Il progetto pilota idroponica, Loiyangalani

Buongiorno a tutti,

ai miei fedeli lettori ed ai nuovi spettatori,

che quotidianamente e non,

visitano questo tanto vissuto diario di bordo

che ormai molti episodi appaiono un lontano ricordo.

Desidero porre alla vostra attenzione

ciò per la quale molte notti

ho avuto apprensione,

donando la mia viscerale dedizione

per la buon riuscita del progetto

che vidi, nel bel paese, nascere dal mio intelletto.

Ecco a voi, le prime immagini

dello stesso, fatto da neonata vita,

che da luce, da acqua e cure

portano col tempo, a maggior vista.

Che possiate dilettarvi con l’opera fin qui

avuta, senza nasconder l’umana paura,

confidando nel divin sguardo,

come io lessi nel cantico di san Bernardo.

Gabriele Caccia

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Un augurio di un buon e felice anno nuovo a tutti voi.

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VIAGGIO ITALIA – LOIYANGALANI, LAGO TURKANA – 2°parte

Il 19 ottobre, una volta raggiunti dagli altri, si riparte per Isiolo, spostandoci sempre più verso il nord del Kenya.

Meta finale è il villaggio dello Loiyangalani, distante circa 3 km dalla sponda est del lago Turkana.

Lago che in cor nostro è stato tante volte discusso, immaginato, desiderato e che, imperturbabile, giace nella sua secolare essenza, tra aridi deserti.

Il 20 ottobre si arriva ad Isiolo, dove saremo tutti quanti ospiti di Simone e della sua famiglia.

Passeremo 6 intere giornate, giorni di intenso lavoro sia mentale che fisico.

Pensare all’acquisto del materiale, alla progettazione per poi, ora dopo ora, costruire, nel verde giardino, l’impianto di prova.

Si riparte il 26 ottobre al mattino presto, direzione Loiyangalani, lago Turkana.

Mi immersi in paesaggi straordinari,

dalla immacolata natura,

dai soavi profumi, dagli infernal afflati.

Misi me ad osservar le verdi pendici del monte Kenya,

gli sterminati campi di frutta Del Monte,

le rosse e vitali terre Samburu,

l’arancio deserto del Chalbi,

i secchi e mortal arbusti della Rift Valley,

la vasta e funesta distesa nera del deserto dei sassi.

 

Gabriele Caccia

SINTESI DEL VIAGGIO: ITALIA – KENYA, LAGO TURKANA 1°parte

Partito dall’Italia, domenica 23 settembre 2012, dall’aeroporto internazionale di Milano Malpensa e dopo uno stop all’hub egiziano Il Cairo, giungo a destinazione: aeroporto internazionale Jomo Kenyatta, Kenya, Africa.

Dopo 13 ore di viaggio, giungo nella terra in cui io, Simone, Alessandro, Toni e Lilli, abbiamo voluto compiere un’impresa che mai nessuno prima è riuscito a realizzare, portare frutta e verdura nel bel mezzo di 4 deserti, alla popolazione dello Loiyangalani che conta sommando le tribù vicine, circa 12.000 persone.

La tecnica utilizzata per realizzare questo progetto è l’idroponica

Da qui, mi muovo al Kahama hotel dove soggiorno per due notti, in attesa dell’arrivo degli altri ragazzi.

Il 25-9 ci spostiamo tutti quanti a Malindi, con un volo interno, durata del viaggio 1:45 h.

Malindi, la città dei peccati, ricca di eccessi, vizi, non la trovo a portata della mia persona.

Canto V, Inferno, La Divina Commedia di Dante Alighieri

“La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.”

Trovo sollievo allenandomi di mattino presto sulla spiaggia, ritorno a correre, qualche flessione, qualche addominale, pensando al mio amico Nic 😉 per poi farmi una bella doccia fredda, quando oramai il sole è già alto nel cielo con i suoi potenti raggi.

 

Da Malindi, Io e Simone, ci spostiamo il 18 ottobre, tramite bus notturno, direzione: Nairobi, la caotica capitale keniota.

Lì incontreremo Kariuki, una valida persona che ci aiuterà a reperire del materiale necessario per il progetto.

Gabriele

TRAVELLING TO MALINDI, Saturday 22 december

Buongiorno a tutti voi che generosamente leggete il blog, vi scrivo dalla mia nuova località, Malindi.

Partito martedì 18 mattina dallo Loiyangalani sono arrivato a Malindi sabato mattina 22 dicembre.

Il viaggio è stato diviso in tappe, riporto i diversi stop:

Martedì 18, ore 9:00, partenza dallo Loiyangalani

La sera prima, lunedì 17, insieme a sister Agostinella ed Isac, il driver, decidiamo di partire per andare a prendere sister Lucimar giunta a Maralal da Nairobi.

Non posso che cogliere l’occasione del passaggio, avvicinandomi quanto più posso a Nairobi, venerdì 21 dicembre mi scade il visto, non posso più aspettare.

Viaggio lungo e stancante, incontriamo strade in brutte condizioni, molto fango, molta pioggia che a tratti si abbatte torrenziale sul nostro mezzo, 4×4 inserite per affrontare al meglio possibile, tratti di non strada assai insidiosi ed ardui, guadiamo fiumi alti circa1 metro, consulti fulminei tra me ed Isac su dove passare, momenti di sangue freddo e decisioni importanti che si riveleranno in seguito buone e ponderate.

Sister Agostinella che più volte ha preferito scendere dalla jeep e proseguire a piedi mettendo in salvo la sua vita in caso di ribaltamento del mezzo, a volte è stato un comportamento prudente a volte eccessivo ed io ed Isac, scoppiavamo a ridere, invitando sister Agostinella a risalire in macchina e proseguire con noi il viaggio.

Gustose sono state le nostre risate, utili anche per smorzare la forte tensione accumulata per le numerose difficoltà del viaggio.

Martedì 18, ore 17:00, arrivo a Maralal

Si giunge finalmente a Maralal, qui incontro il mio contatto, il driver che mi porterà fino ad Isiolo.

Scarico la mia grossa valigia, preparata velocemente la sera prima e terminata la stessa mattina, i due pesanti zaini e la preziosa makake, il mio materasso realizzato con foglie di palma.

Ore 17:30, dopo aver salutato caramente sister Agostinella ed Isac, riparto per Isiolo.

Il tempo peggiora, il sole volge al tramonto, la pioggia si fa più insistente, le strade a tratti sono coperte da fango dove la jeep non può far altro che affondare e con difficoltà riemergere, cogliendo i pochi massi che servono da appiglio, il camioncino che ci precede sbanda numerose volte, derapando 180 gradi, non possiamo che fare lo stesso.

Affrontiamo torrenti, guadiamo alti fiumi, incontriamo leopardi sul ciglio della strada che alla luce dei nostri fari si dileguano nel profondo buio della notte.

Il pilota alza sempre di più il volume delle casse, assordante, ma gli serve per non addormentarsi e commettere errori fatali, lascio fare.

La mia schiena è assai provata dai numerosi sassi del lago Turkana in primis, dalle slittate partenze nel fango, dagli errori del driver, saltando dossi a velocità eccessiva e ricadendo pesantemente sul suolo, stanca è la mia mente e calda la mia testa.

Verso le 21:00, vedo dopo circa due mesi, una strada asfaltata ed un cartello stradale indicare80 kmIsiolo, tiro un sospiro di sollievo, pensando tra me e me: manca poco.

Alle 22:00 vedo le prime luce della città, i posti di polizia con i loro serpentoni pieni di grossi chiodi antisfondamento, posti lungo la strada, i primi negozi, i primi segni di civiltà.

Il mio animo non gioisce.

Ore 23:00, casa di Simone.

Dopo circa due mesi, rivedo Simone e la sua famiglia, ci salutiamo, ci scambiamo lì per lì qualche notizia e poi mi avvento sulle patate, sul fegato di capra e sul riso come un simba sulla sua preda.

Non mangio da 14 ore.

Finita la cena, racconto a Simone ed Alessandro i dettagli sull’andamento del progetto, spiego a loro le difficoltà che ho avuto nel portarlo avanti e mostro a loro il video che appositamente ho girato pochi minuti prima di partire, rimangono stupefatti.

Simone, invece mi aggiorna sulla situazione economica del budget, la jeep che è venuta a prendermi a Maralal, ha prosciugato le ultime risorse economiche disponibili.

Ore 24:00, mi dirigo a capofitto dentro la zanzariera, mi addormento nel giro di 1 secondo, troppa la stanchezza dopo 14 ore di viaggio no stop.

Mercoledì 19 dicembre

Passo l’intera giornata ad Isiolo a riprendermi quanto più posso dal duro viaggio.

Lavo i miei panni infilati di fretta in valigia per partire in orario dal lago Turkana, riordino la valigia, pianifico i miei prossimi spostamenti, lascio il superfluo alla famiglia di Simone, devo alleggerire la valigia per viaggiare il più leggero possibile e per evitare il rischio di rottura.

Mi concedo verso le 15:00 una passeggiata a piedi circa 30 minuti nel centro di Isiolo, consiste nell’unico stradone asfaltato dove tutto intorno dimorano migliaia di negozietti colorati, sporchi, caotici, in mezzo a fango, grosse pozzanghere, cani randagi e camions che emettono nuvoloni neri di gasolio incombusto, arrivato mi dirigo al negozio per comprare il biglietto del bus per Nairobi.

Partenza ore 6:00 di giovedì 20, durata del viaggio 8 ore.

Incontro strada facendo, un ragazzo bianco, giovane, con un cucciolo di cane lupo, mi saluta contraccambio.

Si avvicina, iniziamo a parlare, è inglese, è il responsabile di un orfanotrofio poco distante da lì.

Mi invita a continuare la chiacchierata in un bar, lì vicino in compagnia di una birra ed una soda, accetto.

Abbiamo parlato per due ore raccontandoci dei nostri rispettivi progetti presenti e futuri.

Giunto il tramonto, mi invita a visitare l’orfanotrofio, quanti bambini lo aspettavano, circa una 30.

Tutti quanti educati e rispettosi, questa cosa mi ha colpito.

Mi mostra alcuni filmati che ha girato durante i suoi numerosi spostamenti a piedi o con mezzi di fortuna, per raccogliere fondi.

Mi ritrovo seduto a tavola per cena, a base di riso e patate con pili pili, un tipo di peperoncino molto piccante, con noi ci sono altre persone suoi amici nonché aiutanti.

Ci lasciamo intorno le 21:00 con un saluto che suona pressappoco così: “ hi, we will meet again, the good friends not say goodbye”.

Giovedì 20 dicembre

Sveglia ore 5:00

Partenza ore 6:30 da Isiolo

Arrivo a Nairobi periferia ore 15:00.

Taxi direzione Flora hostel gestito dalle sister della Consolata, amiche di sister Agnese, Agostinella, Guendalina e Lucimar.

Ricordo con un certo effetto la dining room, la stanza da pranzo.

Davanti a me, tavoli apparecchiati con belle tovaglie, tutto cosi pulito, ordinato, ogni posata al suo posto, tavoli imbanditi con vassoi da portata carichi di cibi, soprattutto verdure e frutta che non vedevo da tanto tempo.

Penso di aver fatto razzia di ogni sorta tra pasta al sugo, cosce di pollo, patate, pane, verdure simil zucca, carote, thè caldo, caffè, che scorpacciata che mi sono fatto, davanti agli occhi increduli dei vicini di tavolo.

Finito il pranzo mi sono incontrato con suor Immacolata, la responsabile della struttura nonché ottima cuoca.

Dopo averle fatto i complimenti per il pranzo assai squisito, abbiamo parlato del lungo viaggio e delle news relative alle consorelle dello Loiyangalani.

Mi sarebbe piaciuto visitare sister Guendalina che cadendo dal letto lunedì 10 dicembre allo Loiyangalani si è fratturata il bacino.

E’ stata portata d’emergenza il giorno stesso, con il supporto dell’Amref aviation, all’ospedale di Nairobi, a circa500 metridall’ostello.

Sister Immacolata mi aggiorna su s. Guendalina, è già stata trasferita nella casa di riposo Nazaret per le old sisters lontano da qui. Tra me e me, penso: meglio cosi, non è niente di grave.

Venerdi 21 dicembre

Alle ore 9:00 mi presento per rinnovare il mio visto per altri 3 mesi, non mi soffermo volontariamente sulla burocrazia ed il totale disinteressamento dell’impiegato sportello numero 6 ufficio immigrazione Nairobi, se no volerebbe qualche insulto.

Ore 11:00, ottengo il timbro per l’estensione del visto.

Ore 11:00 e 01 secondi sono già ben lontano da quell’ufficio.

Mi interesso dove prendere un pullman che da Nairobi arriva a Malindi, mi ritrovo dopo poco, in uno dei luoghi più caotici di tutta Nairobi, nel centro della piazza dove si fanno affari legali e non, dove trova posto una specie di mercato dove si vende e trovi di tutto dagli orologi, al kebap, alle galline, ai bagni pubblici a pagamento, insomma un marasma totale.

Mi barcameno per trovare il dream line bus station ticket, un piccolo, sporco ed incasinato ufficietto sommerso da biglietti di pullman, gente in piedi, seduta che attende con accanto valigie di tutte le taglie, domando un biglietto per Malindi e la risposta tra una telefonata e l’altra del tipo: “It’s full, we are in high season, one bus for next wednesday”, sorrido e mi siedo comodamente sulla poltrona messa peggio di un groviera che giace tuttora lì dentro.

Che fare ?

Tutte le compagnie sono full, no bus for Malindi, siamo in alta stagione, Natale è martedì, l’ostello è troppo caro per le mie finanze, bene chiedo per un bus diretto a Mombasa, da li proseguirò per Malindi in qualche maniera, il che vuol dire o matatu, quei nissan a 9 posti, pigiati come sardine, tra odori indescrivibili, pacchi, pacchetti e pacconi che ti penetrano nel fianco per ore ed ore oppure un bus.

Rientro nell’ufficietto, parlo col ragazzo, perennemente al telefono, chiedo un biglietto per Mombasa, mi risponde di sì, è disponibile, bene, partenza ore 13:00, guardando l’orologio non posso che pensare dannazione ho solo 55 minuti e sono nel cuore del caos di Nairobi.

Mi informo qual è il mezzo più veloce per arrivare al flora hostel e tornare indietro in tempo, matatu, pullman, taxi ?

Taxi, risponde, ne acchiappo uno al volo e voliamo verso la main square, incontriamo in contemporanea controlli della polizia, semaforo rosso e traffico intenso, che ci costringe a procedere a passo d’uomo, tengo costantemente sotto controllo l’orologio digitale accanto al volante.

12:35 arrivati al flora, in pochi minuti carichiamo i bagagli e ripartiamo al volo.

Prendiamo una strada secondaria che ci fa risparmiare alcuni minuti ma il centro di Nairobi è il centro di Nairobi da qualsivoglia posizione tu la guardi o la percorri, risultato: fermi in coda.

Il taxista fa di tutto per farmi arrivare in orario, schiva tuc tuc, matatu, supera mercedez di lusso,

riconosco la piazza del mercato, siamo quasi arrivati, pochi sono i minuti che mi separano dal prendere il bus direzione Mombasa.

Ore 13:03 arrivati a destinazione, il bus deve ancora arrivare, trovo un attimo di distensione psicofisica.

Ore 13:30 il bus si disincaglia dalle strette e trafficate vie di Nairobi per buttarsi sulla highway che mi porterà diretto verso l’oceano indiano.

Viaggio lungo ma comodo, a disposizione due sedili, dove ho potuto trovare la posizione più comoda e riposarmi un po’.

No pranzo e no cena.

Sono arrivato a Mombasa alle 23:00, nella fermata principale delle diverse linee pullman, circondato da molte persone in attesa, situazione non incoraggiante per la mia prosecuzione.

Chiedo il perché di tutta questa gente, mi rispondono che aspettano i prossimi matati se arriveranno, preoccupante è stato il  “se”, capisco che sono in balia più totale dei mezzi pubblici.

Il primo matato sarebbe arrivato alle 5:00 del mattino, tenendo conto delle centinaia di persone, chissà quale avrei preso, bus e pullman nemmeno l’ombra, mi informo per un taxi, ne scovo uno in un angolo solitario accanto al distributore di carburante.

40 minuti per contrattare il prezzo, obiettivo raggiunto, dimezzato il prezzo iniziale.

Con circa 40 € ho coperto 120 kmin due ore di tempo e ci è mancato poco che non finivamo fuori strada per un dosso non visto a80 km/h, abbiamo potuto provare l’ebrezza dei mitici salti del telefilm “Il generale Lee” di Boo e Luke e contemporaneamente testare la bontà dei pneumatici e delle sospensioni, test passato.

 Arrivo a Malindi alle ore 2:30 del mattino di sabato 22 dicembre, sano e salvo.

 Gabriele

 p.s. domani 24 dicembre coglierò l’occasione per farvi gli auguri di Buon Natale.

Cuoricino’s youth questions

Il gruppo di ragazzi di 4 elementare della parrocchia di Cuoricino seguiti da Gabriele, mi domanda:

se ti trovi bene, cosa ti ha spinto ad andare in Kenya e se non hai mai pensato di tornare indietro. A noi mancherebbero i nostri genitori e i nostri amici e a te? Com’è la gente del posto? Sei riuscito a fare amicizia con qualcuno? Riesci ogni tanto a divertirti ?

Ciao a tutti voi,

grazie per il vostro interessamento al mio progetto di idroponica al lago Turkana nel nord del Kenya, Africa.

L’idroponica consiste nella coltivazione in acqua delle piante, da qui prende il nome anche di idrocoltura, coltura in acqua.

Molti paesi nel mondo usano questo sistema perché permette di razionalizzare l’uso di acqua, controllare meglio le variabili di crescita delle piante e ridurre l’uso di pesticidi.

Intendo per ottimizzazione  dell’uso di acqua un minor uso in termini di quantità, se ad esempio nel terreno per coltivare una pianta occorrono10 litri, con l’idroponica ne occorre 1l.

Dunque, 1:10 è il rapporto di acqua usata in idroponica rispetto alla coltivazione tradizionale su terreno.

Grazie a questa tecnica si ha il grande vantaggio di poter coltivare piante in zone desertiche o dal terreno non coltivabile poiché non necessita l’utilizzo di terra.

Sono qui allo Loiyangalani da due mesi circa, difficile, veloce e forte è stato l’impatto.

Tutto intorno a me era diverso, la natura con tutto il suo splendore e tutta la sua potenza: i paesaggi, gli alberi, l’irraggiamento termico a pochi gradi dall’equatore, la temperatura, l’umidità, gli animali, ricordo scorpioni, serpenti, scalopendre, lucertoloni giganti, formiche dalle grandi dimensioni, dik dik, volatili e non per ultimo la diversità del cibo.

Sono stato catapultato in un ambiente completamente sconosciuto ai miei occhi, alla mia mente, al mio stile di vita e non è stato per niente facile soprattutto quando, dopo la puntura dello scorpione, la malaria mi ha colpito duramente.

Sono stati momenti duri a cui, per forza di cose, dovevo reagire tirando fuori il meglio di me e così ho fatto.

Pensare di tornare indietro, no non l’ho mai pensato.

Ho pensato semmai alle persone a me care, sentivo le loro energie, le loro preghiere, cosi come le sento ora e così ho trovato la forza per guarire.

La motivazione è un elemento essenziale per qualsivoglia gesto, azione, progetto di vita che hai deciso di compiere.

Senza motivazione non si va lontano.

La mia motivazione è ancora forte, da un lato è arricchita ogni giorno dal mio ingresso nel dispensario, nel vedere bambini che nulla possiedono e che lottano per guarire e salvare la propria vita. Bimbi dagli occhi impauriti, annebbiati, spaventati che non possono far altro che affidarsi alle premurose  cure di suor Agnese e Mourithi.

Dall’altro lato, il veder crescere ogni giorno sempre di più le piantine mi dà la pazienza, la costanza, la volontà di andare avanti, prendendomene, doverosamente, cura.

Cosa mi ha spinto ad andare in Kenya ?

Il poter fare qualcosa per chi vive peggio di me dal punto di vista alimentare, igienico-sanitario e d’istruzione.

Non mi piacciono le ingiustizie e se posso le combatto. Credo che sia ingiusto che ci siano persone che nel 2012 letteralmente muoiono di fame, di sete, di banali malattie, ed altre che possiedono tutto e si permettono di sprecare cosi tanto che non si rendono nemmeno conto.

Così nel mio piccolo cerco di combattere questa situazione.

Sottolineo che mai ho utilizzato la parola povero per definire una persona, perché chi è il povero ? Io non saprei rispondere.

Anzi domando a tutti voi come compito per casa coinvolgendo anche i vostri genitori di definire con le vostre parole il termine povertà ed io aspetterò le vostre risposte.

La lontananza rafforzerà la vera amicizia che ho con le persone, come una prova, chi mi scriverà nonostante la mia assenza fisica sarà un vero amico invece chi mi dimenticherà non sarà un vero amico ma solo un conoscente.

Resto in contatto con la mia famiglia e così con i miei veri amici tramite qualche messaggio via mail e raramente qualche minuto di conversazione telefonica.

I locali che vivono allo Loiyangalani sono di diverse tribù: Turkana, Samburu, Rendille, El molo, Borana, sono ben integrati gli uni agli altri e si aiutano a vicenda nella vita quotidiana.

Sono per la maggior parte persone riservate che stanno per i fatti loro, i restanti sono amichevoli, a cui piace scambiare qualche parola.

Poi c’è la categoria dei commercianti ambulanti, bè con loro puoi passare un’intera giornata, previo acquisto di qualche merce che vendono, collanine colorate realizzate con perline, braccialetti, pietre semipreziose quali ad esempio ametiste, ossidiana, etc., contenitori fatti con pelle di cammello, di capra e altri suppellettili simili.

Vivendo con loro inizio a comprendere i loro pregi ma anche i loro difetti ed inizio a capire di più la loro cultura e la loro forma mentis.

Le persone che frequento nella missione sono persone disponibili e gentili, con la quale chiacchierare mixando qualche parola di inglese e kiswaili.

Ho stretto un legame, più forte rispetto agli altri, con il cuoco della missione Joseph Mosè.

Con lui, spesso, mi ritrovo a cucinare piatti italiani e locali, a riordinare la cucina e la casa degli animali, dove soggiornano: capre, conigli, oche e galline.

Joseph mi ha insegnato a sgozzare, pulire e tagliare una capra, a preparare un buon thè verde raccogliendo le foglie da un albero particolare, a conciare la pelle di capra per usarla o come abito o come cuscino.

I momenti di divertimento sono presenti durante la giornata, possono esserci durante una partita a pallone, anche se rara perché fa molto caldo qui, circa 40-50 gradi, durante una chiacchierata con Fr. Andrew, durante una partita a carte a briscola con Sister Agostinella o a scala con Sister Agnese.

Non mancano momenti di solitario rilassamento ed armonia circondato dal verde, dall’acqua, dalla natura.

Ora ragazzi, vorrei che vi sedeste tutti quanti in cerchio, per potervi raccontare questa storia:

Un padre ricco volendo che suo figlio sapesse che significa essere povero, gli fece passare una giornata con una famiglia di contadini.

Il bambino passò 3 giorni e 3 notti nei campi.

Di ritorno in città ancora in macchina il padre gli chiese:

“Che mi dici della tua esperienza” ?

“Bella” rispose il bambino…

“Hai appreso qualcosa ?” insistette il padre.

1-    Che noi abbiamo un cane e loro ne hanno 4.

2-    Che abbiamo una piscina con acqua trattata che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.

3-    Che abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.

4-    Che il nostro giardino arriva fino al muro, il loro fino all’orizzonte.

5-    Che noi compriamo il nostro cibo, loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.

6-    Che noi ascoltiamo cd, loro una sinfonia continua di pappagalli, grilli ed altri animali. Tutto ciò, qualche volte, accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.

7-    Che noi utilizziamo il microonde, ciò che cucinano loro ha il sapore del fuoco lento.

8-    Che noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme, loro vivono con le porte aperte protetti dall’amicizia dei loro vicini.

9-    Che noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre, alle loro famiglie.

Il padre rimane molto impressionato dai sentimenti del figlio.

Alla fine il figlio conclude:

“Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri !”

Ogni giorno diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura, che è l’opera grandiosa di Dio.

E ci preoccupiamo sempre di avere, avere e avere sempre di più, invece di preoccuparci unicamente di essere.

Gabriele

from Loiyangalani

Questions about my life in Loiyangalani from Cuoricino’s parish

Sabato 8 dicembre 2012

Riporto la lettera scritta dalla catechista Manuela della parrocchia del Cuoricino, Cardano al Campo, inviata qualche giorno fa.

Come promesso rispondo alle vostre domande, colgo l’occasione per dire a Gabriele T., che ho ricevuto la tua mail e ti ringrazio, in settimana risponderò alle domande poste.

Ciao Gabriele,
sono Manuela, una catechista della parrocchia del Cuoricino.
Ho raccontato ai miei bambini di catechismo (un gruppo di 14 bambini di 8/9 anni che nel prossimo mese di maggio ricevera’ per la prima volta l’eucarestia) cio’ che tu e i tuoi “colleghi” fate in Kenya, ed ho chiesto loro se avevano domande da farti… te le giro cosi’ come me le hanno dettate:

1- Hai fatto fatica a lasciare la tua famiglia? Ti e’ dispiaciuto?

Ho 26 anni, sono un ragazzo maturo, che ama l’indipendenza e la libertà. E’ stata una mia scelta personale venire in Africa, ho sentito dentro di me una forza che mi ha spinto a partire per aiutare persone che veramente hanno bisogno di aiuto, di sostegno e supporto.

In Italia, molto spesso ho fatto carità a persone povere, che mi sembra avessero bisogno di aiuto, ma col tempo ho scoperto che erano solo imbroglioni.

Vi racconto un episodio per comprendere meglio la situazione.

Ho lavorato a Milano per un anno circa, vicino alla stazione di Gallarate, ogni mattina incontravo gente bisognosa, i cosiddetti barboni, bene una mattina mi sono deciso a fare un offerta.

Di corsa  perché in ritardo corro verso il treno che per poco perdo.

Il mattino successivo ripasso per la stessa strada per prendere il treno e trovo le stesse persone del giorno prima a cui ho fatto carità a bere tranquillamente sedute al bar cappuccino, brioche e fumarsi una sigaretta.

Grande è stata la delusione e mai più farò un offerta a costoro.

Solo qui allo Loiyangalani, ho avverato chi veramente ha bisogno di aiuto, qui le persone non hanno nulla se non sassi e pietre, i bimbi, dovete e dico dovete perché mi sembra il minimo per persone che hanno tutto, conoscere anche questo tipo di realtà, vivono con poco, quasi con nulla.

Tanti sono i problemi: la salute, l’igiene sanitaria, l’abbigliamento, una corretta dieta alimentare.

Qui quando faccio del bene, lo posso vedere con gli occhi e sentire col mio cuore che lo faccio a persone veramente bisognose di aiuto e per una giusta causa.

Spesso compro 100 caramelle in 5 minuti finiscono perchè il profumo delle caramelle corre più del passaparola qui allo Loiyangalani.

Accorrono bimbi da tutti gli angoli di questo piccolo villaggio a prenderle e corrono via contenti gridando per la felicità, con i loro vestiti, sporchi, tutti stracciati, che cadono a pezzi.

Se avrò modo vi mostrerò le foto di quello che ora solo a parole vi sto raccontando, cosi che anche voi possiate essere partecipi e condividere con me questa realtà cosi lontana dal nostro stile di vita, lontana da tutti i nostri agi, comforts e vizi.

2- Perchè proprio li’? Non e’ l’unico paese povero in Africa, ed anche in Italia ci sono posti poveri.

Ho scelto il Kenya, tra tanti, aggiungo io, troppi paesi poveri dell’Africa perché ho una conoscenza Simone, il ragazzo con la quale ho realizzato il progetto dell’idroponica, che vive proprio in Kenya, tra Malindi ed Isiolo.

Avendo questa possibilità di collaborazione ho scelto di venire qui in Kenya, nella parte nord, dove realmente si muore per denutrizione, mancanza di igiene sanitaria, credenze primitive. Ogni  giorno aiutando le suore italiane ed una brasiliana nel dispensario, è una struttura simile all’ospedale, mi accorgo quanti problemi di salute ci sono.

Arrivano persone molto malate, con febbre alta, magre magre, magari dopo aver percorso molti km anche20 apiedi sotto il sole a 50 gradi, malate di malaria, o con problemi respiratori o gastro-intestinali, molto diffuse sono anche le infezioni alle orecchie e agli occhi per via della polvere e della sabbia del deserto, alzate ogni giorno dal forte e perenne vento del lago Turkana e del monte Kulal.

Ho visto con i miei occhi un ragazzino di 12 anni con numerosi tagli da coltello sul fianco e lungo il dorso e l’addome, tagli fatti dal padre per far uscire gli spiriti cattivi e guarire il figlio, cose primitive che hanno solamente peggiorato lo stato di salute del figlio.

Ora, sabato 8 dicembre, il ragazzo sta meglio, ha reagito bene alla flebo, antimalarica, paracetamolo per injection ed è stato detto ai genitori di spedirlo all’ospedale di Marsabit per le necessarie analisi del sangue, chissà se lo faranno.

Qui la vita di un figlio vale meno di quella di una capra, cosi a volte i genitori scelgono di non curare il figlio, accompagnandolo alla  morte, salvando in questa maniera la vita di una capra.

Mentalità e cultura assai differenti dalle nostre che vanno prima vissute, poi comprese ed in seguito, eventualmente, criticate.

Diverso è anche il concetto di morte, tutto avviene molto più liberamente, più naturalmente senza attaccamento maniacale alla vita, si nasce, si vive e si muore, si ritorna alla natura cosi come sei nato e vissuto.

Si prova dispiacere in quel giorno, per genitori, parenti ed amici ma poi dal giorno successivo tutto torna regolare, cosi come il sole, la sera tramonta, al mattino risorge.

Mi domando nella mia testa se la situazione in Italia può essere paragonata a questa tragedia che tutti i giorni inesorabilmente si ripete e se è ancora il caso di parlare di gente povera in Italia utilizzando questo aggettivo così come lo utilizzo in questa terra dimenticata da molti.

3- Che sentimenti provi ad aiutare gli altri?

I sentimenti che provo ad aiutare gli altri sicuramente sono tutti positivi e belli.

I miei sono gesti spontanei di altruismo e generosità.

Cerco sempre di aiutare prima i bambini e poi gli anziani, per ultimo i ragazzi più grandi.

Regalo loro qualche vestito, caramella, qualche soda, insegno loro a dipingere e a rispettare le regole del gioco, pochi giorni fa abbiamo organizzato una partita di pallone, vorrei scrivere un articolo dedicato a questo, compro qualche collanina, braccialetto, andiamo insieme a pescare al lago, mostro loro le foto sul telefonino, per loro è una cosa nuova che genera stupore e gioia.

A volte con Fr. Andrew andiamo nel villaggio qui vicino, chiamato El Molo a portare cisternette da 20 litri alla catechista locale, che provvederà a distribuirla alle varie famiglie.

4- Quante persone hai aiutato finora ?

Ho strappato un sorriso sul viso di qualche bambino questo sì, il mio aiuto consiste in una gioia momentanea, magari di una mezza giornata se organizziamo una partita di calcio o di pallavolo, non faccio niente di più di questo.

Più importante dal punto di vista vitale è assistere sister Agnese e Mouridi, l’infermiere locale, nel curare i pazienti che giungono al dispensario.

Mi piacerebbe poterli aiutare in maniera più consistente ma per ora non posso.

Se ragioniamo insieme in questi termini, non so quante persone ho aiutato, anche perché molte volte i visi dei bimbi si assomigliano cosi tanto che scambio uno con l’altro.

Per quanto riguarda il dispensario presto semplicemente la mia assistenza alla sister, posso dire che i casi a cui sono stato più legato direttamente sono stati due, una mama arrivata quasi in punto di morte ed il ragazzino con la malaria.

Grazie per avermi dato la possibilità di far conoscere un po’ di più questa realtà grazie alle vostre semplici ed intelligenti domande.

Spero di aver risposto a voi tutti e se ne avete altre, Manuela me le girerà.

Un grande saluto a tutti voi dall’Africa

Gabriele from Loiyangalani

 

 

MY FIRST DAY-OFF SINCE I ARRIVED IN LOIYANGALANI

E’ proprio così, come recita il titolo di questo articolo, ieri mercoledi 5 dicembre, mi sono preso il mio primo giorno libero da quando sono qui allo Loiyangalani.
Insieme alle sisters abbiamo deciso di andare a South Horr, per la messa di suffragio di Fr. Lino Gallina, padre missionario cattolico della consolata morto quest’anno.
Fr. Gallina era una persona famosa in queste terre, che circondano la riva est del lago turkana, tra le popolazioni dei Rendille, Turkana, Samburu, El Molo e Gabbra.
La sua notorietà è stata confermata ieri durante la Santa Messa.
Molte le persone accorse per questa manifestazione di vivo ed attuale affetto sia da parte delle popolazioni locali, specialmente i Samburu e sia dei parroci italiani e locali giunti da lontane città, Maralal, North Horr, Loiyangalani, Wamba, Rumuruti, Kisima
La cerimonia iniziata alle 10:30 si è conclusa alle 13:00.
Tutto era ricco di colori, di canti, di gioia, di danze, di profumi, tutto quanto miscelato insieme armoniosamente.
Le donne Samburu, molto belle, da ammirare, avvolte con le loro kanga, un tessuto tipico africano, simile al cotone, molto colorato, ricco di motivi floreali, decisamente risaltava il coloro rosso in abbinamento alle loro coloratissime e grandi collane circolari confezionate da loro con preziose perline, che a volte coprono e fasciano entrambe le spalle.
Ho capito che la tipologia di collane, i colori ed il numero rispecchiano il ceto sociale a cui appartengono, una sorta di riconoscimento tra la loro tribù.
Il rosso, simbolo di forza, non è solo su collane e vestiti ma anche sulla pelle.
Le donne samburu usano per i momenti più importanti della loro vita, quali danze legate a cerimonie religiose come il matrimonio, funerali oppure alla nascita del proprio bimbo, cospargersi il collo oppure l’intero petto di terra ocra mista ad olio.
Questo gesto vuole risaltare oltre che l’estetica della propria persona anche l’importanza dell’evento.
Dal punto di vista folkloristico e tradizionale i guerrieri samburu, che non parlano una sola parola di Kiswaili, sono di grande impatto artistico.
Tipicamente un samburu warrior si presenta con sandali di pelle o tessuto di colore marrone, una specie di gonnella colorata, rossa e bianca, petto nudo solcato solamente da una collana realizzata con perline multicolore che forma una grande X sul petto, al collo indossano una collana di vari colori, i più usati sono: rosso, verde, turchese, nero, bianco, per poi arrivare alla testa.
Ai polsi indossano bracciali colorati tipicamente gialli, bianchi, verdi, rossi e neri, li portano anche ad altezza del gomito poco più sopra ed anche poco sotto l’attacco della spalla.
Forte è l’impatto per quanto riguarda la complicata capigliatura, i capelli sono raccolti con labor limae in lunghe treccine per poi essere cosparse interamente di ocra ed olio.
Alcuni Warani, guerrieri, si dipingono anche sotto gli occhi di un colore arancione, stesso colore che insieme ad altri usano per i tipici orecchini lunghi circa 5 cm che appendono sul lobo alto dell’orecchio.
Alcuni di loro, usano anche sagomare le treccine a mò di visiera di cap per ombreggiarsi gli occhi, ponendo al di sopra alcune collanine colorate come fosse una piccola fascia.
Non è ancora chiaro il vero significato del nome samburu, si pensa che sia legato alla farfalla, ossia che ci sia un qualcosa legato al leggiadro volo della farfalla, nel senso di effeminato, raffinato.
Le armi samburu sono un lungo coltello di circa 60 cm foderato in guscio di plastica gialla e cucito con pelle di capra o vacca, lance lunghe circa 2 metri, chiamate mpere, con punta a forma di foglia allungata, il manganello detto rungu, lo scudo di pelle di bufalo o di giraffa di forma generalmente rettangolare, arco, frecce e faretra.
Sister Agnese mi dice che ultimamente usano anche il fucile, come armamentario tipico samburu.
Molti, nei piccoli mercatini improvvisati, sono i contenitori costruiti in legno e pelle, per il latte misto a sangue, chiamato saroi. A questo viene normalmente aggiunto del miele, della carne e del burro.
Ritornando alla messa è stata bella, per me personalmente un po’ lunga, dato anche il fatto che da una parte capisco poco il kiswaili dall’altra facevano la traduzione in samburu in simultanea e così a volte abbandonavo la mia seggiola per uscire e parlare un po’ con i ragazzi della parish e mostrargli delle foto sullo smartphone del lago turkana e della mia pesca fatta con due ragazzi qualche giorno prima per un totale di: 1 tilapia e 3 lakal.
Un momento molto particolare durante la messa è stato quando l’anziano del villaggio ha preso parola ed in lingua locale snocciolava una interminabile fila di parole quasi a ritmo, 1 parola al secondo e tutti noi rispondevamo kai, kai, kai e così per almeno 5 minuti.
Queta stessa usanza l’ho riscontrata anche nel villaggio del El molo, dimenticavo quando si pronuncia kai occorre stringere entrambi i pugni, per accompagnare con il gesto questo possesso di questa benedizione pronunciata a parole.
Terminata la funzione religiosa e ricordato in maniera unica Fr. Lino Gallina, ci aspettava il pranzo ricco di carne e fegato di capra, patate, miscelle (riso), cabbages (cavoli dolci), chapati, soda, magi (acqua), mango e papaia che ho solamente visto, prima come frutto in seguito come semi tondi e neri abbandonati sul tavolo dei padri e delle sisters.
Memore della completa assenza di frutta allo Loiyangalani, ho comprato decine di mango e limoni, una medicina naturale, ricca di vitamina c, un bene molto prezioso qui, in questa oasi circondata solo da sassi e pietre.
Questo paesaggio mi è stato sottolineato molto bene dal viaggio per S. Horr, durato circa 2 ore, modalità passeggero comodo, in quanto una volta lasciato alle spalle il paesaggio dello L.ani, tutto attorno è diventato più fresco, più verde a poco a poco comparivano alberi sempre più grandi e dalle foglie più larghe, si trovavano cammelli di tutte le età lungo i bordi della strada sterrata, mucche, buoi, capre e pecore ed anche qualche dik dik.
I cammelli sono animali curiosi, che si piazzano in mezzo alla strada, ti osservano per bene e poi dopo qualche strombazzata di clacson e rombo di motore, iniziano a correre per qualche metro davanti a te fino a quando non trovano un passaggio libero lungo il ciglio della strada per correre lungo le interminabili pianure di sassi ed acacie che circondano la via.
Mi sono soffermato ad osservare un cammello e penso che discendano dalle giraffe o comunque provengano dallo stesso ceppo, gobba, gambe lunghe, collo lungo, sono tutti elementi in comune, certamente sono meno eleganti, quasi buffi nei loro movimenti rispetto alle loro cugine.
Coperti circa 200 km arriviamo a South Horr, quasi un paradiso, temperatura intorno ai 25 gradi, tutto verde, incantevole è stato vedere tutto questo verde dopo circa 2 mesi di sole rocce e pietre,
c’è anche un piccolo fiume dove i Samburu si riuniscono per lavarsi e fare il bucato, il profumo della natura è così fresco, incontaminato e tutto intorno solo verde appoggiato su questa terra rossa dalle varie tonalità. Tutto è come fosse un dettaglio di un bellissimo quadro incorniciato dalle alte e verdi vette dei monti circostanti.
Verso le 15:00 siamo saliti sulla jeep guidata abilmente da Isaac, il driver delle sisters che con sapiente destrezza scalava marce, frenava ed evitava grandi buche per evitare che le nostre 30 galline comprate per il progetto Turkana Mama ci finissero fin sopra la testa.
C’è stato un momento degno di nota durante la strada del ritorno per la puzza che è arrivata da dietro, causata probabilmente da una inevitabile brusca frenata e conseguentemente dello spavento degli animali, per non finire in un piccolo strapiombo lungo il ciglio del sentiero fatto da grandi sassi.
Arrivati alle ore 17:00, scarichiamo frutta, galline, carbone.
Liberate nel pollaio-giardino delle sisters, insieme a suor Agostinella mi prendo cura di loro, prepariamo un contenitore con dell’acqua per farle dissetare.
Dopo averle prese ad una ad una e fatte bere, cacciandoli letteralmente il becco nella ciotola, mi ritrovo proprio lì, a due passi dalle suole delle scarpe, 3 uova calde calde appena fatte, le consegno alla sister.
Dopo pochi minuti le uova da 3 diventano 2, la sister ha fatto la frittata come si suol dire !
Per concludere al meglio la lunga giornata, ho dovuto vestire i panni da shepherd per recuperare la capra e la pecora delle sisters, scappate una volta aperto il recinto per far entrare le galline, 2 ore in giro per ogni anglo della missione. Missione compiuta: recuperate.
Ho scritto all’inizio dell’articolo che è stato per me e per le sisters una sorta di vacation il viaggio a South Horr, perché impegnative e lunghe di lavoro sono i giorni quì allo Loiyangalani.
Una mia giornata tipo è cosi vissuta.
1- sveglia alle ore 6:00, al sorgere del sole
2- ore 6:30 giro ispettivo progetto pomodori, alcuni giorni non mancano le sorprese
3- ore 7:00 colazione, caffè, maziwa, sugar, te, bread, nutella scaduta da Israele
4- ore 7:15 house, pulizia viso, denti + camera non tutti i giorni
5- ore 8:30 bucato non tutti i giorni + stesura panni + asciugatura degli asciugamani notturni che ho imparato ad usare al posto del lenzuolo sintetico, posti sopra la mcheka, stuoia di palma
6- ore 9:30 sudato fradicio tuffo nella piscina della missione, previa pulizia e rimozione di scorpioni, topi, scalopendre, rane e fogliame vario.
7- Ore 10:00 controllo progetto
8- Ore 11:00 dispensario sisters: lavoro computer
9- Ore 13:00 pranzo + progetto
10- Ore 15:00 progetto + dispensario, assistenza ai pazienti malati
11- Ore 17:00 break acqua + lemon juice from sister’s house
12- Ore 18:00 kitchen con Joseph il cuoco
13- Ore 19:30 supper
14- Ore 20:30 lala salama

Più o meno le mie giornate sono scandite da questo ritmo, in generale.
Certi giorni ritaglio del tempo, come questa mattina presto per scrivere gli articoli, fare un giro in città, salutare i bimbi, regalare loro qualcosa, andare al lago a piedi anche se ho provato sulla mia pelle che è lontano, circa 3 km, tenendo conto delle condizioni climatiche.
Sono andato lunedì, all’andata partenza ore 8:00, allright ma al ritorno ore 12.00, la situazione fin dai primi passi si è rivelata subito difficile ed ardua fu l’impresa per i nostri 3 beduini del deserto.
Nei giorni passati ho insegnato a Joseph, il bravo cuoco della missione a cucinare alcuni piatti della cucina tipica italiana, gnocchi al ragù e risotto con delle zucche locali.
I prodotti a disposizione per cucinare sono assai limitati e quindi si cerca di dare il meglio per variare un po’ la dieta alimentare, unendo i diversi estri creativi.

AGGIORNAMENTO PROGETTO POMODORI
Due giorni fa, mi sono accorto da alcune foglie leggermente ingiallite che il sole in questi giorni è troppo caldo, così ho preso dei sacchi bianchi realizzati con un materiale simile al nylon, fronde di palme e sassi.
Ho realizzato una copertura di circa 3 m^2 per garantire ombra alle piante nei momenti più soleggiati della giornata affinché possano crescere nelle condizioni migliori possibili.
Le circa 20 piantine stanno crescendo bene e rigogliose, sono ancora nella fase vegetativa.
Due sono le tipologie germinate una a foglie larghe ed una a foglie piccole, entrambe in buona condizione di salute.
Quotidianamente mi dedico loro, aggiustando i tubi che si guastano per il forte vento, per le reti che si rovinano, per rimettere in sede il tubo di scolo dell’acqua, per preparare la dose di nutrienti che le piante devono ricevere, per integrare l’acqua evaporata, persa e assorbita dalle radici. Insomma il lavoro non manca.

Un grande saluto africano a tutti voi
Gabriele from Loiyangalani

GIORNI DI PACE ALLO LOIYANGALANI

FIRST MEETING DAY “Prevention of election violence and interventions promoting peace”

Martedì 20 novembre 2102 è iniziata la prima delle due giornate per parlare di pace inerente le imminenti elezioni politiche in Kenya.

Le varie sommosse, disordini, tumulti con conseguenze mortali le più delle volte accaduti in questo periodo, vedi Garissa, Baragoi, Nairobi, sono dovuti proprio alle elezioni politiche.

Ci sono mandanti politici che aizzano scontri armati sulle persone per ottenere più voti possibili, vedi Samburu e Turkana.

Buona l’organizzazione generale della giornata, ci sono stati sia momenti di lavoro individuale sia in team, tre gruppi da 10 persone circa, impegnati alla ricerca di risposte a 4 domandi cruciali per questo momento:

1-      What is the importance of election ?

2-      What are the fears about election ?

3-      What is election violence ?

4-      What are the causes of election violence  (pre-during-post election) ?

Per alleggerire poi la tensione e l’impegno sorto da questi interrogativi, ci siamo ritrovati tutti quanti a sorseggiare del caldo chai, il loro tipico thè+milk.

In seguito, dopo questo momento di break , circa 20 minuti, si è ritornati al naturale proseguo dell’incontro.

Sono stati raggiunti momenti di alta concentrazione ed importanza con dibattiti tra i partecipanti, gestiti dalla sapiente guida-oratore con riferimenti su Kofi Annan ed i suoi relativi interventi a favore della pace sulle zone rosse del Kenya.

Verso le 13:00 c’è stata la pausa lunch.

Una 40ina di persone erano radunate nel cortile, sul retro della casa di padre Andrew, all’ombra di numerosi arbusti ed alberi.

Tanto il lavoro delle catechiste divenute cuoche per l’occasione, tante le sedie, i bicchieri di latta cosi pure i piatti, nessuna posata, qui si usano le mani per mangiare.

Bè, io, Fr. Hubert, Fr. Oliver ed il suo aiutante-volontario Paul guardandoci, senza nascondere qualche difficoltà sul modo di mangiare, abbiamo optato all’unanimità almeno per un cucchiaio.

Pranzo a base di riso, tilapia, il pesce del lago Turkana e del cabbage, ossia i nostri cavoli però dal gusto più dolce, tutto quanto cucinato all’esterno su bracieri in pietra, alimentati con legna secca.

Legna che abbiamo raccolto ed accatastato, qualche giorno prima a circa50 kmda qui, anche del semplice legname in questa parte del Kenya, al giorno d’oggi, è un bene assai prezioso.

Mi ha colpito personalmente il numero di persone che mi circondavano, ingente, ed il cibo che non finiva mai, continuava ad uscire da questi pentoloni, senza sosta e sorridendo mi volto verso Fr. Hubert e gli dico Father, mi viene in mente la scena della moltiplicazione del pane e del vino e lui col suo tipico accento tedesco risponde “ ah ja ja ja, etc.”

Concluso il pranzo alle 14:30 si riprende l’incontro, io mi alterno tra un bicchiere d’acqua fresco della cucina e la house del meeting a circa400 metri.

Le mie condizioni di salute sono buone apparentemente.

Verso le 18:00 si conclude la prima giornata d’incontro, tutti sono entusiasti del lavoro fatto ed il morale è alto.

Faccio conoscenza con alcuni di loro, ci si scambia qualche parola del perché si è qui, si mostrano tutti quanti curiosi del progetto d’idroponica che sto portando avanti e con piacere glielo mostro.

Alcuni di loro prima di ripartire per le loro terre, chi a nord al confine con l’Etiopia, chi a sud verso Mombasa, chi a est verso Wajir, si rendono disponibili per farne uno uguale nella propria parrocchia.

Ore 19:30 si cena con del riso e della carne di capra, sgozzata nel primo pomeriggio.

Ho assistito allo sgozzamento della capra, dall’inizio alla fine, tutto è avvenuto così tranquillamente, in maniera del tutto naturale, con alta maestria e conoscenza di Joseph il cuoco, che mi ha chiamato in causa per aiutarlo in certi momenti.

E’ stata una bella, utile e significativa esperienza vissuta in prima persona. Grazie Joseph.

Dopo aver parlato un po’ con Paul e Fr. Oliver, verso le 21:00 ci accomiatiamo, ci si scambia la buonanotte tutti quanti, Fr. Andrew, Caesar ed i presenti ed ognuno si ritira chi nella guest house e chi nelle magnatte, case-capanna per gli ospiti all’interno della missione.

Inizia per me il calvario, notte di incubi e bagni di sudore, stordimento mentale totale.

Non sto bene.

Come ho raccontato nell’articoloLA SECONDACADUTA, solamente verso le 9:00, trovo le forze per alzarmi e prendermi del paracetamolo, ritornando nuovamente a letto.

Così ho passato l’intera giornata di mercoledì 21 novembre, a letto.

Solamente verso l’ora di cena, ritrovo le energie per alzarmi e cibarmi con un pugno di riso in bianco ed 1 patata.

Notte seguente, dolori allo stomaco ma sento che piano piano riprendo il controllo del mio fisico.

Arriva l’alba africana che con la sua forte luce penetra dalle tende in perenne danza per il forte vento, così da arrivare direttamente ad illuminarmi il viso ed ecco che inizia un nuovo giorno.

Mi sento meglio, la giornata inizia con il sorriso sulle labbra, avviso le sister sul mio stato di salute, mi inviteranno per tre pranzi nei giorni successivi, giusto per riequilibrare il mio stomaco, con cibi leggeri, puliti ed asciutti.

Il cibo tipico locale è buono ma spesso usano molti condimenti per insaporirlo, risultando pesante da digerire.

Nei giorni seguenti è stato sempre un migliorare, fino a riprendere sia le forze fisiche che mentali.

Mi è dispiaciuto non poter seguire la seconda giornata del meeting ma perlomeno sono riuscito a dare il mio saluto agli organizzatori ed ai nuovi conoscenti, augurandoli Safari njema – buon viaggio !

IL PROGETTO

Due sono stati i progetti intrapresi allo Loiyangalani, una prima piattaforma, per dare un’idea una piccola serra, coltivata a cavolo verza, una seconda piattaforma coltivata a pomodori.

Il primo progetto, quello dei cavoli, purtroppo ho dovuto stopparlo qualche giorno fa, in quanto il cavo necessario per collegare l’inverter all’attacco della lampada, inviato da Isiolo, dal negozio di Harish, non è mai giunto fino a qui.

Questo fatto, ha determinato la moria delle piantine di cavoli.

Per quanto riguarda il secondo progetto ossia i pomodori, posso dire che le cose stanno andando bene. Le piantine stanno crescendo rigogliose, verdi e forti, illuminate dal sole equatoriale e irrigate dalla buona acqua della sorgente.

Ogni giorno, le guardo, controllo il loro stato di salute, pulisco i buchi d’irrigazione non ben funzionanti, le bagno, osservo le nuove nate, insomma faccio un check per avere sotto controllo la situazione e farla andare nel migliore dei modi possibili.

Solitamente queste operazioni vengono ripetute durante l’arco di una singola giornata, al mattino appena sveglio verso le 7:30, prima di pranzo, verso le 12:00, dopo pranzo e più volte nel pomeriggio.

Occorre controllare anche quanta energia elettrica viene prodotta dai 6 pannelli fotovoltaici, per il buon funzionamento delle pompe idrauliche e del timer che controllo regolarmente.

Ogni mattino Aldo, Giovanni e Giacomo raccontano di una gazzella che dopo essersi alzata deve correre se no il leone la prende, io, invece racconto che ogni mattino mi sveglio ed entrando nell’ex cucina, divenuta deposito per il progetto, devo essere molto abile nello schivare i 5 pipistrelli che mi vogliono dare il buongiorno, sbattendo le loro ali sul mio viso.

Il mattino è il momento in cui patisco di più la manutenzione del progetto, intorno le 10-11:00, quando il sole già alto nel cielo, spara i suoi raggi solari sul mio corpo, al di sotto della mosquito net, realizzata al 100% in poliestere con la disumana conseguenza di rigagnoli di sudore che iniziano a scendere da tutto il corpo, accompagnata tale situazione, da un assai limitato spazio di manovra manuale, dovendo fare attenzione a tubi, corde, legni di palma nonché le piantine.

Se per di più mi scivolano gli occhiali, bè il pensiero di dire qualche parolaccia mi sovviene ed ecco allora che decido di prendermi 5 minuti di pausa, bevendo un bicchiere d’acqua.

Ieri ed oggi ho dovuto eseguire un’operazione assai delicata sulle piantine, ossia la rimozione di quelle in sovrannumero.

Per alcuni bicchieri di plastica, la maggior parte, sono germogliati più semi e cosi mi ritrovo in condizione di avere 10 piantine di15 cmnello stesso bicchiere.

La complessità di tale operazione, risiede nel togliere la piantina con la sua radice senza portarne dietro tutte le altre. Le radici sono molto fitte ed intricate le une alle altre, cosi talvolta non posso eseguire questa operazione, lasciando inalterata la situazione.

Tenterò di postare tre foto che ho scattato questa mattina 27 novembre 2012, verso le 10:00,

scrivo tenterò perché qui la connessione internet se c’è è molto lenta, qualità EDGE, a volte tocca anche i 5 kbps, ossia una velocità di connessione dati assai bassa.

La variabile vento, vorrei non considerarla, potrei scriverci un tema a riguardo, dal titolo: “Loiyangalani: Tecnologia vs Natura, 0-1”.

The last but not the least, voglio fare gli auguri di buon compleanno a mio fratello Ilario, “ Tanti Auguri e buona torta ! ”.

Gabriele

From Loiyangalani

LA SECONDA CADUTA

Ciao a tutti.

Scrivo questa pagina di diario, dopo qualche giorno di assenza.

Sono stati giorni impegnativi quest’ultimi.

Molte le cose che sono capitate, una partita di pallone nella parrocchia, il cavo per il progetto mai arrivato, due giorni di meeting per la pace pre-post elezioni, il viaggio a Moiti, la mia seconda caduta di salute.

Ieri mercoledì 21 novembre, non sono stato nuovamente bene, febbre a 38.0° e mal di testa forte, tutto ciò era già iniziato la notte passata, martedì 20 novembre.

Sentivo in me debolezza, pochissima energia, disidratazione completa e febbre alta.

Se ritorno con la mente a quella notte in cui sentivo freddo, mi viene da sorridere, perché qui le temperature non si abbassano mai al disotto dei 35 gradi circa.

Percepito dal mio corpo il forte calo di temperatura, ho pensato in quei pochi attimi di lucidità, che fuori ci fosse il diluvio universale, ma era il perenne vento che impetuoso soffia attraverso le numerose e secolari palme che circondano la camera dove alloggio.

Mi sentivo in quel momento come se fossi su una barca in mezzo ad una gran tempesta, dove ondate d’acqua mi sorvolavano la testa, l’imbarcazione completamente lasciata al suo destino e tutto era avvolto nel buio più profondo.

Il paracetamolo era chiuso nel cassetto di fianco al mio letto, con qualche sforzo sia fisico che mentale, l’avrei preso ma poi il pensiero di percorrere200 metriper giungere alla cucina, dove avrei potuto versarmi un bicchiere d’acqua per buttare giù la medicina, con il rischio di essere colpito da una freccia dalla punta che potrebbe uccidere tranquillamente un uomo, mi ha fatto passare tale pensiero.

Così, dopo aver rinunciato alla camminata notturna, ho cercato di trovare la posizione più comoda all’interno del letto, corto per la mia statura e col materasso bucato, per riprendere quanto più facilmente possibile un po’ di requiem.

Arriva il mattino di mercoledì 21 novembre, ore 5:00 e con esso la seconda giornata del meeting per la pace, organizzato da Fr. Oliver, irlandese ed il suo aiutante-volontario Paul, inglese.

Fr. Hubert, ovviamente non può non mancare a questi meeting o meglio in generale a qualsiasi news ed evento che capitano sulle sponde del lago Turkana, nonostante lui sia in carica a North Horr.

Così il suo forte “Good morning, habari aco ?” dal risvolto tedesco, risuona per tutta la guest house e cosi ha inizio la giornata per tutti quanti, tranne che per me, non mi muovo di un cm dal letto, nonostante tutta la mia volontà.

Troppo intensa è stata la mia nottata.

Solamente verso le 9:00, trovo le forze per andare in cucina a conquistarmi un bicchiere d’acqua e ingurgitare la pillola, dopo di che ritorno nuovamente a letto.

La vera Africa si paga.

Prima di mezzogiorno, dopo aver avvisato le suore, giungono a farmi visita, il loro arrivo viene anticipato dalle soavi parole “odi, odi” ed io “karibu, karibu”.

Racconto a loro il tutto, discutiamo sulle possibili cause, in primis si ripensa ad una ricaduta di malaria, nonostante abbia risposto in maniera positiva alle cure somministratemi in precedenza, in secondo luogo si pensa al viaggio a Moiti.

IL VIAGGIO A MOITI

Dopo alcuni giorni di preparativi per il trasporto del materiale a Moiti, si fissa la partenza per lunedì 19 novembre, dopo svariati rimandi e alcune problematiche superate.

Moiti è un piccolo villaggio di circa 500 persone a150 kmcirca a nord dello Loiyangalani.

Si decide, con l’accordo delle sisters, di portare in primis cibo, acqua e medicinali.

Il giorno prima abbiamo dovuto fare una modifica alla jeep toyota land cruiser 4200 cc, diesel, giallo panna.

Con un team di 10 persone, abbiamo tolto il tetto fisso in metallo, che copriva il dietro della jeep, troppo pesante per le nostre necessità.

Solo più tardi avrei potuto capire veramente cosa stavo facendo con quell’operazione, certo inizialmente ho pensato, abbiamo da portare molto cibo, molta acqua, due box di medicinali, il materiale per la costruzione della chiesa ossia sacchi di cemento, travi di ferro lunghe15 m, bacchette per saldare, utensili necessari per svolgere il lavoro etc. è chiaro che serve alleggerire quanto più possibile il mezzo e creare maggior spazio possibile.

Ma mai pensavo quello che avrei provato dopo nemmeno 24 ore.

Si fanno le 13:00 la jeep è carica e giunge l’ora del pranzo, mangiamo tutti insieme riso e tilapia, il tipico pesce del lago Turkana.

Chiedo a Jimmy con quante jeep andiamo, mi risponde con quella, indicandomela dalla finestra della cucina ed è proprio quella stracarica di merce, mà, tra me e me mi dico, certamente andremo con una seconda, forse non ha capito bene la mia domanda, proseguo a mangiare tranquillo.

Caesar, il diacono ugandese che dimora qui allo Loiyangalani insieme a Fr. Andrew, è alla guida, mama con figlio e l’infermiera Gabriela nella cabina di pilotaggio, ottimo pensai i posti in cabina sono finiti !

Domando allora a Jimmy: “Where we stay ?”, “Here”, che gran sorriso che feci, mi stava indicando il retro della jeep, dove oramai i posti stavano scarseggiando, ragazzi mai visti prima d’ora si erano già accomodati sul roll-bar interno della jeep, sistemati alla belle e meglio, non mi restava che arrampicarmi e trovarmi un posto, tra il poco spazio che rimaneva.

Sotto di noi, avevamo sacchi di farina americani, verdure, frutta, zaini con qualche vestito, tra cui il mio, contenitori d’acqua, fili metallici, una mama ed un ragazzino seduti sopra.

Il mio posto di viaggio era in prima fila, in piedi, vicino alla presa d’aria, queste jeep l’hanno alta in caso di off-road, circondato da un quadrato di tubo nero grosso, circa 50*50 cm, questo era il mio spazio vitale per il viaggio.

Caesar accende il motore, Pita non smette un secondo di parlare, forte e contagiosa è la sua risata, Jimmy appena può si siede tra le varie scatole, mi piacerebbe farlo ma non posso.

Non lasciamo neppure il perimetro della città Loiyangalani, che una prima bufera di polvere mista a sabbia, ci mette ko tutti quanti per qualche minuto.

Ci manca poco che il mio cappellino, unica difesa contro il sole equatoriale delle 15:00, mi vola via, dannazione e cosi anche i miei occhiali da vista, è un lusso che non posso permettermi.

Così mi barcameno tra il trovare una sorta di equilibrio-stabilità per la mia sopravvivenza senza essere sbalzato fuori ad ogni buca che inevitabilmente si prende e con una mano bloccare gli occhiali ed il cappellino.

Si percorrono i primi20 kmin circa 1 ora, subito mi rendo conto della difficoltà del viaggio, è stressante, duro, intenso, è una gran palestra per i miei nervi, continui sono gli sbalzi, continue le botte che prendo lungo i fianchi ed il sedere, il giorno dopo non riuscirò a sedermi e avrò lividi neri sparsi per il corpo, forte deve essere la presa sul tubolare, si formeranno vesciche sui palmi delle mani, forte è la disidratazione, la bocca diventa secca, durante le soste tutti quanti beviamo acqua e alcune sode che ho comprato dalla mama in town, il colore delle mie braccia cambia così il volto, forte è il sole che batte incessante sulle nostre teste, per un attimo ho avuto una sorta di mancamento, in quel momento Pita mi chiama ed urla, “What happens ?”, i reply “ It’s allright Pita, and smile again”. We carry on the travel.

Una volta ho pensato di volare giù dalla jeep, dopo un tratto veloce, sui circa 50-60 km/h, verso l’ora del tramonto, Caesar si accorge negli ultimi istanti di un dislivello di circa40 cm, lungo la via, cosi non gli resta altro che frenare bruscamente, talmente forte è la frenata che il mio corpo si accartoccia lungo il tubolare formando una C, nonostante la mia presa con le mani fosse ben salda sul tubo, non è servita a molto. In quel momento ho pensato che quello era stato il peggio e se non fossi volato giù in quell’occasione, avevo buone probabilità di arrivare a Moiti indenne.

Il viaggio è durato 4 ore per coprire150 km, sempre in piedi con tutti gli elementi della natura in quel momento a noi ostili.

Mi vengono in mente ora, i primi colpi di clacson strombazzati, perché suonare in mezzo al deserto mi domandai?

Poi dopo 5 minuti ho capito, alberi di acacia, disseminati qua e là lungo il bordo del sentiero, dove visibile, possono trafiggerti la carne con le loro spine di 3-4 cm, producendo un male ed un bruciore molto forti, se colpiti a forte velocità.

Così oltre a tutto il resto si doveva a volte fare i contorsionisti per evitare queste gran belle sorprese.

E’ stato un viaggio unico e molto intenso mai l’avrei immaginato.

Alle ore 19:00 arriviamo a Moite, il villaggio non è visibile per via del buio profondo, riesco a scorgere con la luce della torcia solamente una piazza con attorno delle costruzioni in muratura, si rivelerà essere la casa del padre e degli ospiti e più sotto, volte verso la sponda del lago intravedo le magnatta, le case capanna dei locali.

Siamo circondati da molti bambini incuriositi, mamme e ragazzi, quasi nessun uomo adulto e anziano.

In primis, mi disseto e offro qualche soda, quelle poche rimaste.

Mi sento fin da subito osservato soprattutto dai bimbi e ragazzini, non è cosi comune vedere un bianco in quelle parti e soprattutto che viaggia in modalità 100% africana.

Cerco un angolo e mi siedo, cercando di riprendere quel poco di forze sparse chissà in quale angolo del corpo, dopo 5 minuti, aiuto a scaricare tutto il materiale.

Ore 19:30, siamo pronti per il ritorno a Loiyangalani, mi informo se c’è un posto in cabina questo giro, Jimmy che guiderà la jeep, mi dà la risposta tanto attesa e desiderata.

Non potevo immaginare, quanto sia bello viaggiare, comodamente seduti su un sedile, mi sentivo come un re.

Al mio fianco c’è Sanita, un ragazzo della parish Loiyangalani, un gallo dai colori sgargianti, che potevo vedere solo illuminandolo col display del cellulare, verdone, blu e rosso, regalato a Caesar come simbolo di benvenuto ed accoglienza e poi Jimmy alla guida. Sul retro penso che abbiamo caricato circa 20 ragazzi, tra maschi e femmine, chi seduto, chi in piedi, chi a cavalcioni sul tubolare.

Altre 4 ore di viaggio ci attendono per il ritorno.

Subito, mi accorgo che qualcosa ai miei occhi non va, li sento bruciare e mi danno fastidio, solo più tardi verso le 24:00, una volta giunti a casa e specchiatomi li vedrò rossi.

A volte ci fermiamo, su indicazione di qualcuno nel retro per aspettare qualche amico o parente che si unisce verso la town, a volte arrivano a volte l’attesa si rivela vana e si prosegue.

Sanita si addormenta sulla mia spalla, Jimmy lo avverto è stanco, a volte sbaglia strada ed io sono stanco, esausto, dolorante.

Arriviamo sani e salvi intorno alle 23:30, il mio pensiero è quello di darmi una sciacquata e mangiare qualcosa di dolce , per riprendere un minimo di energia.

Noto, con gioia che la luce della cucina è accesa, buon segnale.

Fr. Andrew ci attende sdraiato sull’amaca, ci chiede qualche notizia e poi tutti quanti ci ritroviamo a mangiare, un piatto di riso con della carne, ugali un tipo di polenta e bere molta acqua.

Verso le 24:00 ci salutiamo tutti e ci scambiamo la buonanotte, lala salama.

Sento un fisiologico bisogno di farmi una doccia, sia per lavarmi sia per rinfrescarmi da questo lungo viaggio.

Asciugatomi, spengo la candela e sprofondo nel materasso in uno stato tra il cosciente ed il non cosciente.

Mi sveglio alle 7:00, distrutto, ossa e muscoli doloranti mi dirigo in cucina, la jeep non c’è più.

Jimmy è già ripartito per portare su altro materiale, sveglia ore 5:00.

Primo giorno del meeting per la pace, martedì 20 novembre.

Gabriele from Loiyangalani