“Cantillon”: dove nascono le birre d’altri tempi

L'insegna di ceramica di Cantillon

L’esterno è anonimo e pare quello di un normalissimo magazzino che potrebbe contenere qualsiasi cosa. Ma quando si apre il portoncino di Rue Gheude 56, quartiere di Anderlecht, zona sud-ovest di Bruxelles, il viaggio all’indietro nel tempo si compie fin dal primo respiro e il profumo di storia si mischia a quelli del legno, del mosto, della birra.
Davanti agli occhi si apre il mondo di “Cantillon”, un birrificio tradizionale che a prima vista pare un museo e che invece è un’unità produttiva a tutti gli effetti: qui si compiono tutti i passaggi per creare birre uniche, le gueuze e i lambic a fermentazione spontanea. Bevande che alle papille gustative e all’olfatto sono ben diverse dalla birra cui siamo abituati ma che rappresentano una vera e propria pagina di storia: questa era la birra prodotta fino a quando l’uomo – ma si parla di circa 150 anni – ha imparato a selezionare i lieviti e a usare quelli ritenuti più adatti alla fermentazione.

L'etichetta attuale di Cantillon

“Cantillon” però è rimasto fedele al passato e alla fermentazione spontanea, e ha scelto tra l’altro di aprire le porte del piccolo stabilimento alle visite del pubblico che può quindi circolare per i vari reparti e curiosare nel sancta sanctorum dei lambic. Così, muniti delle fotocopie in italiano disponibili all’ingresso (si paga un biglietto di 6 euro, c’è la possibilità di prenotare visite guidate), ci siamo inoltrati nelle sale di produzione alla scoperta di bevande che, almeno in Italia, sono sconosciute ai più e apprezzate solo da un ristretto gruppo di cultori.
Nelle foto che accompagnano il reportage di Malto Gradimento si può avere un’idea di come si snoda il percorso interno a “Cantillon”, a partire dalla cuve matière dove vengono miscelate le materie prime sino alla cantina di stoccaggio dei prodotti finiti. Quello che non vi possiamo proporre sono i profumi e il sapore del lambic offerto ai visitatori al termine del tour: per questo l’invito è di provarlo di persona quando passate dalla capitale belga. Un’oretta ben spesa.

L’avvio della visita, come detto, è dedicato alla cuve matière, una “vasca” antica in cui arrivano frumento (35%), malto d’orzo (65%) e luppolo opportunamente invecchiato (22 kg su un totale di circa 1350 kg di cereali) macinati nella sala superiore. Ai questi viene aggiunta acqua calda con temperatura che va dai 45° ai 72°; al termine, con la decantazione, le trebbie vengono separate dal mosto prima raccolto nella cisterna sottostante e poi pompato nelle vasche di cottura.
A queste, poste al primo piano, si accede con una scala: qui è il rame a farla da padrona e il suo colore rosso caratterizza un locale dove trovano posto i due bollitori da circa 10mila litri dove il mosto viene concentrato (evaporano circa 2.500 litri) e sterilizzato. A pochi metri di distanza osservano la bollitura sia la macina sia la caldaia, due strumenti fondamentali per la produzione.
Prima di seguire il percorso del mosto, i visitatori incontrano il granaio: il grande spazio dove vengono stoccati i sacchi che contengono frumento, orzo maltato e luppolo. Quest’ultimo è usato in quantità molto maggiori rispetto alle birre convenzionali perché funge anche da conservante (fondamentale quindi in epoche passate). Per evitare però che le birre diventino troppo amare (il luppolo serve proprio ad aromatizzare la bevanda) i fiori vengono fatti invecchiare in modo da perdere parte della sua forza.

I barili dove maturano le lambic

Dal granaio però è possibile osservare il cuore dell’intera produzione dei lambic, la sala della vasca di raffreddamento. In questo spazio rettangolare si trova infatti una vasca in rame dalla superficie ampia ma dalla profondità ridotta: su due lati si aprono le finestre che durante la “fecondazione” vengono lasciate aperte. Ciò permette al mosto di raffreddare e ai lieviti naturali, presenti nell’aria di Anderlecht (si parla di un centinaio di ceppi differenti, un bouquet caratteristico della valle della Senne), di venire a contatto con il liquido per attaccare successivamente gli zuccheri in esso presenti con la fermentazione. Qui è fondamentale l’esperienza dei mastri birrai che dovranno valutare le condizioni esterne (meteo, vento, temperatura…) e determinare quanto aprire le finestre durante la notte in cui il mosto rimane nella vasca. E in ogni caso la birra che nascerà da questo processo non potrà avere gli stessi standard delle produzioni precedenti e successive: ogni lambic è diverso da tutti gli altri e tutto concorre a renderlo unico (pure gli insetti vengono lasciati “svolazzare” sopra la vasca: tutto dev’essere naturale al 100%).
Da qui in avanti il mosto destinato a diventare birra proseguirà il proprio percorso all’intero delle botti: chi visita “Cantillon” può naturalmente attraversare il magazzino dove vengono stivate e dove, ancora una volta, gli addetti lasciano fare alla natura. All’interno dei grandi recipienti di legno i lieviti proseguiranno il loro lavoro anche in modo evidente; non è raro vedere fuoriuscire la schiuma visto che il barile non viene chiuso ermeticamente: l’anidride carbonica che si sviluppa esercita una pressione troppo forte. Da qui in avanti inizia la maturazione che ha tempi molto lunghi, fino a tre anni in barile.
Il lavoro del mastro birraio torna a essere fondamentale quando viene confezionato il prodotto finito: le cosiddette Gueuze infatti sono realizzate miscelando lambic di età diversa (per esempio invecchiati uno, due e tre anni) mentre allo stesso modo si preparano anche le varietà aromatizzate alla frutta (come le Kriek, cui vengono aggiunte ciliege macerate).
L’ultima parte del tour a “Cantillon” permette agli appassionati di sbirciare nella zona di pulitura delle botti, in quella dell’imbottigliamento (dove spunta anche un vecchio macchinario ora non più utilizzato, contornato da bottiglie con le diverse etichette della brasserie) e infine nella cantina dove trovano posto cassette e singole bottiglie pronte a rifornire locali e rivendite in Belgio e all’estero. L’attraversamento di questi corridoi, in mezzo a due “muri di vetro” non è però l’ultima emozione: quella arriva con l’assaggio della gueuze (compreso nel biglietto d’ingresso). Un bicchiere per assaporare, sorso dopo sorso, una pagina di storia che si ostina a rimanere attualità. Un patrimonio da non disperdere, piaccia o meno il sapore molto particolare di questa antica specialità.

La galleria fotografica su VareseNews

6 pensieri su ““Cantillon”: dove nascono le birre d’altri tempi

  1. Io adoro la birra artigianale… queste nello specifico non le conosco ma bella e interessante la recensione! Ho ho acquistato da poco su ebay annunci un fermentatore, una macchina per fare la birra, l’ho presa inizialmente per gioco ma ora che sto “raffinando la tecnica” ne sono veramente soddisfatta!

  2. io ci sono andata a dicembre!!! davvero un posto particolare, come queste birre del resto…molto buona quella all’albicocca, mentre le altre sono un po troppo acide per i miei gusti…

  3. Le gueuze per me sono le birre piu buone al mondo e se si parla di cantillon non c’e’niente di meglio,peccato che in pochi ne apprezzino il sapore particolare e quindi si faccia fatica a trovarle,io in zona conosco solo 2posti dove trovarne.

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