I più attenti bevitori di birra di qualità avranno notato una novità sulle etichette di molti produttori artigianali italiani: da qualche mese, su alcune bottiglie, campeggia infatti un marchio rettangolare nel quale è riportato chiaramente il nome dell’associazione di categoria, “Unionbirrai”. Una innovazione (che sta iniziando a prendere piede) tesa a garantire con chiarezza ai consumatori la provenienza del prodotto, anche in virtù della legge sulle birre artigianali.
Per fare il punto della situazione, abbiamo incontrato – nell’ambito della recente fiera Craft Beer Italy di Milano – il direttore generale di Unionbirrai, Vittorio Ferraris, che è anche uno dei responsabili del birrificio BSA di Vercelli. Ferraris, anzitutto, ci fornisce un primo dato utile: «Il lancio del nostro marchio risale alla scorsa edizione di EurHop a Roma, a ottobre, le prime concessioni all’uso sono state rilasciate verso dicembre e a oggi sono circa 110 i birrifici che possono utilizzarlo sulle proprie bottiglie».
Un numero considerato soddisfacente, per il momento, dai vertici di Unionbirrai, anche considerando alcuni limiti che sono stati introdotti per poter avanzare la richiesta. «Per il momento il marchio può essere adottato solo dalle aziende aderenti alla nostra associazione – spiega Ferraris – per un motivo pratico: chi è iscritto a Unionbirrai rispetta già alcuni requisiti richiesti per rientrare nel novero dei produttori di birra artigianale secondo le normative attuali. Comunque siamo al lavoro per allargare anche ai non associati la possibilità di utilizzare il marchio, naturalmente a condizione di seguire alcune regole chiare e precise. Inoltre non concediamo l’utilizzo a chi ha la licenza attiva di produzione da meno di un anno: ci sembra giusto richiedere un minimo di storicità in un’epoca in cui i birrifici nascono, e talvolta muoiono, di continuo. Detto questo, oltre ai 110 produttori aderenti ve ne sono altri in attesa di approvazione, quindi il numero è già in evoluzione e ha comunque interessato circa 150 associati su 350, in pochi mesi».
Ciò che rende orgogliosa la squadra di Ferraris (il direttivo di Unionbirrai è composto da cinque persone a cui si aggiunge il direttore operativo Simone Monetti) è l’adesione avvenuta in tempi rapidi di molti grandi nomi del mondo artigianale nazionale. «Il mio discorso non vuole ovviamente fare preferenze tra gli associati, però fa piacere che aziende del calibro, e della capacità produttiva di Baladin, Lambrate, Italiano, Brewfist e altri ancora abbiano subito scelto di avere il marchio sulle proprie etichette. Ciò è molto utile a livello di visibilità e sensibilità: i birrifici che ho citato hanno una storia importante ma anche la possibilità di arrivare a un pubblico relativamente vasto e ciò è fondamentale».
L’obiettivo di Unionbirrai è infatti proprio quello di raggiungere un numero sempre maggiore di consumatori di birra: «La diffusione del marchio di tutela dovrà ora andare di pari passo con una campagna di informazione e comunicazione importante alla quale stiamo già lavorando e alla quale affiancheremo un evento apposito. Per il nostro mondo, arrivare nelle case dei cittadini comuni è particolarmente importante, perché siamo poco presenti nei circuiti della grande distribuzione, dove cioè la gente effettua la maggior parte dei propri acquisti in ambito alimentare. Al giorno d’oggi, e lo abbiamo spiegato proprio in un seminario qui a Craft Beer Italy, il consumatore medio non sa ancora cosa sia la birra artigianale né la sa distinguere. Il nostro marchio, il nostro “segno distintivo”, deve diventare un messaggio sempre più riconoscibile agli occhi dei consumatori».
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