina di 5 ore, circa. Faccio il figo, sembro uno che ne sa, ma se non fosse stato per il mio amico ed ex fornitore Corrado Vita, di questi due privatbrauerei ne avrei saputo zero. Faccina che alza gli occhi al cielo.
PS: Corrado e con questa son due birre che mi devi! Più quella che mi ha promesso anche il Claudio! In questi tempi di crisi, è già un buon risultato… Faccina che ride con le lacrime!
Puntate precedenti – 1. L’Agripub di Gallarate – 2. U-Fleku – 3. Hacker Pschorr 1417 –
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