La bellezza di una gravidanza, la felicità di scoprirsi in attesa si mescolano spesso con il timore che qualcosa vada storto. La Natura è imprevedibile e ciò crea un senso di incertezza che ogni madre e ogni padre si porta dietro sino al momento della nascita, quando si ascolta il primo vagito, si contano le dita di mani e piedi, si chiede conferma chetato sia a posto. È un pensiero che si insidia dentro, in modo più o meno leggero.
La scienza ha fatto passi da gigante nel campo della diagnostica: esami sono possibili per tutto il ciclo della gravidanza e l’ospedale Del Ponte di Varese è uno degli 7 centri di riferimento in Lombardia per le indagini prenatali. Insieme a Buzzi-Mangiagalli_Melloni e Niguarda a Milano, Pavia, Bergamo, Brescia e Monza, le equipe di specialisti della clinica ostetrica e ginecologica diretta dal professor Fabio Ghezzi e del reparto di Ostetricia e ginecologia guidato dal dottor Roberto Puricelli offrono consulti e indagini approfondite mirate a seconda della coppia e dei rischi.
Responsabili del servizio sono il dottor Carlo Bulgheroni e la dottoressa Stefania Cenci che hanno rispettivamente tre e cinque medici in equipe. All’ambulatorio prenatale, i medici effettuano lo screening ecografico del primo trimestre e la diagnosi prenatale invasiva per capire se si è in presenza di uno dei cinque casi che rientrano nel Decreto Bindi, dove si parla di indagini a carico del servizio sanitario nazionale: « Al di fuori dei casi – chiarisce la dottoressa Cenci – la donna, che ne fa richiesta, deve sostenere le spese che sono molto elevate. Se una coppia ha problemi di infertilità o ha avuto una precedente gravidanza problematica, si propone la mappa cromosomica che si fa con il prelievo di sangue. In assenza di anamnesi positiva non è prevista la partecipazione del SSN». Le indagini mirano innanzitutto a evidenziare i difetti nei cromosomi che possono dare origine alla Sindrome di Down ( trisomia del cromosoma 21), la principale causa di ritardo mentale , frequentemente associata ad altre anomalie congenite, soprattutto a carico dell’apparato cardiaco e gastrointestinale. Ogni donna ha un rischio di avere un figlio affetto da Sindrome di Down e tale rischio cresce con l’aumento dell’età materna: « La ragione è semplice – spiega il dottor Bulgheroni – le cellule uovo esistono sin dalla nascita della donna e rimangono in attesa di entrare in gioco. Più avanza la sua età, più invecchia questa cellula per cui aumentano i rischi di una patologia».
La prima categoria considerata a rischio sono, dunque, le donne over 35 anni: « Le indagini mirano a contare i cromosomi – racconta la dottoressa Cenci – questo è l’unico caso in cui ha rilevanza l’eta materna. La cellula uovo materna, più invecchia più ha difficoltà a ripartire. Dai 35 anni, scientificamente si è evidenziata l’impennata della curva dei casi». La mappatura cromosomica, invece, è effettuata per capire se ci siano “anomalie bilanciate“: « Di solito – chiarisce il dottor Bulgheroni – procediamo con il prelievo del sangue e la mappatura nelle situazioni di infertilità o quando la coppia ha già un figlio con problemi genetici. Il problema è legato alla composizione del patrimonio cromosomico: può darsi che uno dei genitori abbia un’anomalia nella struttura cromosomica che non dà evidenze. Al momento dell’incontro con il patrimonio dell’altro genitore, questa anomalia può diventare sbilanciata e dare origine a problemi fisici o ritardi mentali. Basta un pezzetto in più o in meno di cromosoma per portare squilibrio». Nel caso l’esame risultasse negativo, la coppia parteciperebbe alla spesa pagando 70 euro di ticket. Se l’indagine dà esisti positivi, la restituzione dei risultati avviene alla presenza di uno psicologo.
Indagini invasive sono possibili anche quando emergono marcatori specifici dalla traslucenza nucale: « È un esame ecografico – spiega la dottoressa Cenci – che si effettua tra l’11esima e la 13esima settimana di gestazione. La traslucenza è lo spessore della cute del feto a livello del collo. Quando tale spessore aumenta, aumenta il rischio della sindrome di Down. I risultati dell’esame variano di caso in caso e vanno sempre valutati dagli specialisti. L’esame può essere integrato anche con indagini biochimiche, cioè il prelievo del sangue materno. Se il risultato è positivo, vuol dire che la paziente è ad alto rischio, cioè il rischio calcolato è pari o superiore a 1 su 250. A questo punto si offre alla donna la possibilità di fare esame invasivi come villocentesi o amniocentesi che permettono un esito sicuro al 100%». Il test combinato, ecografie ed esame del sangue (BI-test), offre una garanzia pari al 90-95%: l’esame del sangue, però, non è gratuito ma richiede la compartecipazione alla spesa ( 76 euro). In questo caso, l’esito arriva sia a casa della paziente sia ai medici che decideranno come procedere. Dalla traslucenza nucale, infatti, possono anche emergere indicatori di altre patologie come malformazioni congenite cardiache o sindromi genetiche, ma anche malformazioni multiple spesso incompatibili con la vita. « Ciò che queste indagini evidenziano è complesso – commenta il dottor Bulgheroni – è come un algoritmo che apre la strada a decine di possibilità diverse e ognuna di queste può avere conseguenze differenti. Per questo è fondamentale rivolgersi a specialisti preparati e qualificati. A un certo punto della mia carriera, ho sentito il bisogno di specializzarmi anche in genetica perché è un campo troppo complesso e capitava che io non riuscissi a intendermi con i genetisti con cui lavoravo. Il linguaggio diventava sempre più distante». Al fianco dei ginecologi lavora, quindi, anche una squadra di radiologi, cardiologi, pediatri, neonatologi, chirurghi, urologi, psicologi, per accompagnare la donna in questa delicata fase: « Una malformazione può sempre emergere anche dall’ecografia della ventesima settimana – spiega la dottoressa Cenci – e anche in questo caso, la donna ha diritto alle indagini invasive». Per escludere completamente il timore della presenza della Sindrome di Down, quando si è in presenza delle specifiche situazioni indicate dalla legge, si può ricorrere, dunque, ai due esami invasivi, villocentesi e amniocentesi a seconda del periodo di gestazione in cui viene effettuato: « La villocentesi – chiarisce il dottor Bulgheroni – è un prelievo di tessuto che diventerà placenta e che deriva dall’uovo fecondato. Ha le stesse caratteristiche del feto. Con una siringa e un ago sottile si raccoglie il tessuto composto da due cellule: una che si moltiplica molto in fretta e una che ha tempi più rallentati. Ecco perché occorrono due o tre settimane per avere l’esito. Non è un esame più doloroso di una qualsiasi puntura intramuscolare e non ci sono raccomandazioni da seguire nei giorni successivi. Si è visto che tornare al lavoro, riposare o prendere farmaci hanno conseguenze identiche. L’amniocentesi è un po’ meno doloroso perché l’ago è più piccolo ma dura di più perché vanno riempite due siringhe di liquido amniotico, ricco di cellule sfaldatesi dal corpo del feto. Il timore che l’ago punga anche il feto non esiste anche perché non ha alcuna conseguenza. Anche in questo caso occorrono 2 o 3 settimane per avere gli esiti». Le donne che si sottopongono agli esami invasivi firmano un’informativa in cui si spiega che esiste una percentuale residuale di aborto, tra l’1 e l’1,5%: « Non è vero che i rischi sono più elevati con la villocentesi – spiega la dottoressa Cenci – è semplicemente il periodo in cui viene effettuata che è quello più delicato per ogni gravidanza. Non ci sono evidenze scientifiche che questo esame innalzi il rischio rispetto all’amniocentesi. È chiaro, comunque, che è determinante la capacità e la manualità dell’operatore. E direi che al Del Ponte siamo più che esperti con una casistica di 400 esami all’anno quando la legge ne raccomanda una minima di 15».
Gli esami e i controlli, comunque, si concludono solo al momento della nascita: « Ci sono sempre occasioni di verifica e intervento – spiega la dottoressa Cenci – come la Sindrome da trasfusione da gemello a gemello in cui si interviene in fase prenatale con il laser. Ci sono altre situazioni che non curiamo al Del Ponte direttamente ma inviamo a centri specializzati. Siamo in rete con i migliori centri anche per le cardiopatie o i problemi molecolari».
Davanti a una positività, la donna può chiedere di interrompere la gravidanza: se la decisione viene presa entro la 15esima settimana di gestazione si fa un’isterosuzione in anestesia profonda, dopo la quindicesima si induce un parto abortivo: « È un momento delicato e in questo ospedale viene offerto un percorso tutelato» affermano i due specialisti.