(franz) A volte ritornano, e noi ne siamo ben felici. Per lungo tempo, Malto Gradimento ha ospitato le recensioni di Alessandro Cappelletti, già publican del fu “Binario Zero” di Busto Arsizio, raggruppate nella rubrica “Dalla cantina al boccAle”. Ale ora torna nella squadra del nostro blog con una serie di dieci racconti brevi (per ora) nei quali descrive e ricorda locali, birre o situazioni particolari. Esperienze che probabilmente sono comuni a molti di noi, soprattutto se ripensiamo a quella “formazione brassicola” che ci ha accompagnato nel corso degli anni. Buona lettura e bentornato Ale!
Nei giorni della lunga quarantena, i social network sono stati un prezioso alleato per combattere la solitudine, l’abbattimento psicologico e la distanza fisica. All’inizio furono i flash mob dal balcone, con le canzoni improvvisate, l’inno nazionale, gli applausi per medici, infermieri e tutto il personale sanitario che si stava sacrificando per la salute dei pazienti ricoverati. Con il prolungarsi delle misure di emergenza e l’aumento dei contagi e dei decessi, però, queste iniziative resilienti hanno ceduto il posto ad altre più intime, legate a ricordi personali come i “10 film che ti caratterizzano” oppure i “10 dischi che hanno cambiato la tua vita”.
Una di queste iniziative ha riguardato anche il mondo della birra.
Odio le catene, ma siccome è stato Damiano Franzetti (alias Franz Von Martitt), su Facebook, a chiedermi di scegliere dieci birre che hanno cambiato notevolmente i miei gusti, indirizzandomi verso l’artigianale, ho deciso di accettare l’invito. Sfortunatamente ho la memoria di un Commodore 64 del 1982 e la stessa costanza e concentrazione di quando Gianmarco Pozzecco, da giocatore, faceva finta di difendere, così mi sono fermato alla puntata “uno di dieci”… L’idea, però, mi è rimasta in testa e credo che meriti di scappare lontano dalle scrollate di pollice su Facebook ed essere condivisa e discussa in un luogo (virtuale) più adatto, che ovviamente è Malto Gradimento. In quale altro posto, se no?!
Ecco a Voi, quindi, le mie dieci birre che hanno cambiato notevolmente i miei gusti in fatto di birra, indirizzandomi verso l’artigianale.
Ho già detto che odio le catene? Perciò la prima birra di cui Vi voglio parlare, in realtà, è un locale: l’Agripub di Gallarate, il primo tempio edificato dal Gran Maestro Claudio Castiglioni, un nome noto a tutti gli appassionati di birra di queste lande. Nasce in centro città, credo verso la fine degli anni ’90. Almeno credo… Del resto, dopo tutte le degustazioni a cui sono stato costretto, non pretenderete che abbia ancora dei ricordi precisi, vero?
All’epoca, e di questo sono abbastanza sicuro, Piazza Libertà non era ancora pedonalizzata come oggi, il locale era piccolino, si stava stretti e per ordinare dovevi saltare in testa ai clienti ammassati sul bancone. Fortunatamente mi piaceva andare ai concerti heavy metal e quindi ero abbastanza allenato, perché ne valeva proprio la pena! È stato forse la prima birreria della provincia a servire birre crude, come si chiamavano allora le artigianali, in un contesto dominato dai Guinness Pub, in cui le alternative erano cose tipo la Devil’s Kiss o la Hoegardeen mentre per il reparto esotico i campioni erano rappresentati dalla Adelscott o dalla Desperado. Il panorama, negli anni 90, era più o meno questo e non cito appositamente la Ceres o la Tennent’s Super per non ribaltarvi ulteriormente lo stomaco.
So di aver scritto cose brutte, ma mi serviva per chiarire l’inquadramento storico. Capite bene, adesso, che quando nella mia gola scese il primo sorso di birra artigianale, non filtrata e non pastorizzata, prodotta in qualche birrificio privato tedesco, la mia reazione fu del tutto simile all’illuminazione di John Belushi nelle scene iniziali di “Blues Brothers”: «La bbbirrraaaa!!».
Credo anche di avere avuto la stessa trasformazione di Barney Gumble quando assaggiò la sua prima pinta: i cultori dei “Simpsons” capiranno questa dotta citazione. Da quel giorno, niente fu più lo stesso. Non chiedetemi i nomi delle birre che Claudio serviva, e qui c’entrano poco i neuroni annegati, perché all’epoca gli ordini al bancone venivano fatti ancora in neanderthaliano: una media chiara, una media rossa! Il tempo dell’educazione e della cultura sarebbero venuti in seguito.
A essere sincero, il primo approccio all’artigianale avvenne qualche anno prima, a Praga, ma allora non ne fui completamente consapevole: avevo vent’anni e quella brodaglia di un colore indefinito, ma buona… molto buona… mi sembrava solo una birra diversa dal solito. Potrebbe essere un buon aggancio per parlare della fase: “due di dieci”.
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