Dal posto fisso in una multinazionale ai banchi di un’università inglese per inseguire il proprio sogno: completare una formazione accademica per intraprendere il lavoro di birraio. È il percorso del 32enne milanese Stefano Occhi – in tasca una laurea in agraria – che ha scelto di volare in Inghilterra per partecipare alle lezioni del corso di Scienza Birraria all’Università di Nottingham, uno degli atenei che ha questa specializzazione all’interno della propria offerta e che, tra l’altro, mette a disposizione degli studenti strumentazioni di alto livello.
Dopo alcune settimane di corso poi, Stefano e due suoi compagni – l’americano Will Brennand e il britannico Will Gelder – hanno potuto dare vita a un progetto di tesi pratico nel corso del quale si confronteranno con un vero impianto e con tutti i passaggi relativi alla creazione, alla produzione, al marketing e a lancio di una nuova birra. Il tutto grazie alla collaborazione dell’università con Castle Rock, birrificio di Nottingham famoso per la sua Harvest Pale già premiata in diversi concorsi compreso il GBBF 2010.
Stefano, ci parli di come è nata la sua passione per la birra di qualità.
«Direi da ragazzino, durante alcuni viaggi con la famiglia in Austria e Germania. Poi, essendo originario di Milano considero un’istituzione il Birrificio di Lambrate, “bandiera” del mondo artigianale. In particolare amo molto la Ghisa e la Brighella, la birra prodotta nel periodo Natalizio».
Ora l’avventura inglese. Da quanto tempo le frullava in testa l’idea di lasciare il lavoro e iniziare a studiare la birra in maniera approfondita?
«Quando ho finito agraria ho considerato l’idea di lavorare nel mondo birrario; ho inviato un po’ di curricula ma non ho avuto molte risposte. Nel frattempo ho avuto un’ottima proposta lavorativa (con Syngenta ndr) che era un’occasione a cui non potevo rinunciare. Una scelta, questa, di cui non mi pento perché mi ha fatto crescere moltissimo e mi ha dato grandi opportunità. Il sogno della birra però è rimasto e alla fine ha avuto la meglio».
Come funziona il progetto di tesi pratico nel quale è coinvolto a Nottingham?
«Dovremo produrre un lotto di 30 ettolitri in collaborazione con Castle Rock e ciò impone alcuni limiti perché la birra sarà confezionata solamente in cask. Partiamo da zero e dobbiamo realizzare una birra a nostra scelta che abbia anche un supporto a livello di marketing. La supervisione del lavoro è affidata al professor David Quain, una leggenda nel settore anche per aver lavorato a lungo alla Bass; ora è diventato docente universitario e si occupa anche del nostro corso di laurea».
Avete già deciso che stile di birra produrre? E come vi dividete il lavoro?
«La nostra birra dovrà avere una gradazione alcolica intorno ai 5 gradi ed essere facile da bere, adatta per il consumo nella stagione estiva. Abbiamo già iniziato a sperimentare diversi stili per verificare la fattibilità in cask e nel giro di un paio di settimane dovremo prendere una decisione sulla birra da portare avanti e perfezionare. Il nostro team è composto dal birraio che è Will Brennand, dal responsabile marketing e vendite e cioé Will Gelder e da me, che ricopro il ruolo di project manager e responsabile della qualità. Il nome del progetto “Zerogravity” è stato scelto tramite un sondaggio online con più di 200 partecipanti ed è un gioco di parole che gira intorno a gravity inteso come termine birraio ma anche come assenza di gravità. A me piaceva molto anche il nome “Yeast Midlands” che richiamava il lievito e la regione dove si trova Nottingham: le East Midlands».
L’ultima domanda è scontata: che programmi ha dopo il termine del ciclo di studi in Inghilterra? Le piacerebbe tornare a lavorare in Italia o preferirebbe restare all’estero?
«Anzitutto mi piacerebbe avere qualcosa di “mio”, ma per adesso non ho progetti concreti a riguardo. Nel breve periodo vorrei fare da assistente a qualche birraio di talento per apprendere i segreti del mestiere e mi piacerebbe proseguire la mia esperienza in Inghilterra. Però se ci fosse l’occasione giusta in Italia non me la farei scappare!».
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