Si ritiene che il dolore di un parto sia secondo solo a quello che si prova nell’amputazione i un dito. I recettori periferici in contatto con il cervello sono molteplici. Ecco perché, tra le maggiori paure delle donne che si accingono a partorire o che pensano alla maternità ci sia proprio il momento conclusivo della gravidanza: quello del parto. Sin dagli antichi egizi, si sono sviluppate tecniche, pratiche e sostanze per limitare la sofferenza della partoriente. Dagli anni ’30, però, quando si individuò la possibilità di bloccare, con la tecnica peridurale, la trasmissione degli impulsi del dolore dalla periferia al cervello, molto si è fatto per ridurre al minimo il dolore. Negli anni ’60, questo sistema venne utilizzato efficacemente anche in sala parto. Si tratta dell’iniezione di una sostanza anestetica nello spazio peridurale della colonna vertebrale che interrompe il flusso nervoso dai ricettori periferici al cervello.
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Il neonatologo in sala parto
La nascita di un bimbo è, spesso, una questione tra madre e ostetrica. In sala parto si cerca di mettere a proprio agio la donna, accompagnata dal compagno, di creare un ambiente sereno e accogliente. In alcuni casi, la stessa sala si anima di altri professionisti, che intervengono per gestire qualche imprevisto. Così si deve considerare la presenza del neonatologo: « Il nostro intervento non è contemplato – spiega la dottoressa Angela Bossi responsabile clinico del nido, della neonatologia e della terapia intensiva neonatale all’ospedale Del Ponte di Varese – ma siamo chiamati sempre in caso di taglio cesareo oppure se il neonato evidenziava già una malformazione in età prenatale. Parliamo di problemi renali, per esempio, o se la mamma ha assunto farmaci particolari. Al momento dell’espulsione, quindi, facciamo la valutazione: se va tutto bene, il bimbo viene dato alla madre per il bonding altrimenti viene portato in neonatologia per l’assistenza».