(franz) L’oste Ale Div non manda in pensione la sua rubrica, anzi: dopo la chiusura del locale che ha gestito in questi anni (leggete QUI), torna a scrivere di birra e lo fa con una recensione molto interessante. Chiudendo con un saluto a chi lo ha accompagnato nella sua avventura dietro al bancone. Grazie Ale!
Quando si parla di Michael Jackson di fronte a un bicchiere di birra, non si intende il discusso idolo delle folle musicali degli anni 80, quanto il mitico critico e divulgatore della nostra bevanda preferita. Michael Jackson, parlando della Grand Cru, non aveva mezzi termini: la definiva “un classico mondiale”, nonché “il Borgogna delle birre”.
La qualità di questo nettare degli dei è conosciuta in tutto il mondo. Prodotta per un terzo con birra giovane e due terzi di invecchiata in botte, la Rodenbach Grand Cru si presenta agli occhi, che per l’occasione assumono forma a cuoricino, con un colore ambrato torbido tendente al marrone cacao; spuma fine e poco persistente.
Fragranze balsamiche, con accenni di mela verde, aspra e insieme dolce come un lime, fresca come una pesca matura, sferzante come ciliegia sotto spirito, leggermente astringente con rimandi alla liqurizia e al ginepro, un amaro delicato che sa di scorza di limone e si nasconde timidamente fra le pieghe agrodolci. Il finale è un intrigante mix di nocciola tostata e crosta di pane assolutamente illogico eppure così perfetto. La Grand Cru porta con eleganza naturale i suoi duecento anni di storia, lasciandosi bere con gusto e soddisfazione. Uno dei capolavori che hanno fatto la storia del Belgio brassicolo e che nulla ha da invidiare ai grandi vini della tradizione francese. Una autentica comfort beer da bere tutto l’anno e ad ogni occasione, importante o pretestuosa che sia. La Grand Cru di Roden…bach, è un’autentica sinfonia…
Nota dell’autore – In questa rubrica non ho mai voluto fare cenno alla mia attività, perché lo ritenevo di pessimo gusto oltre che sleale nei confronti dei colleghi. Ora che però il Binario Zero ha chiuso prematuramente la propria storia, lasciatemi dedicare questa bevuta – che ho scelto appositamente – ai miei fantastici clienti che hanno popolato la birreria per sei anni. In questo periodo non ho mai voluto fare differenze fra artigianali e non artigianali (benchè il 90% delle mie birre fossero artigianali e, spesso, con materia prima raccolta a km zero) perché ritengo questa divisione un po’ “talebana”. Privarsi il gusto di una Paulaner Salvator solo perché è di una multinazionale ed è prodotta con metodi e quantità industriali, o eliminare dagli scaffali Birra del Borgo solo perché si è venduta al “nemico”, penso sia sbagliato. Per me esistono birre buone e birre non buone, indipendentemente dall’origine, dalla produzione e dalla quantità. Come quelle che recensisco qui o come quelle che servivo al Binario Zero. In alto i calici, adesso!
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