Ci siamo ormai abituati?

Ci siamo ormai abituati a vedere in tempo reale l’uccisione di persone… Il fatto che dopo solamente due giorni un fatto di sangue cada in prescrizione e non trovi più spazio neppure sulle seconde pagine, significa che abbiamo raggiunto un’assuefazione pericolosa… Vicini di casa che litigano per pochi centimetri quadri di proprietà… Persone che arrivano a picchiare – fino a uccidere – coloro che disturbano il riposo e il sonno notturno… Comunque abbiamo superato la linea di guardia. Ognuno è diventato giudice autoreferenziale di comportamenti considerati inaccettabili… Ci stiamo abituando ad escludere l’intervento delle Forze dell’Ordine, in caso di incidente, in caso di disturbo o di invasione della propria intimità. E non c’è una parte di Italia che si escluda da questo atteggiamento.

Un senso di impotenza e, conseguentemente di paura prende i più… E infatti, arriviamo in tempi estivi, a una sorta di coprifuoco e i paesi e le città diventano territorio a disposizione di bande di piccoli/grandi bulli. Che fare allora? Diverse amministrazioni sono state accreditate dal voto popolare proprio facendo leva sulla promessa di maggiore sicurezza. Come mai siamo arrivati a questa aggressività generalizzata?

Per noi non è una questione che si risolve con l’aumento del numero di interventi – possibilmente armati – delle Forze dell’Ordine, ma con una ripresa del discorso educativo, che ha come protagonisti soprattutto i cittadini/e alunni dalle scuole materne fino alle università. Sappiamo purtroppo che il taglio delle risorse economiche ha colpito anzitutto la scuola. Questo non fa ben sperare a breve e a medio termine su una convivenza più pacifica e tollerante.

Certo la giustizia del “fai da te” ci prepara ad entrare a far parte del 4° e 5° mondo.

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Curiosità e allergie

Esplodono nel tempo estivo le allergie già iniziate a primavera. Non è questione di pelle o intossicazioni. E’ qualcosa che infetta un po’ tutti…

Uscendo dalla metafora, vogliamo capire l’effetto di questo rinnovato colpire la questione delle intercettazioni telefoniche e, comunque, la questione della privacy.

Qual è il mio diritto e cioè, fino a quando gli altri devono restare estranei ai miei comportamenti e alle mie scelte? E viceversa, fino a quando posso o devo intervenire sulle scelte di coloro che, con il loro  comportamento privato, danneggiano o comunque interferiscono nelle mie scelte? Se è vero che siamo legati socialmente, economicamente e culturalmente  gli uni agli altri, è pur vero che il più delle volte il comportamento privato è ridotto alla coscienza, alle intenzioni e a non molto altro… Tuttavia, dal momento che io sono cittadino, le mie questioni lavorative, economiche, ma anche le mie relazioni interpersonali  hanno una ricaduta  su questioni sociali, fiscali, amministrative…

Questo tanto più vale per coloro che ricoprono un ruolo pubblico, che sono a servizio di tutti i cittadini… Questo vale a maggior ragione per chi si mette in politica. Questi veramente fanno una scelta – speriamo consapevole  – di limitare la loro vita privata ad una intimità che rasenta la solitudine.

Noi italiani facciamo dell’ironia sulle valutazioni dei cittadini USA che arrivano fino a far dimettere i propri rappresentanti, anche di grande competenza, per un’avvenutra sessuale o per una bugia apparentamente banale.

Il riproporre, anche a livello legislativo, un intervento proibitivo nei confronti di controlli telefonici o informatici della Magistratura o delle Forze dell’Ordine potrà certamente riportarci a un’ingenua sicurezza, ma forse ci conviene apprezzare i risultati – anche economici – che questi costosi interventi hanno raggiunto.

Se uno è tranquillo non ha paura di essere spiato. Tutt’al più sa che qualcun altro conosce i suoi limiti . E la conoscenza dei propri limiti non ci impedirà di avere relazioni positive.

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Se questo è segno di cambiamento

I tanti movimenti in atto nel nord Africa, in Spagna e, timidamente, anche in Italia certamente sono dei segnali, ma come ogni segnale si possono spostare o interpretare a piacimento. Si tratta certamente di segni di vitalità, ma dove vogliano arrivare non lo si è ancora capito… Un istinto di sopravvivenza crea in ogni essere vivente sussulti, che qualcuno intende come vagiti di neonato, qualcun altro come lamenti di morte.

Noi vogliamo credere che comunque si tratti di precursori di novità. Se ancora manca un progetto, c’è almeno il rifiuto di situazioni ormai talmente paralizzate perchè mai allenate nelle loro funzioni vitali. L’immagine che meglio potrebbe rendere l’idea sociale è quella di una protesi che è subentrata all’arto e che è diventata più importante dell’arto stesso.

Da cittadini del mondo che però devono preoccuparsi dell’angolo di mondo in cui sono cresciuti e vivono, proviamo simpatia per chiunque si mette in relazione con altri cittadini e chiede rinnovamento, efficienza, rispetto, legalità… Vorremmo andare anche oltre, invitando tutti ad uno studio accurato dei veri bisogni e delle effettive risorse perchè non si creino, in risposta ad effettive inefficienze, parole di critica senza proposte efficaci.

C’è bisogno che, all’entusiasmo e alle appassionate adunate di giovani, si uniscano anche i leader della cultura, dell’economia, della ricerca che sono stati lasciati in disparte dagli uomini di potere. Mettendo insieme goliardica ironia e proteste rivendicative con le competenze di donne e uomini intelligenti, daremo concreta speranza ai desideri ritrovati.

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Vita come progetto

Non è un incrocio, è un bivio con più strade che convergono… Nessuna con la freccia che indica la sua destinazione. Arrivo spaesato e mi metto a girare attorno alla rotonda… Dove andrò? Quale strada mi porterà a buon fine?

Questa immagine di smarrimento per cui una persona rischia di non sapere più da dove venga e dove vada è una rappresentazione del nostro vivere oggi.

Per una persona che conosce bene l’ambiente in cui vive potrebbe essere anche divertente cambiare cartelli stradali e frecce direzionali. Ricordate Praga durante l’occupazione sovietica? Di notte gli abitanti hanno cambiato tutte le indicazioni stradali e i carri armati invasori sono andati in confusione. Questo episodio la dice lunga sull’appartenenza e la progettualità degli amici di Jan Palach. Ci ricordiamo ancora della Primavera di Praga?

Il nostro non è un contesto tragico come allora, ma ci è richiesta altrettanta progettualità… Ma siamo davvero consapevoli che sta implodendo un sistema costruito faticosamente attraverso i secoli? Non stiamo andando per progetti, ma per competizione di “forze materiali”. Non abbiamo progetti, ma “forze muscolari” che si sfidano. La forza viene usata per colpirci, anzichè per aiutarci, per eliderci anzichè sostenerci. Ci stiamo sfidando tutti, senza esclusione di colpi, ignorando che alla fine stiamo colpendo “i nostri”. Non possiamo non ribadire che qualora non ritroviamo un progetto di convivenza solidale, se non fraterna, finiremo tutti, se non al cimitero, in un ospedale.

Diamoci appuntamento se non davanti alle urne, almeno subito dopo le elezioni, per trovare quel minimo di coordinate per ripartire e ricostruire la “casa comune”.

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Giustizia, vendetta… E poi?

Non vogliamo stare nè nel coro, nè fuori dal coro: questa situazione ci rende solo pensosi, se non preoccupati.

L’eliminazione del primo protagonista del terrorismo ci interpella come cittadini del mondo, prima che come italiani o occidentali. La soluzione adottata di mettere fine alle ricerche dell’imputato Bin Laden certamente risolve questioni politiche all’amministrazione di Obama negli Stati Uniti.

Ma non è la soluzione adeguata ai nostri giorni.

“Tu non uccidere”: questo è l’atteggiamento preliminare di chiunque creda che l’obiettivo di ogni cittadino del mondo sia cercare la pace nella giustizia e cioè considerare gli altri esseri umani non come avversari, ma come partner di un progetto che ci trova tutti impegnati in una convivenza, se non conviviale, almeno rispettosa.

Se noi fossimo più attenti alle vicende degli Stati, specialmente africani e asiatici, ci troveremmo spettatori impotenti di destini ancora troppo condizionati da biechi poteri economici interni o esteri. Il focalizzare l’attenzione su un solo personaggio considerandolo l’unico artefice dei pericoli mondiali, ci rende tutti più vulnerabili.

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L’attesa

Non ne aspettiamo altri. Ormai l’affollamento delle persone che ci circondano rende ingombrante ogni decisione. Non si distingue più chi chiede da chi respinge, chi accoglie da chi rifiuta. Ognuno pretendendo di proporre un valore inderogabile.

Ognuno di noi sente di aver bisogno di tempo e spazio per decidere, o meglio, per decidersi, ma anche per questo è troppo tardi…Non ci è dato più tempo di attesa per una preparazione e una programmazione.

Chi esige di prendersi cura, normalmente è comodamente seduto e osserva senza lasciarsi coinvolgere nelle tragiche emergenze. Chi accoglie, già nell’atto di dare una mano per aiutare a scampare, vorrebbe che l’altro sparisse altrove.

Chi legge queste parole, probabilmente giudica incapace e inetto nel prendersi cura chi agisce in questo modo. Ci siamo troppo abituati a discutere senza coinvolgerci nella fatica di vivere dell’altro. Siamo forse parte di quella società da rottamare perché verbosa e quindi inutile?

Anch’io ho bisogno di qualcuno che mi affronti e non mi dia scampo.

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In mezzo al guado

Pensiamo che la condizione nazionale e internazionale sia avvertita da tutti come precaria e provvisoria. La precarietà indica anche una debolezza che chiede un intervento progettuale e di risorse (il termine precarietà significa atteggiamento di preghiera e quindi il bisogno e l’affidamento a forze maggiori). Provvisorio sentiamo il contesto politico e sociale e conseguentemente avvertiamo il desiderio di un necessario evolversi in una situazione più stabile.
Non mi riferisco appena alla situazione maghrebina e, più in generale, alle nazioni in cui i cittadini aspirano a una più vera democrazia e autonomia.
Questo vale anche per la nostra condizione italiana ed europea da cui provengono segnali di necessario cambiamento. L’Europa, in particolare, è ancora ferma alla necessaria moneta unica: non ha una politica estera concorde dei suoi 27 componenti e manca ancora di un effettivo progetto, per il quale si possa effettivamente parlare di Unione.
Il narcisismo personale dei suoi capi e l’individualismo storico dei suoi governi impediscono una vera responsabilità di fronte al rischio di veri cannibalismi sociali.
Una battuta finale. È stato restituito il Fondo Unico per la Cultura in Italia e quindi si evita lo sciopero proclamato di enti di cui ci vantiamo nel mondo.
Forse dobbiamo avere il coraggio di pretendere che questi enti siano sì la conservazione di tradizioni gloriose (laudatores temporis acti), ma altresì il luogo di un’effettiva carica innovativa – cioè che la cultura e l’arte finalmente siano anche attrattiva turistica e quindi valorizzazione economica. Nessuno può pretendere un contributo pubblico che non diventi promozione e investimento per tutta la Società.
Anche il nostro modo di intervenire sull’emergenza immigrati deve diventare un biglietto da visita per la futura stagione, a partire dalla cura igienica e sanitaria.
Siamo messi in vetrina anche da questi eventi. O sarà pubblicità gratuita o sarà deterrenza turistica.

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Fare Paese

Non è merito dei media – e ancora meno dei politici. La festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia si farà. Ne valuteremo tra qualche tempo la riuscita… Già da ora ha superato il test della decenza, almeno per aver riscosso l’accoglienza della “gente normale”. Non è il bisogno di far festa – in questi giorni ne faremmo volentieri a meno… È il bisogno di percepire quei legami che in questi giorni vediamo “sostenere” il Giappone, nel suo momento più buio dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale.
Qualcuno potrebbe alludere a uno stile e a una storia particolare che caratterizza il popolo del Sol Levante. Noi stiamo ai fatti di questi giorni nei quali vediamo governo e opposizione, città e villaggi…: un popolo unito che affronta un pericolo, anzi una tragedia.
Facendoci male potremmo dire che la nostra reazione italiana è quella di trovare, anche nella tragedia, una nuova occasione per dividerci su nucleare e anti-nucleare, passando dall’attenzione solidalistica alla sfida reciproca. Abbiamo bisogno di nuovi pionieri dell’Unità.

Una buona occasione sarà ricercare i segni della bellezza e della forza che ridaranno un futuro di prestigio all’Italia e cioè i suoi artisti, la sua cultura, la sua archeologia. Quest’anno prevediamo di conoscere meglio il nostro Paese: senza escludere vacanze all’estero, programmiamo una qualche visita a luoghi che riteniamo “lontani” nel nostro Paese. Ci è dato di visitare e conoscere meglio il nostro Paese con un turismo minore, senza grandi investimenti: conoscendo il passato glorioso, ne apprezzeremo anche i custodi.

Reduci da poco dal Festival di Sanremo, che ha avuto un’adesione effettivamente nazionale, possiamo seguire le diverse iniziative di musica e di canto in lingua o in dialetto sentendoci comunque sempre a casa.

L’Italia non sarà mai unita nell’omogeneità, ma nella pluralità di storie e progetti.
Certo, i diversi localismi sembrano mettere in evidenza dei corpi estranei. Di fatto sarà bene percepirli come elementi di particolarismo che non dice estraneità, ma provocazione per una crescita alla quale tutti devono dare contributo.
Non saremo mai una nazione come il Giappone, ma avremo una conviviale diversità che comunque fa sentire appartenenza… anche a quanti verbalmente la negano.

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Impermeabile

“Tu lo indossi anche per farti la doccia!” È una battuta quasi feroce di una persona in autorità che rimproverava un mio amico che cercava di evitare sentimenti e ri-sentimenti nelle relazioni quotidiane. Traduco, dicendo che questa persona evitava accuratamente coinvolgimenti affettivi e conflitti relazionali, per non star male. Evitava così di avere amici e nemici. Risultato: viveva in solitudine.

Questo fatto ci fa considerare il nostro rapporto con le persone e i popoli che in questo momento soffrono per le intemperie climatiche o per le rivoluzioni politiche. Dopo averne fatto una grande abbuffata mediatica, ci ritroviamo in una situazione di repellenza e quindi vogliamo indossare non solo un cappello o tenere in mano un ombrello – che però potremmo smarrire o momentaneamente deporre… Per maggior sicurezza indossiamo un impermeabile che ci protegga da ogni infiltrazione.

Dovessimo fare un’indagine statistica, ci troveremmo di fronte a tante persone quasi nauseate dalla continua ripetizione delle stesse informazioni. C’è il rischio dell’indifferenza o peggio del rifiuto di considerare queste persone come legate alla nostra vita. Voglio pensare che non sia una reazione cinica di fronte al male degli altri. Siamo eccessivamente esposti a una comunicazione che non ci presenta situazioni che ci riguardano.

Abbiamo bisogno di una comunicazione più umana. Altrimenti questo impermeabile diventerà la divisa di tutte le persone che si considerano per bene. L’alternativa non è provare le stesse cose per capire. Molto meglio sarebbe condividere la loro umanità per non perdere la nostra.

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Rivoluzione come progetto o come bisogno

Ogni persona pensante si chiede le vere motivazioni e gli obiettivi di quanti nelle piazze del Nord Africa chiedono il cambiamento. Giornalisti e politologi – per non dire della gente al bar: tutti vogliamo interpretare gli avvenimenti e indovinarne il seguito. È troppo facile per noi – a cose avvenute – incolpare i dittatori destituiti – o da rovesciare – di aver “tirato troppo la corda”.
Tutti siamo capaci di verità parziali, ma non riusciamo a risolvere il nodo del potere cercato come “obiettivo ultimo”.
Tento di chiarire. Ogni persona arrivata ai vertici di un’organizzazione o di uno Stato ha avuto il sostegno, il consenso, o almeno il passivo riconoscimento, di una maggioranza.
Quando una persona, rimanendo al potere si dedica al servizio dei suoi – sia pur con alti e bassi – continua ad essere sostenuta e riconosciuta autorevole. Esempi recenti sono Lula in Brasile e Michelle Bachelet in Cile.
Dalle nostre parti, nell’area mediterranea, arrivando al potere, facilmente si perde la memoria e ci si considera sopra gli altri, esonerati dal dover “rendere conto” dei propri comportamenti – personali e di scelte politiche.
La politica è l’impegno più alto e più delicato che una persona si possa dare, ma a condizione del lasciarsi sempre alimentare dal flusso dei valori e dei bisogni dei concittadini.
Oggi un “fenomeno di Alzheimer socio-politico” ha contagiato parecchi al potere…non solo negli Stati nordafricani affacciati sul Mediterraneo.
… Ma la gente non può perdere la memoria perché vive quotidianamente per affrontare i suoi bisogni essenziali, alla luce dei valori tradizionali ereditati.
La rivoluzione sarà una scelta obbligata – magari più volte rinviata per paura – perché è in gioco la propria identità.
Quindi si tratta di cambiare o morire. Con tutte le nostre forze auguriamo si tratti di un cambiamento per la vita, anche se troppe persone saranno costrette a morire.

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