L’OCSE Lancia l’Allarme: Siamo Incapaci Di Ragionare

A seguito dei primi risultati pubblicati dall’OCSE emerge un preoccupante prospetto sulla situazione dell’istruzione italiana. Il Prof. Luca Mari commenta questi risultati. – ventuno

di  Luca Mari

Saper contare: è questo il problema?

Problema 1: in riferimento al termometro raffigurato, se la temperatura indicata diminuisse di 30 gradi Celsius, quale sarebbe la temperatura in gradi Celsius (°C)?

termometro

Problema 2: il grafico che segue presenta il numero delle nascite negli Stati Uniti dal 1957 al 2007, con intervalli di 10 anni (con notazione anglosassone, la virgola riportata nelle cifre è il separatore delle migliaia). In quale/i periodo/i c’è stato un calo delle nascite? 1957-1967? 1967-1977? 1977-1987? …

birth rate

La capacità (o conoscenza, competenza, abilità, …: la distinzione non è importante qui) che abbiamo esercitato per giungere alla soluzione di questi problemi non è “far di conto”. Naturalmente abbiamo anche dovuto (saper) calcolare 26–30 e confrontare per esempio 4 300 000 con 3 520 959, ma il punto è che questi non sono tradizionali “esercizi di aritmetica”. Supponiamo pure – è questa l’assunzione – che sappiamo sottrarre e confrontare numeri interi, ma siamo in grado di usare questa capacità per risolvere problemi, invece che per “fare esercizi”?

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) (in inglese: Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), http://www.oecd.org) chiama, in inglese, numeracy la capacità in questione e la caratterizza come “l’abilità di usare, applicare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche” (the ability to use, apply, interpret, and communicate mathematical information and ideas). La differenza tra ‘fare esercizi’ e ‘risolvere problemi’, benché non spesso enfatizzata, dovrebbe essere dunque evidente: mentre il calcolo 26–30 e la decisione se, per esempio, 3 520 959<4 300 000 possono essere compiuti come un’attività meccanica, replicando uno schema acquisito mnemonicamente e senza comprendere alcunché sul senso di quello che si sta facendo, la soluzione di un problema – anche semplice come quelli proposti sopra – richiede ben di più.

In queste ore si sta parlando e scrivendo di numeracy (come si tradurrà in italiano questo termine? per quanto appena considerato è davvero peculiare che l’edizione italiana di wikipedia proponga “Far di conto” come titolo della pagina corrispondente a http://en.wikipedia.org/wiki/Numeracy). La ragione è la pubblicazione dei risultati di un’indagine statistica realizzata dall’OCSE (http://skills.oecd.org/skillsoutlook.html) sul tema dell’analfabetismo funzionale, che wikipedia definisce come “l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana” e di cui la non-numeracy è dunque una componente. I nostri problemi sono esempi degli strumenti impiegati in questa indagine (http://www.oecd.org/site/piaac/mainelementsofthesurveyofadultskills.htm), e mi pare mettano bene in evidenza l’importanza della numeracy per un’appropriata vita sociale, offrendo così in anticipo una risposta all’eventuale, fatidica domanda “a cosa serve?” (naturalmente questa sarebbe la versione minimale, adatta anche a un contesto in cui il ben più interessante – e ritengo corretto – “insegna a pensare (e pensare bene è necessario per vivere bene)” non è applicabile).

Insieme con la pubblicazione dei primi risultati dell’indagine (per esempio nella pagina interattiva http://www.oecd-berlin.de/charts/PIAAC/), terribilmente ma non sorprendentemente negativi per l’Italia, giungono gli inevitabili commenti “politici”. Posto che la lamentazione per il disastro porta zero bit di informazione (anche chi non è poi così dispiaciuto di essere circondato da persone funzionalmente analfabete difficilmente lo dichiarerebbe in pubblico…), non è comunque così semplice trovare opinioni orientate a porre il problema nei termini (che ritengo) appropriati: insegniamo la matematica in modo adeguato? Probabilmente no. E come si potrebbe e dovrebbe fare meglio?

All’estremo opposto, ho trovato in una pagina web questa affermazione tra virgolette, e quindi forse non apocrifa: “occorre […] agire con urgenza per rendere obbligatoria la frequenza della scuola sino alla fine delle superiori [e] restituire ai nostri allievi quel 10 per cento di tempo scuola sottratto […]  con le riforme Gelmini”. Davvero non basta una decina di anni di scuola per imparare a risolvere problemi come la corretta lettura di un termometro e di un grafico? Davvero la questione è di quantità invece che di qualità? Non sarebbe invece più fecondo partire dall’ipotesi che l’analfabetismo funzionale ha caratteristiche croniche in Italia (ecco qualche dato pre-riforme recenti):

ocse

e lo si può quindi affrontare, con qualche probabilità di qualche successo, solo con una riforma prima di tutto culturale? Naturalmente per intervenire in modo efficace su un sistema complesso occorrono risorse, ma tempo e denaro sono al più condizioni necessarie, ma certamente non sufficienti.

In ogni caso, anche in quanto a literacy non stiamo meglio, come un giornalista ha provveduto argutamente a testimoniare “dal vivo” con l’apertura di un suo articolo proprio sul nostro tema:

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Purtroppo si è però dimenticato di introdurre la frase finale: trovare gli almeno due errori di lingua italiana in questo periodo.

 

Provocazione di ventuno: e se il 30% dei nostri politici fosse funzionalmente analfabeta?

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Luca Mari