L’autista che vuole cambiare il mondo

Metti un virus nel motore. E se improvvisamente la benzina non servisse più a nulla? Ecco la questione ecologica vista da Sante, autista di autobus, di giorno traghettatore di pendolari e sfigati di giorno, di notte procreatore: ed è già al quinto figlio. Sante, mani e scorza rudi, getta il cuore oltre lo smog stamane, oltre quella polvere invisibile che intacca i polmoni di chi sta giù ad aspettare, alla fermata sul marciapiede.
Quando è al volante fa il predicatore, alla testa del torpedone sembra un condottiero che istruisce la sua truppa. Alle sue spalle, ogni mattina e ogni sera due fedelissimi dell’andata e ritorno, l’Enea e la Giusy, centocinquant’anni in due; gli unici a partecipare al dibattito. Il resto dell’involontaria platea, che egli osserva dello specchietto retrovisore, è una variegata assemblea di dormienti che gli ricorda tanto la gente che seguiva messa alle 6 del mattino, quando da bambino, mamma lo mandava a schiaffoni a fare il chierichetto all’alba. Tutta gente con le palpebre semichiuse, sfatta da una giornata di lavoro, con la voglia di spegnere quel sermone quotidiano così come si spegne l’autoradio quando gracchia.

Ma Sante prende fiato e comincia, tutte le volte, implacabile:
«Ormai siamo condannati a fare una brutta fine.»
«Pensi che l’altro giorno mi è appassita persino la sterlizia. L’avevo pagata trenta euro.», ribatte la Giusy, vispa come una pettegola di paese.
«L’aria è pesante, cara la mea dona, la gente prende il tumore come niente. Tutte le capitali europee soffocano, non c’è scampo l’inquinamento sarà la nostra tomba se non cambiamo, non duriamo altri vent’anni.»
«Beh, io fino a settantanove anni son rivato. Per altri venti ci metto la firma», mette le mani avanti l’Enea.
«L’ha parlà al pussèe bun, ma tu non pensi ai tuoi nipoti? La gente mette al mondo i figli e poi cosa lascia in eredità? Un mondo che va a rotoli, pieno di veleni»
«Con tutta questa gente che chiede la carità dove andremo a finire…», sbuffa la Giusy.
«Non c’è mica da fidarsi sa, non dia confidenza alla marmaglia, sciùra. Poi li vedi ‘sti maruchini tutti a bere birra con il telefonino in mano. Dicono che hanno fame, ma non è mica vero, chiedono la carità e fanno i soldi senza pagar le tasse.»
«Caro Enea, sono troppi, ma che tornino a casa loro. Io sono vecchia mi fanno paura”.
«Perché in Italia, funziona così. Tutto concesso, tutto perdonato, l’è come il Bengodi, ma poi li manteniamo noi quelli lì.»
«A casa loro e di corsa! Sante hai un lavoro? Sì. Loro non hanno un lavoro? Non hanno una casa? Cosa stanno qui a fare.»
«Quando noi avevamo fame, non siamo scappati tutti in Svizzera. Adesso questi cosa pretendono?»
«E poi ci sono gli zingari, è un mondaccio.»
«Con quest’aria qui, non c’è futuro. Anche a Copenaghen hanno problemi.»
«Ma indové Copenaghen?»

Silenzio. Dieci chilometri di tregua, tanto per riflettere: non tanto sulla geografia, quanto sull’ipotesi che tanto assilla l’autista: «I computer vanno in tilt con i virus, ma se capitasse la stessa cosa con la benzina? Un domani potrei venirvi a prendere col cavallo. Pensa che bel mondo diventerebbe! Tutto come una volta. Se potessi pisciar dentro in ogni serbatoio…»

Inquinare la benzina per non inquinare più: tra Milano e la provincia, Sante cova nuove forme di terrorismo. E intanto è lì, fermo in coda, alla barriera di Lainate: «Ah guarda là quell’àsan cunt al suv, lui farà il manager, vardell là. Fermo come me con la mia balena, e col suo bolide al ga trà a sunàa. Quel clacson te lo metto n…»
«Sciur Sante, per misericordia!» la Giusy prova a censurare.
«No, a sa pò no. Non c’è soluzione siamo in troppi, anche noi» riattacca l’Enea.

L’ingorgo svanisce lentamente, il bus riparte, corre incontro al tramonto verso il monte Rosa. Ancora silenzio per altri dieci chilometri. E Sante guida con lo sguardo fisso all’orizzonte tutto rosso e sospira: «A noi provinciali, tutto il giorno a correr dietro a quei milanesi. Persino per mangiare l’hamburger facciamo la coda. Ma non può andar sempre così…»
«Bé el g’ha rasòn» riconosce Enea.
«Ah quella roba lì non fa per me. Ho già la gli asparagi, per stasera. Li faccio con le uova» si reinserisce la Giusy.
«Ah gli asparagi, quelli li mangerei tutti i giorni. Anche se li ho visti un po’ cari dal verdurée. Ma crepi l’avarizia, per certe cose»
«Ma sì, non bisogna stare a guardare tutto. Vadiaviaiciàpp anche all’inquinamento» sentenzia Enea.
«No, non bisogna guardare a tutto, no». Mentre guida e guarda il tramonto, Sante pensa agli asparagi e al sesto figlio. “No, non siamo in troppi, gh’è post anche per lui”, pensa tra sé
Non ha ancora deciso di cosa parlerà domani, della televisione o della violenza negli stadi, della mezza stagione che non c’è più. O forse delle banche: «Sì e indove andremo a finire con ‘sti tassi d’interesse?»

Alieni esperti in business objects

Stefania prende il treno ogni mattina alle sei e mezza. E sta per sposarsi, ha già fissato la data delle nozze: il 31 luglio. «Per quella data è tutto ok, anche al mio capo andava bene». Al mio capo? E al futuro marito? «A entrambi».
Stefania ha studiato una vita intera nell’università più “in” di Milano, ora lavora in un gruppo finanziario in zona Loreto. E che fa? «Analista datastage». Cosa, scusa? «Perché ho maturato una buona esperienza in ambienti di datawarehouse». Ah ok, adesso è tutto chiaro.
Stefania entra in ufficio alle 8 di mattina e ci esce alle 19: «Ma non faccio pausa pranzo, per fare prima». E perché? «Perché altrimenti rientrerei in provincia alle 10 di sera, sai con questi treni». Già, i treni. Nel frattempo, viaggiando sulle carrozze semisfaciate dei treni locali, messaggia a manetta con il suo promesso sposo. E lui che fa? «Lavora in Svizzera, ci si vede dal venerdì alla domenica». E dopo, da sposati? «Idem». Stefania sogna di avere bambini, ma sa che non potrà permetterseli… Perché se lo sapesse il capo…

Anche Giusy prende il treno alle sei e mezza e sono dieci anni che prende treni. Prima per andare a studiare, ora per andare a lavorare. Che fa? «Programmatrice business objects». Ah ok, idem come sopra, tutto chiaro. La data del suo matrimonio è fissata per il 4 luglio «ma non posso permettermi il viaggio di nozze, lo farò ad agosto, quando la mia azienda mi lascia». Eh già, perché l’azienda oggi conta. Chiude l’ufficio ogni sera alle sette e mezza, Giusy, e poi si fa un’oretta di treno, prima di entrare in casa: «Doccia, cena e un quarto d’ora di televisione con il mio cucciolo. Poi sveniamo nel sonno, entrambi sul divano». Il cucciolo, un cagnolino? «No, il mio lui, viviamo già insieme da un annetto». E lui che fa nella vita? «Il sales account in una società finanziaria anche lui a Milano. Solo che lui non ha orari e viaggia in auto». Perfetto: e a quando casa a Milano? «Mai. Costano troppo». Giusy è preoccupata perché quando si sarà sposata, la sua azienda aprirà un nuovo brand, e sarà lei a occuparsene: potrebbe lavorare dodici ore, una in più di adesso.

Sullo stesso binario, alla stessa ora, c’è Carla che è già sposata e un figlio lo ha partorito due anni fa: lo lascia ogni mattina all’alba da sua madre che lo porterà all’asilo nido, dal quale, sempre sua madre, lo preleverà nel pomeriggio. Lei, Carla, rivedrà il suo bimbo alle otto, per cena: «Poi alle nove, va a nanna, il mio frugolino». E lei stira e fa il bucato. Il marito c’è stato fino a un anno fa: «Poi se n’è andato». Dove? Non è dato a sapersi, ma con chi lei lo sa bene. Storia finita. Ora Carla sogna di aprire un negozio di abbigliamento al suo paese, a un’ora da Milano: «Ma non posso permettermelo, mi toccherebbe fare un mutuo, e per iniziare un’attività commerciale, in Italia, paghi troppe tasse. E poi ci sono gli studi di settore: se non lavori, paghi lo stesso. Perché, secondo lo Stato, se un commerciante non guadagna, significa che evade le tasse… E ti danno della disonesta». E allora che fa? «Addetta al servizio it per una compagnia assicurativa». E che vuol dire? «Faccio da interfaccia verso gli outsourcer». Urca, roba seria. Per undici ore al giorno. «Così è la vita»

Tre storie di donne pendolari, che oggi sono molto diverse da quelle della generazione precedente che facevano le ragioniere, le sarte, le segretarie. Dottori e dottoresse escono a migliaia dall’università con lauree a pieni voti e le lacrimucce di mamma e papà. E con un pezzo di carta in mano, un titolo che deve per forza contare, ora: e li trasformerà in alieni.

Illegittimo impedimento

La democrazia è in pericolo, si discute e ci s’infervora sui treni fermi. Ormai non c’è più gusto nel prendersela con le ferrovie dello stato, o le nord, o con il Padre Eterno. La periferia di Parabiago, desolata e annebbiata, con la neve che copre parzialmente il grigio, non trasmette che poche e fugaci emozioni: dentro uno scompartimento che manda odore di chiuso, la fantasia non riesce ad andare oltre le pagine di un giornale, al massimo arriva a sbirciare nella scollatura lontana di una viaggiatrice disorientata e accaldata, tre file di sedili più in là. La giusta distanza per non dare dell’occhio. Cellulari che squillano con musichette di ogni tipo, gente che non ha più voglia d’incazzarsi e guarda il vuoto pensando al nulla o alla democrazia a rischio: «Ma quale democrazia – grida un viaggiatore -, mi salta un esame universitario, e non c’è decreto che mi aiuti». La ferrovia era simbolo di progresso, correva la locomotiva, oggi è simbolo di un Paese fermo, contro il quale i pendolari non hanno più nemmeno la voglia di reagire.
Mille vite con mille strade diverse, che messe su foglio farebbero lo scarabocchio di un bambino. Mille righe che convergono nello stesso punto e lì si fermano, senza nulla da dirsi. Ognuno avrebbe occasioni irripetibili per conoscere chi gli sta di fronte e parlare un po’ di sé: comunicare. In treno, non si comunica, ci s’imbarazza della propria immobilità. Si sta fermi dentro una realtà circoscritta da un abitacolo di plastica e lamiera, riscaldato dall’aria viziata da troppe persone con ancora il mattino in bocca, quell’odore misto di sonno e caffè.
C’è un docente di non so quale materia che annuncia via sms a un preside di Milano che, stamane, non arriverà: e già m’immagino la festa di una classe di studenti che si ritrova un paio d’ore buche per attività extra. C’è una studentessa che ripete ad alta voce nozioni di economia politica, come stesse recitando un rosario: non mi ha mai interessato la materia, ma in mancanza di altri spunti cerco di carpire qualche concetto. C’è chi sonnecchia davanti a un libro di Don Andrea Gallo, “Come in cielo, così in terra”, e leggendo in modo clandestino qualche riga di sfuggita, mi accorgo di avere oggi qualcosa di che spartire con gli ultimi e i dimenticati citati dal sacerdote genovese. Io soltanto per una mattina, però. Mentre i più attrezzati picchiettano sulle tastiere di minuscoli computer portatili, una signora compila la lista della spesa e alla prima voce, intravvedo, ha messo carta igienica.
Tra quelli che viaggiano in coppia, qualcuno legge ad alta voce le ultime notizie, recuperate su internet grazie all’I-phone: quello là, quello del legittimo impedimento, ci invita all’ottimismo, stamane. Il capotreno, che in quel momento rappresenta le istituzioni (quelle ferroviarie) ci annuncia con il sorriso fiero che il nostro localaccio sarà il primo treno a partire dalla stazione di Parabiago, non appena la linea verrà ripristinata: tutti, istintivamente, si affacciano ai finestrini per constatare che, in realtà, il nostro primo treno è anche l’unico lì fermo.
C’è pericolo per la democrazia? A leggere i giornali, a leggere le ultime dichiarazioni, il problema non esiste già più: tutto è ottimismo, democraticamente imposto per decreto. E allora, comincio a pensare che i 130 minuti di ritardo annunciati per il mio treno si possano facilmente ricomporre con il mio capoufficio grazie a un provvedimento interpretativo che mi consenta di affermare che, spiritualmente, anche questa mattina ho fatto il mio ingresso in ufficio alle 8, come sempre, e non alle 10,45 come probabilmente avverrà. Nella vita l’opinioni ad effetto fanno girare il mondo, i fatti non contano più.
Come diceva Flaiano, in Italia non esiste una verità, ma infinte versioni: e così, a bordo di un treno immobile e sperduto nel mezzo di una provincia, Parabiago non è poi così male, se soltanto pensassi a un pendolare di Calcutta, in questo momento.
E in un mondo ossessionato, anzi addirittura surriscaldato dal movimento, restare fermi su un binario fa addirittura bene al pianeta: grazie a me e a una carovana di sfigati, questa mattina Milano sarà un po’ meno inquinata. Quando si dice ottimismo…

Sorridere con le stelle

Tutti in coda per l’abbonamento: è un rito d’inizio mese al quale tutti i pendolari si sottopongono. I più previdenti, fanno tutto in anticipo, la maggioranza aspetta l’ultimo momento. Questione di strategia? Può darsi, visto che in coda alla biglietteria, sempre più sguarnita di personale, si parla e si chiede soltanto di un “dettaglio”: «c’è lo sconto, questo mese?».
Già perché, da qualche anno, le Ferrovie dello stato si sono inventati la simpatica trovata dello sconticino, per farsi perdonare i pasticci che combinano ogni e mese ai danni dei pendolari. E così, chi viaggia ogni giorno in treno verso Milano e ritorno, ormai rassegnato sulla qualità dei servizi, si preoccupa di avere lo sconticino. Di fatto è Un ammissione di colpa delle Fs che è in realtà un contentino, ma che suona come rivincita: e il mese appena terminato, qualche disastro in termini di soppressioni e ritardi ce l’hanno regalato. Ma, evidentemente, i danni sono stati inferiori rispetto a quelli di gennaio, visto che per il mese di marzo il pendolare non ha alcuno sconto, mentre su febbraio sì. Tra i fedelissimi dei treni “bestiame” c’è chi si specializza in calcoli e previsioni astrologiche, non più guardando le stelle, ma annotando le disgrazie e le vicissitudini subite dal servizio di trasporti su rotaia.
Questo mese, niente sconto, però: e nessun oroscopo che l’aveva previsto. Soltanto una coda interminabile, stamane, per acquistare l’ambito pezzo di carta.
Anche un pendolare ha diritto a un oroscopo credibile, si cerca di sdrammatizzare in carrozza. Eccone uno, realizzato da un esperto di stregoneria del binario, un roditore di campagna come il sottoscritto:

Ariete
L’amore universale è presente nella vostra esistenza. Merito di Venere: un capotreno potrebbe dichiararsi a voi, non deludetelo
Toro
Il sole in pesci vi dà una grande carica erotica in amore, permettendovi di ritrovare la passione di un tempo: guardatevi, però, dalle coincidenze troppo strette, per non raffreddare le vostre pulsioni al binario 2

Gemelli
Il vostro lavoro vi coinvolge, ma non dovrete fare un dramma se le cose non gireranno proprio come desiderate. Fate confusione sulla strada da intraprendere, se non riuscite a beccare un intercity, ormai da mesi, accontentatevi dei locali. Non abbiate fretta alla fretta!

Cancro
Una venere sensuale apre ancora la vostra mente e il vostro cuore nei nuovi contatti. La trasgressione potrebbe fare capolino: provate a non obliterare il biglietto

Leone
Mercurio, non più in aspetto negativo, mette l’accento sui vostri rapporti interpersonali, migliorando alcune dinamiche. Riuscirete a non badare troppo alle solite provocazioni degli speaker automatici delle stazioni che vi annunciano treni in arrivo su binari sbagliati. Ma non illudetevi, anche se imprecate, lo speaker non accetterà mai il dialogo

Vergine

C’è un po’ d’ambiguità nel vivere le relazioni di sempre. Le stelle in pesci possono sì portare degli incontri, ma non essere del tutto durevoli: ricordatevi che non è sempre un male, visto le ascelle pezzate che circolano negli scompartimenti

Bilancia
C’è molto sostegno nei vostri confronti nel vostro ambito professionale. Il rapporto con collaboratori e soci in affari è positivo: ma visto che viaggiate su linee disastrate, acquistate un blackberry

Scorpione

Col sole in pesci sarete sicuramente più predisposti a vivere intensamente i rapporti. Ricordatevi, tuttavia, che se il controllore vi chiede i documenti, non è perché ci sta provando

Sagittario
Aspetti ancora discordanti tra le stelle e il vostro sole vi faranno vivere in tensione le relazioni di sempre: fate attenzione, dunque, allo scalino, mind the gap, e a come v’interfacciate con le porte automatiche

Capricorno
Forti emozioni sono possibili da vivere in questa settimana. Vabbé, lo so che vi state già toccando gli attributi, ma Mercurio positivo fa trovare le parole giuste per parlare generosamente di sentimenti. Un treno soppresso che sarà mai, se c’è l’amore…

Acquario
La prima settimana di marzo è accompagnata da opportunità davvero sorprendenti nella vostra professione con Mercurio, Sole, Giove e Urano nel vostro campo pratico: attenzione, però, perché il vostro treno delle 6,43 non è del vostro stesso segno

Pesci
Vi sono incontri emozionanti nei primissimi giorni. Mercurio nel segno vi permette di comunicare proprio quello che sentite dal profondo: se, per esempio, giù sotto la carrozza avvertite un cigolìo sinistro comunicate pure al viaggiatore che vi sta accanto che avrà tutto il tempo per leggersi Guerra e pace

Soppresso

Guardi lo schermo, unico segno di civiltà delle tua stazione, e leggi una parola sola: soppresso. «Ah! E quello dopo?» Soppresso. «E quello dopo ancora?». Forse soppresso, forse no, tanto c’è tempo. E resti lì sul binario, fermo come il semaforo che all’uscita della stazione è acceso sul rosso. Nelle stazioni in centro, c’è abbastanza vita per tirare due o tre vadavialcù in faccia a qualcuno, ma sulla banchina dimenticata di un avamposto di periferia, hai solo l’aria fredda che ti sbatte in faccia a cui imprecare, quella sollevata dai treni “vip” che passano, vanno e lì non fermano mai.
Ci sono tanti modi per trascorrere una serata, si dice: poi, la routine quotidiana spinge quasi tutti o davanti a un televisore o davanti a un piatto di pasta, ma poi ci si riduce a fare entrambe le cose nello stesso momento. Fine della giornata.
Se invece sei pendolare, c’è il sorteggio della soppressione quotidiana da mettere in conto: negli slanci di devozione, infatti, ogni viaggiatore delle linee “hot” attorno a Milano inserisce d’abitudine nella litania anche “non darci oggi la soppressione quotidiana”.
Ma se il sorteggiato sei tu, allora la serata cambia; il tempo diventa metafisico, scorre, e non serve a nulla starsene a brontolare. Hai tempo per pensare, tanto. E magari dare una sbirciatina ai quotidiani stropicciati del mattino, visti e rivisti, ma sui quali c’è sempre qualcosa di non letto. «Bisognerebbe sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno», diceva Oscar Wilde: ma quando il treno non c’è, ti rimane ben poco in mano.
Nelle pagine di economia, distrattamente, t’imbatti in un nome: Innocenzo Cipolletta, presidente delle Ferrovie dello stato, illustre economista e cavaliere di Gran croce. E pensi alla tua gran croce, mentre t’immagini il signor Innocenzo seduto in un lounge restaurant di lusso, con in mano un calice di champagne, a parlare di economia e di alta velocità. E tu lì, fermo, senza velocità: ma con una gran voglia di pisciare, senza speranza di trovare una toilette aperta o un angolo buio. Cipolletta parla di alta velocità, davanti a un caminetto e a uomini in giacca Armani: lo dipingi così, circondato da manager che viaggiano solo in aereo; mentre tu, con il giubbotto sgualcito e l’ultimo chewing gum ormai consumato e stramasticato, hai la sola certezza che il signor Innocenzo non sta pensando a te.
No, meglio non soffrire e immaginare altro, mentre sfogli quel che resta di un quotidiano ormai vecchio per tutti, tranne che per te: e c’è l’oroscopo, là in fondo, ormai scaduto. Dai una sbirciatina al tuo segno, quello dei pesci, per vedere cosa aveva previsto per oggi: “In amore sarà la tua grande giornata, le stelle prevedono per te grandi e caldi momenti, soprattutto in serata”. E ti vedi circondato da quattro soubrette, sempre in quel lounge restaurant, ma con saletta riservata… Chissà quale trionfo di virilità ti sarebbe toccato, se il tuo treno non fosse stato soppresso. E, senza volerlo, mentre ormai trattieni a stento la pipì, ti vien soltanto un pensiero: chissà se Cipolletta è del segno dei pesci…

Notizie da ricamare, why not?

Punto croce e uncinetto: le ricamatrici pendolari sono in aumento, a quanto pare. Sulle carrozze dei treni locali, spopolano passatempi old style, alternativi. Tutto, si fa tutto, ormai, sui convogli, pur di evitare di leggere uno straccio di giornale. Ma già c’è chi pensa di scrivere un editoriale per interpretare la nuova tendenza femminile, come una richiesta di nuovi media. Chissà, magari il New York times avrà già pensato di vendere le notizie attraverso i modelli per ricamo: presto si distribuiranno notizie e approfondimenti sottoforma di pezze da cucire e riprodurre su maglioni e tovaglioli. Perché se certe cose le dice e le fa il New times, allora…
Anche stamane, il treno viaggia in ritardo verso la meta, la solita Milano: Desy cuce il corredino per il nipote, Cry ricama un asciugamano, Noemi lavora a un bel maglione per il fidanzato, Valentina è concentrata nel decorare un fazzolettino di seta. Nel frattempo, nelle redazioni dei giornali si discute e si pontifica sul futuro dell’informazione. Nessuno, o quasi, che guardi la luna: tutti a fissare il dito che la indica. Si parla di strumenti, di carta stampata, di web, di iPad, ma non di contenuti. È tutto un gran blàblà sul come farci leggere, ma non sul cosa farci leggere.
Intanto, nelle carrozze dei treni, si ricama e si sferruzza.

Il fantasma del panzerotto

Si parla di fantasmi e panzerotti, sul treno del lunedì. Lo stress da pendolare può arrivare a guastare anche la pausa pranzo, se capita di intercettare su Facebook la notizia della chiusura del fornaio Luini, un’istituzione della Milano studentesca e lavoratrice, il re del panzerotto.
Quel saccottino ripieno di formaggio e pomodoro, servito rigorosamente freddo fuori e incandescente all’interno, è il simbolo della Milano che “mangia in pè”, antesignano meneghino del moderno fast food: la notizia, captata dalla rete, finisce in carrozza. Quanto basta per scatenare un dibattito acceso e partecipato che ha l’effetto, comunque lodevole, di archiviare subito i commenti su Sanremo. I panzerotti sono una cosa seria, ben più di quattro gorgeggi stonati di Emanuele Filiberto: le controindicazioni non ne giustificheranno mai la rinuncia. In primis, quello schizzo di pomodoro, puntuale e bastardo che, al primo morso, finisce per compromettere giacche a vento, tailleur o camicie firmate.
La tradizione non può morire così. Ai pendolari occorrono certezze, poche, ma rinfrancanti: e il panzerotto del Luini è una di queste. Finché un fantasma che si firma Alessandro Richmond decide di divulgare la notizia, su Facebook, della chiusura del celebre fornaio. Il panico si scatena in ogni direzione, reale o virtuale.
Del resto, i blog o i social network sono i nuovi dogmi, sui quali si basa l’odierna ricerca della verità. Ricordo mia nonna che, da donna di campagna, fuori dal mondo, si era trasformata, qualche anno fa, in autorevole opinionista su tutto, grazie alla televisione. La sua fonte era il Tg4 del noto Emilio Fede, dal quale attingeva per qualsiasi informazione, al grido di: «l’ha detto la tivù, allora è vero». Allo stesso modo, i giovincelli apostoli dei nuovi media, sollevano il calice e consacrano i propri social network.
E così, la notizia della chiusura del celebre panzerottaio è passata da Facebook alle labbra dell’autorevole Linus (forse travestito da mia nonna), che l’ha diffusa nell’etere di Radio Deejay e l’orrendo pettegolezzo, con un fantastico telefono senza fili, è piombato in tutte le strade di Milano, si è propagato in tutti i locali chiusi, fino alle carrozze dei treni. Fino a noi pendolari del lunedì, appunto.
Si diffondono la polemica e il disorientamento: tra la stazione di Casorate Sempione e quella di Canegrate, c’è qualcuno che pensa addirittura di farla finita e passare al nemico, al più celebre tra i fast food americani. Finché, in direzione ostinata e contraria arriva la smentita: partita via Facebook, diffusa da Linus e propagata in tutto il mondo, fino alla carrozza di un treno locale che, nel frattempo, sta per entrare a Milano. Siamo salvi. «Ma sarà vero?», domanda qualcuno. «Vero cosa?», e sì’insinua la confusione generale.
La settimana comincia con i dubbi del panzerotto che, qualche fortunato, proverà a fugare in pausa pranzo, come sempre, direttamente dal celebre fornaio dietro il Duomo. Il mistero, ora, riguarda più quel tale Alessandro Richmond, divulgatore della notizia, in qualità di autorevole fantasma. E un espertone di storia moderna, che non manca maiin un vagone pendolari, è sveglissimo in carrozza e cita un ricorso storico.
Alla fine dell’Ottocento, infatti, comparve più volte nei pressi del parco Sempione, all’angolo con via Paleocapa, una dama velata che invitava con un cenno i giovani a seguirla per i viali del Parco finché, dopo lunghi giri, li faceva entrare in una villa elegantemente arredata, ma deserta e completamente ricoperta di parati di velluto nero. Qui dopo aver danzato al suono di una musica misteriosa, i malcapitati giovani avevano la sorpresa di scoprire che il volto della silenziosa signora, sotto il velo, aveva le fattezze di un macabro teschio. Dopo alcuni di questi “incontri ravvicinati”, furono organizzate diverse ricerche della misteriosa villa nel Parco, ma invano. Presto, nascerà un gruppo anche su Facebook, statene certi.

Tramonto con castorino maggiorato

Il tramonto di febbraio ha qualcosa di magico, visto dal treno. A chi ha ancora la lucidità per accorgersene, guardando oltre il vetro sporco o scarabocchiato dai writers, quel rosso fuoco, che quasi t’illumina il viso, mentre dalla città sali verso la provincia, cambia l’umore. Aiuta a pensare. Del resto, sulle carrozze dei localacci, c’è tanto tempo per pensare. E le alternative sono poche: o rimani con la testa ancora impegolata a quel che hai lasciato alle spalle, ovvero a una scrivania sempre zeppa di magagne, o vai oltre, a quello che ti aspetta una volta sceso dal treno. E se quel che ti attende è proprio là, dove scende il sole e incendia il cielo, allora vien la voglia di fare un bel respiro e pensare positivo.
Il senso di alienazione che spesso ha la meglio, in quel monotono andare e venire, sembra allentarsi e aprire nuove prospettive: già, perché ora non si torna più con il buio. Si rientra a casa quando ancora ci è concesso di catturare gli ultimi fotogrammi di luce, quelli più caldi e suggestivi. C’è il Monte Rosa, là all’orizzonte, che sembra un gigante e il bagliore del tramonto quasi gli dà vita: certo, ma soltanto, agli occhi di un pendolare che abbia ancora fantasia.
C’è una signora impellicciata, seduta due sedili più in là. Un fagotto di donna, con permanente old style e doppiomento. Sembra lei stessa il castorino che ha indosso: di fronte ha un giovane cingalese, con in mano un mazzo di rose, diretto a un semaforo di un paese di provincia, dal quale proverà a fare piccoli affari per San Valentino, contando sugli innamorati squattrinati e sbrigativi. Due euro a rosa e la questione è risolta. Perché è il pensiero che conta.
La signora “castorina”, ha un cellulare incollato all’orecchio e parla a “macchinetta”, tralasciando ogni contegno. E così, senza nemmeno essere amici su Facebook, ognuno dei presenti finisce per farsi inevitabilmente gli affari di quella pelliccia parlante.
«No perché sai, cara… l’altra sera da Vespa si è detto che il regalo più “in”, quest’anno è il seno nuovo…»
Tutti i presenti, senza volerlo, hanno cominciato a immaginarsi un castoro riccioluto con due enormi tette, trattenute a stento da un bottone sofferente. C’è chi cerca rifugio nelle pagine dell’ultimo libro di Dan Brown, chi spulcia gli annunci economici di un quotidiano e finisce per consultare quelli delle astrocartomanti, c’è chi gioca a solitario sul cellulare e chi prova a prenotare le vacanze: ma la mente fa brutti scherzi e non riesce a rinunciare a prefigurarsi un roditore peloso con la permanente che avanza minaccioso, ancheggiando come Belen Rodriguez. Forse è anche per questo che il desiderio sessuale dei pendolari è un fenomeno raro che si manifesta, nei casi più fortunati, soltanto nei fine settimana. Colpa dell’immaginazione e dello stress. Ma per fortuna, c’è il tramonto che riconcilia ogni pensiero con la natura.
Mentre la signora impellicciata continua a borbottare di protesi e regali, il giovane cingalese ha come un sussulto, non rivolto all’improbabile maggiorata, bensì all’orizzonte, arancione e meraviglioso. Il treno sta rallentando, sta per entrare in stazione, mentre i binari lambiscono i centri commerciali: come d’istinto, prima di alzarsi dal posto e scendere dalla carrozza, indica alla signora lo spettacolo del cielo.
Lei, improvvisamente, si zittisce, rimanendo con il cellulare sempre attaccato all’orecchio, si sporge dal sedile per vedere fuori dal finestrino, si china quanto basta per far comparire un triplo mento. Un istante e ritorna ad appoggiarsi allo schienale riprendendo la sua chiacchierata: «Ah sì scusa, mah non è niente, un extracomunitario mi ha indicato un’insegna, fanno gli sconti sullo yogurth magro. Ma dimmi tu, non sanno più come importunarti…».

Da una nota di agenzia del 2154

“Manderanno un messaggio per dirci che loro possono prendersi tutto quello che vogliono ma, noi manderemo il nostro messaggio…Questa, questa è la nostra terra!” (Jake Sully, Avatar)

Milano, 3 febbraio 2154
Si cerca l’unobtanium anche a Milano, qualche giacimento era già affiorato centocinquant’anni fa, durante gli scavi per la nuova city e l’Expo 2015, ma ora il prode Jake Sully, di professione ministro per la semplificazione biologica, avrà il compito di scovarne i filoni più redditizi. Il presidente della compagnia interplanetaria terrestre, l’immortale cavalier B, ha dato l’ordine: falliti svariati tentativi di far ripartire il nucleare in Italia, a causa dell’eccessivo pessimismo del popolo, la nuova fonte di energia ci garantirà ottimismo e serenità.
L’unobtanium ci salverà, ma resta ancora una formalità da sbrigare: sgomberare la metropoli di Milano. La forza interplanetaria sta ora consultando i manuali lasciati negli archivi virtuali dagli assessori d’inizio millennio, il destino dei pochi abitanti sopravvissuti all’inquinamento è segnato. I milanesi, che rifiutandosi di ascoltare i consigli dei medici di fuggire dalla città, sono ormai dei puffi blu, alti tre metri, che vivono su una città albero. Un tempo, questa popolazione era in grado d’interfacciarsi con ogni creatura del pianeta: rimasta per decenni insensibile ai richiami e agli allarmi di cardinali, scrittori e saltimbanchi, vive ora come uno stormo di cornacchie, in nidi riscaldati da televisori.
Per poter comunicare con loro, con i puffi meneghini, la forza interplanetaria ha pensato di trasformare il prode Jake Sully in un avatar, ovvero l’incrocio tra un umano e un milanese: un pendolare. Il futuro nostro dipenderà dunque da questo umanoide trasformato da secoli di trasferimenti sulle ferrovie locali.

L’assalto al treno

Una volta lo facevano gli indiani, a cavallo. Ora è roba da pendolari incazzati. A Lodi, finisce in gazzarra: se ne discute anche sulle carrozze sderenate dei locali che da Varese scendono a Milano. «Là sì che hanno gli attributi», commenta un ragazzo ad alta voce. Qui, invece, c’è più rassegnazione, scappa qualche parolaccia, ma la metropoli di Milano, per noi che scendiamo dalla provincia, non infonde la stessa carica. «A me interessa che sto trenaccio mi riporti a casa stasera, per il resto…», interviene un impiegato scampato alla cassa integrazione.
Si leggono pochissimi quotidiani, soltanto qualche freepress con le solite notizie della paura. Noi, peggio di Gotham city, siamo in balìa di catastrofi, epidemie o peggio, a giudicare dai titoli sempre più rasserenante dei giornali gratuiti. La stampa a pagamento è diventata rara, sulle carrozze: del resto, è normale. Il Corriere della sera di stamane, per esempio, dedica le prime otto pagine alle schermaglie del cortile della politica, vicende lontanissime dalla realtà quotidiana che vivono i cittadini, a cominciare da quelli che ogni giorni prendono un treno all’alba e sbarcano il lunario in una città difficile, sempre più difficile.
Nel silenzio generale, oltre l’odore di sporco che ristagna sui vagoni, c’è una voce che emerge: è quella di una signora che si lamenta con il capotreno. Carrozza troppo fredda, vecchia storia, alla quale ogni controllore si difende come può… su queste carrozze si tira a campare, invece di protestare, meglio fare da sé e scegliere tra la carrozza “tropical”, 42 gradi, e quella “igloo”, meno 5. Giù in fondo, dimenticata, c’è anche la carrozza “eolo”, quella con le porte che rimangono aperte una stazione sì e una no. Gira sullo stesso treno, ormai da mesi, senza che nessuno alzi più nemmeno una voce d’indignazione: è per il ricambio d’aria. E, tutto sommato, in caso di assalto al treno, è l’ideale.