Qualche tempo fa abbiamo annunciato la nascita della prima birra trappista italiana, una novità assoluta per il nostro Paese e un’aggiunta alla ristretta ma celeberrima cerchia dei prodotti realizzati – con una serie di norme ben codificate – dai monaci cistercensi della stretta osservanza.
Il monastero interessato si trova a Roma, nel quartiere Eur, e il suo nome è anche lo stesso della prima birra uscita dai fermentatori: Tre Fontane.
A poco più di due mesi dall’immissione sul mercato, abbiamo acquistato e degustato una bottiglia – da 33 cl. – della Tre Fontane, una tripel da 8,5% di alcool aromatizzata all’eucalipto. Una scelta inconsueta ma logica: all’interno del monastero romano infatti questa pianta si coltiva da almeno un secolo e mezzo e viene già utilizzata dai monaci per la produzione di altri articoli.
Versata nel bicchiere, la Tre Fontane appare di uno splendido color arancione ed è corredata da un cappello di schiuma bianca, persistente e di media finezza.
Al naso l’eucalipto si avverte ma con meno forza del previsto: accanto a questo aroma si avverto quello di frutti gialli ma emerge già quello che sarà chiaro in bocca, ovvero un alcool piuttosto marcato.
All’assaggio la componente dolce è preponderante, l’amaro graffia sul finale di bevuta ma lascia la bocca piuttosto presto. L’eucalipto si sente ma senza essere troppo forte; si sentono invece tutti gli 8,5 gradi di una tripel che ci sembra rispecchiare abbastanza bene i canoni dello stile ma che onestamente non ci ha convinto del tutto pur essendo la Tre Fontane una birra comunque ben costruita.
Magari torneremo ad assaggiarla quando il clima sarà più adatto a questa tipologia (una tripel da 8,5 gradi in quest’estate torrida non è del tutto indicata) e quando la produzione si sarà assestata sul proprio standard. La via italiana alle birre trappiste resta molto interessante, ma forse va affinata meglio.
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